Vivere in Sicilia da immigrati. L’esperienza raccontata in prima persona da chi è stato costretto a lasciare il proprio paese di origine alla ricerca di un futuro migliore. Un immigrato tunisino in Sicilia
di Said Ibrahim
Voglio approfittare di questa rubrica per parlare un po’ di me. O, meglio, della mia esperienza in Sicilia. E’ un modo per sentirmi vicino ai miei connazionali. Un modo per comunicare con loro e scambiarci le nostre esperienze.
E’ la prima volta che ho questa opportunità. La prima volta che qualcuno mi chiede di parlare della mia esperienza.
Io sono arrivato in Sicilia 17 anni fa. Posso dire di essere scappato dalla Tunisia. Non sono mai stato bene lì. Ho sempre avuto difficoltà a trovare un lavoro. Perciò ho deciso di andare via. E’ questo che spinge noi tunisini ad abbandonare il nostro paese: la mancanza di un lavoro.
All’inizio andai in Germania, dove ho lavorato per un anno e tre mesi. Dopo sono andato in Svizzera dove ho lavorato per cinque mesi. E poi in Olanda, in Belgio e in Francia.
Alla fine, sono venuto in Sicilia perché avevo un mio cugino e perché mi sembrava di essere più vicino alla mia terra. Quasi quasi mi sembrava di essere ritornato in Tunisia.Dopo tutto, non è male stare con la gente di Sicilia. E’ povera gente come noi. Quando parlo di povera gente, però, non mi riferisco a tutti, ma soltanto alle persone dei quartieri del centro storico, dove abito io. Perché qui c’è tanta gente che sta bene e che con noi non ha niente da dividere. Anche se è giusto dire che questa gente molto spesso è quella che ci offre un lavoro e ci affitta le case in cui abitiamo. Quindi, anche con loro, in fondo, non si sta male. Basta soltanto saperci stare e accontentarsi.
Dopo tutto, non è casa nostra.
Io al mio paese ho fatto il meccanico, il falegname e ho pure lavorato nei campi. Ma poi la terra non dava niente e ho di nuovo cambiato lavoro. Ma mi hanno sempre pagato poco. Mi sono stancato e sono partito. Qui, invece, il lavoro c’è se tu accetti quello che vogliono loro.
Io lavoro con la sonda, faccio i buchi nel terreno. Lavoro 12 ore al giorno e mi danno 20/25 euro. Dodici ore sono tante, ma 20 euro, rispetto alla paga che mi davano al mio paese, non sono male.
Quando svolgo un lavoro, faccio un lavoro che mi piace. Faccio anche quello che i datori non mi chiedono. Poi vengono loro e comandano tutti. Mi confondo e non posso fare più niente. Però, si sa che i padroni sono tutti così in qualsiasi parte del mondo.
A volte, dopo che ho lavorato tanto, vado a chiedere i soldi e loro mi dicono: dopo, dopo, vieni sabato. Ci vado sabato e loro mi dicono: “… sa ca fari? Vieni lunedì, anzi… ti chiamo io. E io aspetto. Aspetto tanto, però, alla fine, mi pagano. In fondo, qui non è male. La cosa che manca di più è la famiglia. Però, quando la famiglia è lontana, mi manca. Quando era vicina, in Tunisia, mi veniva sempre voglia di scappare.
Forse un giorno andrò in Francia o in Belgio. Non so. O forse un giorno, quando avrò i soldi a sufficienza, tornerò a casa mia. Chissà. In fondo, dalla Sicilia sono due bracciate di nuoto. A volte, mi siedo in riva al mare e dico: “… ora me la faccio a nuoto…”. Però, poi, mi rendo conto che, in fondo, non è così facile e, allora, rimango ancora qui.
Di seguito, la traduzione in arabo