Pioveva a dirotto la sera del 12 marzo (1909), a Palermo, quando Giuseppe Petrosino fu ucciso con quattro colpi di rivoltella, nella parte più scura di Piazza Marina. E pioveva a dirotto anche la sera dello scorso 20 ottobre, quando i ragazzi della Leva teatrale di Palermo sono saliti sul palco del Museo delle Marionette Antonio Pasqualino, per portare in scena il tanto sudato Et in Arcadia Ego.
di Elèna Vitrano
Torniamo a parlare del regista Rinaldo Clementi che, con la preziosa e costante collaborazione di Giada Baiamonte, e dopo mesi e mesi di impegno e dedizione, fa il suo ritorno a teatro con il nuovo spettacolo Et in Arcadia ego, uno studio sul caso Petrosino, a sua volta ispirato al libro L’omicidio di Joe Petrosino. Misteri e rivelazioni di Anna Maria Corradini, promosso dall’Ersu Palermo e realizzato con il contributo dell’Associazione Joe Petrosino Sicilia. Quest’ultima, sin dall’anno della sua fondazione, 2013, e come ha affermato la stessa Corradini, si pone l’obiettivo di recuperare e valorizzare la memoria storica da trasmettere ai giovani, cercando di coinvolgerli in prima persona.
Il maestro Clementi, rimanendo fedele ai fatti reali e alle varie fasi della vicenda di Petrosino, prima vittima di mafia appartenente alle forze dell’ordine, tra immagini di cannibalismo, di violenza, di rabbia, di quotidianità, di dolore e amore, ha guidato il pubblico in un suggestivo ed emozionante viaggio attraverso vita, morte, storia e letteratura classica e dei nostri tempi.
Et in Arcadia ego, uno studio sul caso Petrosino: la parola a Rinaldo Clementi
Il lungimirante Nicolas Poussin diceva: “vi potrei dire cose su quest’argomento, che sono molto vere ma sconosciute a tutti. Bisogna dunque passarle sotto silenzio.”
Quanta verità in questo incipit!
Quello su Joe Petrosino è stato un caso piuttosto difficile, ancora oggi avvolto nella silenziosa nebbia. Tra investigazioni, lettere anonime, deposizioni e testimonianze di uomini, di mezz’uomini, di ominicchi, di (con rispetto parlando) pigliainculo e di quaquaraquà, ed infine discutibili messe a confronto dei dati ottenuti, i magistrati hanno chiuso il cerchio (e, volendo, anche un occhio!) su una serie di nomi strettamente legati alla Mano Nera di New York, nonché alla mafia siciliana. Seguirà poi un processo sui presunti colpevoli, in parte assolti, in parte condannati con lievi pene.
Tuttavia, non di sole indagini è fatto Et in Arcadia ego.
I dodici ragazzi della Leva teatrale di Palermo sono studenti non professionisti accumunati dalla passione per il teatro che, con devozione e responsabilità, non hanno raccontato unicamente la vita di un eroe che non temeva nessuno. Scena dopo scena, in un percorso a ritroso, indietro nel tempo, Joe Petrosino viene infatti spogliato della sua divisa, per essere poi presentato al pubblico come un uomo “normale”, uno di noi.
Del resto, Joe non è stato solamente un brillante ed ostinato poliziotto, ma anche un padre premuroso, un marito affezionato, una persona con vizi e virtù.
Et in Arcadia ego: perché questo titolo? Com’è nata l’idea?
Et in Arcadia ego, perché la Morte, quella con la “M” maiuscola – quella alla quale nessuno sfugge – è dovunque; anche nei luoghi dove sembrerebbe essere bandita – in Arcadia, appunto. Questo almeno è quanto sostenevano gli antichi che hanno elaborato il motto. A maggior ragione, a mio avviso, è dappertutto la morte conseguente agli atti di violenza umana (umana, perché è solo degli esseri umani uccidere gratuitamente e senza controllo). La storia di Joe Petrosino è tutta all’insegna di questa violenza umana. La violenza dell’uomo sull’uomo. Violento è lo sradicamento – insieme a tant’altra povera gente, affamata da governi ignobili – dal paese d’origine; violenta, se vuole essere accettato, è l’azione che il giovane immigrato deve compiere su se stesso per trasformarsi in un perfetto yankee; violento è il rifiuto delle proprie radici culturali; violento è l’ambiente sociale in cui cresce e matura; violento è il lavoro che sceglie di fare e violento è il suo modo di farlo; e non poteva che essere violenta la fine alla quale è andato incontro.
