Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Il ‘caos fertile’ di Nino La Barbera

L’attuale percorso della ricerca figurativa di Nino La Barbera, prossima ad una esposizione romana, dipanata sul tema del corpo, del mito, del caos...

L’attuale percorso della ricerca figurativa di Nino La Barbera, prossima ad una esposizione romana, dipanata sul tema del corpo, del mito, del caos

 

di  Aldo Gerbino 

È dalle acque che il mondo organico, in tutta la sua complessità, va prendendo corpo, ora nella forma di oggetti piumati, ora nella stria lentigginosa d’un frastagliato orizzonte; o, ancora, si comprime nella pulsatile dimensione d’una luce, un tramonto, un’assorta, meditata analisi sulla propria e altrui corporeità. Sembra, in quest’apparente caos botanico e animale di Nino La Barbera, che si condensino quegli ingredienti da tanto tempo agitati nella molteplicità espressiva del suo registro figurativo.
Verso quale meta, ci chiediamo, sono diretti e da quale tensione essi prendano origine, certo non possiamo sapere. Piuttosto intuiamo come da tale embrionale opulenza e persistenza in morfologie ben differenziate possa dedursi molto della poetica di Nino per quell’essere sottesa ad un totale coinvolgimento biologico collocato nelle varie categorie del vissuto, e, allo stesso tempo, nell’ordito geologico del pianeta.

Nino La Barbera, 'Il fiore azzurro', 2016
Nino La Barbera, ‘Il fiore azzurro’, 2016

Tali sue immagini si contemplano per azzurrine trasparenze, ampiamente definite nel loro ruolo fisico: donne dai capelli fluenti, mosse quali onde frante sulle sponde d’una mitologia salmastra e poetica e in cui la Sicilia, lo stampo perenne e pervadente della sua grecità, si staglia in una non peregrina mappa luminosa, costantemente abbagliata, – almeno così possiamo rilevare dal lunghissimo percorso creativo di La Barbera (classe 1945), – da un’intensità meridiana, focalizzata in fatti e storie e accadimenti pur minimi calati per loro naturale propensione, in un bagno mediterraneo caratterizzato dalla proficua materia creativa secreta dall’artista siciliano (attivo a Roma dagli anni Sessanta).
Assorto in una rimodulazione sempre costante quasi in continua ascesa e rivisitazione del suo punto di vista sulla nuova figurazione, e sotto l’azione d’una perennità del moto che imbriglia uomini e cose, esercita una sorta di propulsione rigenerativa rivolta al recupero panteistico della platonica anima mundi, del governo umano, della necessità e possibilità di scorporare il mondo da una gravissima fase erosiva cui tutti siamo corresponsabili. Tale neo-figurazione, immersa nella classicità, si attesta senza mai dimenticare le lezioni delle avanguardie storiche: dagli esiti postfuturisti a quelli del cubismo le quali ancora esercitano un’azione ri-vitalizzante di quel meccanismo visivo capace di interpretare la realtà. Si tratta, per La Barbera, d’una realtà prossima al collasso e, contemporaneamente, speranzosa d’un gesto aperto alla metamorfosi ideale del proprio stare infisso nella quotidiana esistenza, del consegnare valore al proprio essere per una qualità migliore delle idee, ed evitare ogni scollamento o il soccombere alla iper-tecnocrazia incline a destrutturare ogni umana possibilità volta al mantenimento degli affetti sociali e di quella unicità dell’individuo, della ‘persona’ pronta a interagire con ogni essere vivente.

Nel ‘caos fertile’ intensità e movimento meridiano
In tale ‘caos fertile’ del suo registro pittorico, come ama definirlo l’artista, v’è una pertinenza non soltanto estetica, ma soprattutto ideologica; d’una ideologia oggi trasformatasi in urgenza sociale, in propositiva spinta alla salvaguardia del nostro ecosistema. Tale idealità viene qui espressa attraverso la turgescente campionatura di segni che si affastellano, si sdoppiano, si dicotomizzano in strutture foliacee, in frammenti organici, in guizzi di pinne, in vibranti voli. Altre volte si dilatano a formare strutture navicolari, ampolle e vescicole che nascondono, nel loro più intimo substrato, una cellularità vivace e spesso sofferente, una dinamica del moto organizzata in grido, in attenzione fonosimbolica concretata, non soltanto in gioioso tripudio di vita, in fertilità agognata nella quale immergersi, ma anche in denuncia di quelle forme vitali continuamente soffocate dall’utopia del governo tecnico, dalla ridondante supremazia di metodologie atte a costruire moduli che servano da calco e poi da sostituzione alle esperienze umane.

 

 

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