Viaggio all’interno del sistema penitenziario siciliano e delle sue falle
di Patrizia Romano
Dalle pene corporali a quelle detentive. Il sistema penitenziale borbonico in Sicilia spazza via molti luoghi comuni su questo infausto periodo. I Borbone riformano l’intero sistema carcerario, dando vita a un nuovo ordinamento che tiene conto delle esigenze elementari dei carcerati e della necessità di educarli, al fine di permettere loro di iniziare una nuova vita, una volta espiata la pena. Tale riforma, però, grazie al forte ostruzionismo provocato dalla burocrazia siciliana, non produce gli effetti desiderati.
Da allora, di riforme ne sono state apportate a iosa, ma i risultati continuano a essere insoddisfacenti. Gli obiettivi riformisti della rieducazione e del reinserimento sociale sono sfuggiti ai Borbone e continuano a sfuggire agli attuali governi. Le strutture carcerarie, in molti casi, sono fatiscenti e obsolete, oltre che insufficienti ad accogliere un numero sempre più elevato di detenuti. Le celle sono sovraffollate. L’organico è carente e opera in condizioni di alto rischio. L’ambiente è oltremodo promiscuo. Le condizioni igienico-sanitarie sono precarie. I sistemi di sicurezza inadeguati. La violenza tra i detenuti è l’unica forma di comunicazione, qualche volta con il tacito ‘lascia-fare’ degli agenti di guardia. Il numero dei suicidi è sempre più elevato.
CONDIZIONI STRUTTURALI
Insomma, la situazione, nel suo complesso, è veramente drammatica, con gravi ripercussioni non solo per la popolazione carceraria, ma anche per chi le ruota attorno e per chi sta fuori.
Uno dei problemi più gravi rimane il sovraffollamento che si acuisce in rapporto alla carenza strutturale. Gli istituti penitenziari sull’Isola, infatti, sono insufficienti. Secondo dati forniti dalla relazione del Garante per i diritti dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, i detenuti siciliani rappresentano il 10% della popolazione carceraria italiana. Complessivamente sono più di 8 mila, contro i 26 istituti penitenziari presenti su tutta l’Isola. Quasi il doppio della capienza prevista dalla legislazione, che fissa in 4.500 posti la capienza tollerabile.
Il sistema giudiziario, se opportunamente applicato, potrebbe alleggerire il numero dei detenuti. Circa l’80% di questi potrebbe non essere in carcere. Infatti, oltre 2 mila tra imputati e ricorrenti sono ospitati in istituti di pena, più di 300 sono internati, ossia detenuti considerati soggetti pericolosi, senza aver di fatto commesso alcun reato specifico.
REINSERIMENTO
La detenzione in carcere comporta, oltretutto, costi molto elevati. Ogni giorno, un detenuto costa alla società 250 euro circa. Soldi che potrebbero essere utilizzati per le attività rieducative e per il reinserimento. Grazie all’attività di riabilitazione sociale, circa l’80% dei detenuti, scontata la pena, non ritorna a delinquere. Il reinserimento, infatti, avrebbe dovuto essere uno degli aspetti fondamentali dei pacchetti di riforme varati nei secoli. Su questo fronte, però, le cose non funzionano affatto: soltanto il 27% dei detenuti viene impiegato in attività lavorative e meno del 9% lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. I corsi di formazione professionale coinvolgono, a malapena, il 13% dei detenuti. Eppure, l’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario prevede una serie di interventi che dovrebbe attuare la stessa amministrazione penitenziaria. Poco o niente viene fatto pure nell’ambito lavorativo su base industriale, che consiste in attività gestite dall’amministrazione penitenziaria o da imprenditori esterni e al lavoro al di fuori, che avviene attraverso l’ammissione del recluso al beneficio all’esterno e dell’affidamento in prova al servizio sociale. Di tutto questo, dicevamo, viene fatto ben poco, nonostante la Sicilia sia stata l’unica regione ad approvare la legge regionale numero 16 del ’99, che prevede la concessione di aiuti a favore di attività lavorative autonome da parte di detenuti in espiazione di pena.
La creazione di sistemi detentivi alternativi a quello intramurario potrebbe arginare il problema del sovraffollamento. Gli obiettivi, annunciati dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, sembrano, però, seguire un’altra direzione. Per i prossimi anni è prevista, infatti, la costruzione di nuove strutture, come quattro nuovi carceri, di cui uno a Catania, due nuovi padiglioni a Palermo e ad Agrigento; inoltre, sono stati già approvati i progetti per la costruzione di nuove sedi a Caltagirone, Siracusa e Trapani.
SISTEMA SANITARIO
La Sicilia invece è l’unica regione d’Italia a non avere recepito il decreto dell’1 aprile 2008 sul sistema sanitario, che assicura il trasferimento dell’assistenza dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) all’amministrazione regionale.
Sarebbe sufficiente, anche in un solo ospedale per provincia, destinare ai detenuti un reparto con un minimo di tre posti letto per garantire loro un’adeguata assistenza. Non esiste alcuna tutela per la salute dei detenuti e non si fa nulla per favorire l’attività del personale sanitario. La situazione è veramente grave se consideriamo che soltanto il 20% dei reclusi può dirsi veramente sano. Il 38% circa si trova in condizioni mediocri, il 37% in condizioni precarie e il 4% ha delle patologie gravi. L’altro aspetto che appesantisce ulteriormente la situazione è la presenza di tossicodipendenti, che rappresentano il 21% circa della popolazione carceraria e che sono soggetti particolarmente predisposti a qualsiasi tipo di patologia. Per non parlare, poi, dei detenuti affetti da Hiv. Vista la promiscuità che mette a grave rischio tutti gli ospiti della stessa cella, si preferisce nascondere il loro stato di salute che affligge i loro compagni di stanza agli altri detenuti.
CARENZA ORGANICA
La situazione all’interno degli istituti di pena è aggravata dalla forte carenza organica. La mancanza di personale si è acuita in seguito all’aumento dei detenuti, contro l’andamento del personale in atto che, negli ultimi anni, ha perso oltre 200 unità. Alla fine degli anni Novanta, infatti, la polizia penitenziaria in Sicilia contava 893 unità. Oggi appena 671. Accanto a questo, assistiamo a una repentina riduzione del capitolo missioni, che è passato da 2.400 euro nel 2007 ai 1000 euro degli ultimi tre anni. La carenza di personale ha gravi ripercussioni sul sistema. Basti pensare che il carcere di Noto non apre perché mancano 100 unità rispetto a quelle in atto. A Gela, invece, necessiterebbero circa 100 unità in più. Al Pagliarelli di Palermo, dovrebbero essere assegnate ex novo circa 40 unità. All’Ucciardone mancano infine 20 unità per l’adeguamento dell’infermeria.
Il quadro è veramente sconfortante. Tuttavia, una migliore organizzazione del lavoro e un maggiore ricorso alle tecnologie migliorerebbe la situazione. Si stima che, se in tutte le celle ci fossero le prescritte docce, se le porte interne fossero meccanizzate, se negli ospedali fossero ricavati piccoli reparti per la degenza dei reclusi e se si realizzasse una più accorta e meno dispendiosa gestione delle sedi di assegnazione e dei trasferimenti dei reclusi, si determinerebbe un risparmio pari al 20% del personale di custodia previsto in organico, con recuperi finanziari rilevanti per le casse dello Stato.