Con una scena sulla violenza, gratuita, si apre lo spettacolo; le parole che vengono dette le ho “rubate” a Manzoni. Un senatore del Regno, in un intervento in Parlamento, disse ai suoi colleghi che per capire cosa fosse il sistema mafioso sarebbe stato utile tornare a leggere quanto Manzoni dice della società dei Bravi.
Io l’ho fatto, ed è nata la prima scena dello spettacolo su Joe Petrosino.
Et in Arcadia ego si apre infatti con un susseguirsi di immagini cariche di espressioni simboliche che culminano in un’azione di cannibalismo, atta a darci un’idea della violenza descritta dal maestro, nonché ad offrirci un’importante riflessione sulla società odierna, una società malata, che vive d’ignoranza, di menzogna, priva di guide e sopraffatta da emozioni libere che, se non “filtrate”, generano “mostri” destinati a prevaricare sull’uomo.
Vi sono altre suggestioni letterarie, come dimostrano i riferimenti a Ettore e Andromaca, descritti da Omero nell’Iliade, a Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, a Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov, che arricchiscono la rappresentazione teatrale del nostro Rinaldo Clementi. E che dire della Ninnananna ebraica finale?
Et in Arcadia ego è anche frutto delle impressioni, riflessioni ed emozioni dei giovani attori della Leva teatrale di Palermo, sapientemente accolte, filtrate ed intrecciate alle loro azioni sceniche, e sul quale Giada Baiamonte, nell’inedito ruolo di aiuto regista, aggiunge: “Ho sempre pensato che fare teatro fosse un privilegio, avere il dono di trasferire agli altri una emozione, un pensiero o semplicemente far sentire lo spettatore in una sorta di limbo entro il quale può rilassarsi e staccare la spina dalla quotidianità. Trasferire, in qualche modo, questo a degli allievi universitari, che da lì a breve andranno incontro alla vita vera, credo sarà per loro, e per la loro anima, un tassello che lascerà il segno, e questo li porterà anche a non avere più paura di esprimere il loro pensiero, di presentarsi ai loro futuri datori di lavoro con aria sicura, sì insomma, di approcciarsi all’altro, al diverso. Quindi, la Leva Teatrale – a prescindere da me – deve continuare, perché insegnare all’ascolto, alla fiducia e all’amore del diverso, credo che aiuterà i giovani. Il nostro domani.”
Maestro Clementi, che valore ha per te questo progetto?
Il valore del progetto è duplice. C’è un valore in sé: il valore dello spettacolo in sé e per sé, e che dipende dalla riuscita e dal seguito che avrà; c’è poi il valore dell’operazione promossa dall’ERSU, il cui valore è indipendente dall’esito dello spettacolo. Credo che ad una Istituzione come l’ERSU quello che interessa davvero è il percorso culturale e artistico che questo gruppo di studenti universitari ha fatto in questi sei mesi.
Possiamo sperare in un bis?
Sembrerebbe proprio di sì.
Non possiamo che aspettare trepidanti.
Qualcuno dice che gran parte di noi vive “ignorando di ignorare” quasi tutto dell’esistenza, andando dietro alla menzogna, al banale (ma comodo) pensare collettivo, e nella costante paura della verità.
Non c’è niente di più sano che combattere l’ignoranza, arricchire le nostre menti, con la cultura e coltivare le nostre paure con l’arte, in tutte le sue autentiche espressioni e suggestive manifestazioni, capaci di renderci fertili al cambiamento e più forti per un domani diverso.