Emigrare dalla Sicilia. Ai siciliani piace talmente tanto l’estero da decidere di trasferirsi definitivamente. E’ quanto emerge da un’indagine “Italiani nel mondo” condotta dalla Fondazione Migrantes, che ci rivela che….
Ti lassu Sicilia bedda mia
Iu parru sulu la lingua to,
e partu e vaju assai luntanu
unni si parra sulu amiricanu.
(Franco Trincale,
“Sicilia a Brooklyn”
da lettera al papà lontano
di Daniela Giangravè
Fenomeno odierno – Le ultime statistiche
Secondo le indagini “Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes ai siciliani piace talmente tanto l’estero da decidere di trasferirsi definitivamente. Quasi 5 milioni di italiani all’estero, non emigrati ma viaggiatori e tra loro anche i nuovi italiani.
La XII edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes presentato a Roma il 17 ottobre ci informa che stando alle statistiche, al 1 gennaio 2017, gli italiani residenti fuori dei confini nazionali e iscritti all’AIRE (all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) sono 4.973.942, l’8,2% degli oltre 60,5 milioni di residenti in Italia alla stessa data. Dal 2006 al 2017, la mobilità italiana è aumentata del 60,1%. Nell’ultimo anno l’aumento è del +3,4%.
Da gennaio a dicembre 2016, le iscrizioni all’AIRE per solo espatrio sono state 124.076, di cui il 55,5% maschi. Il 62,4% sono celibi/nubili e il 31,4% coniugati/e. Oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia nell’ultimo anno ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni un quarto tra i 35 e i 49 anni.
Le partenze adesso non coinvolgono più il singolo individuo ma è tutto il nucleo familiare a essere coinvolto come sostenitore di questa difficile scelta. Il 9,7% è tra i 50 e i 64 anni e sono i casi di persone rimaste improvvisamente disoccupate in Italia e costrette a scelte drastiche per poter mantenere la famiglia. L’Europa rimane la prima scelta e a seguire l’Italia Settentrionale. L’Inghilterra rimane la prima destinazione, poi c’è la Germania, la Svizzera, la Francia, Brasile e Stati Uniti.
La regione Lombardia è in pole position con quasi 23 mila partenze, a seguire il Veneto, la Sicilia, Lazio e Piemonte. Solo il Friuli Venezia Giulia con il -7,3% si conferma la regione con meno partenze. Città minori come Brescia e Varese sono le new entries per addii alla volta dell’estero.
La mobilità è sicuramente in sé una risorsa grazie alla possibilità di mettersi a confronto con realtà diverse ma con lo stato di crisi generale attuale si pone come la speranza di avere un futuro migliore. Non occorrerebbe agire sulle partenze, limitare la libertà di movimento, ma convertire questo movimento a senso unico verso l’estero in movimento circolare che permetta un ricambio e uno scambio culturale continuo e crescente.
Rispetto al passato oggi una scelta di questo tipo sicuramente è molto più consapevole, il distacco forse meno traumatico. La tecnologia odierna ha accorciato di gran lunga le difficoltà di comunicazione cui invece gli emigranti di prima dovevano far fronte, così come ha accorciato i tempi di percorrenza. Forse l’attuale movente dell’autoaffermazione ha sminuito il fascino dell’emigrante italiano forte e coraggioso alla scoperta di sé e del mondo ma, checché se ne dica, la nostalgia rimane quasi sempre il leitmotiv che fa da cornice alle passioni e ai disagi di tutti coloro che vivono distanti dal posto in cui si nasce e si cresce.
Cenni storici
Nell’ultimo ventennio del ‘900 numerose testimonianze letterarie raccontano dell’emigrazione siciliana. Si ha già riscontro nella letteratura di viaggio o nelle pagine di Pirandello e nella canzone folklorica. È del 1991 La spartenza di T. Bordonaro, diario di un contadino alla scoperta della vita americana, per citarne uno.
La via del web ha accolto tutti coloro che hanno voglia di raccontare la propria esperienza, nel duemila la memorialistica e la letteratura si sono arricchite di pagine giornalistiche. La figura del siciliano è diventata così famosa da diventare un topos letterario d’oltreoceano e del cinema sfruttato da autori anche non siciliani talvolta.
La Sicilia è stata l’ultima regione a partecipare al grande esodo migratorio di fine Ottocento ed è la regione con più emigrati all’estero.
Infatti milioni di italiani lasciarono il paese dopo la metà dell’’800. Partirono da soli o in gruppi familiari, contadini ed artigiani dalle regioni settentrionali, dal Veneto soprattutto, verso altre regioni europee e verso l’America del sud. A seguire, braccianti e contadini dalle regioni meridionali verso le due Americhe. In Sicilia, dall’entroterra agricolo verso i centri costieri o i comuni zolfiferi e dalla campagna verso le città medie o grandi. Le migrazioni costituiscono, il principale strumento di mobilità sociale per gran parte della popolazione mondiale condannata all’esclusione o alla marginalizzazione economica e sociale. La Sicilia proprio in virtù di quella “questione meridionale” che ha caratterizzato il ‘900, ancora oggi è segnata da assenza di sviluppo, carente crescita produttiva e occupazionale, meta di immigrazione poco qualificata di lavoratori per lo più irregolari e clandestini sfruttati soprattutto nelle campagne.
I primi dati ufficiali sull’ondata migratoria raccolti con metodo sono del 1875. Dalla Sicilia emigrarono solo quell’anno 1228 anime. A cominciare dal censimento del 1881 le cifre sulle partenze diventano significative. Diventano importanti dal 1901 in poi: nell’anno che apriva le porte al ventesimo secolo partirono per l’estero 36.718 siciliane e siciliani. Al censimento di quell’anno, nei comuni di Alia, Ciminna, Mezzoiuso, Valledolmo e Ventimiglia si registrò una netta diminuzione della popolazione. Dal comune di Bolognetta dal 1904 al 1909 emigrarono più di 700 persone.
La grande migrazione vide in tutta la nostra regione un crescendo fino alla Grande guerra con un picco nel 1913. L’emigrazione siciliana attraversava l’oceano per arrivare in Argentina, Venezuela, Stati Uniti anche se nello stesso anno si verificò un altrettanto cospicuo flusso di ritorno. Si è tanto dibattuto sulle cause del grande esodo a cavallo tra Ottocento e Novecento e dal momento che il fenomeno si è sviluppato specialmente nelle regioni agricole si cercarono le cause di esso nella crisi dell’agricoltura dovuta all’abbassamento repentino e prolungato dei prezzi del grano importato in grandi quantità dalle Americhe, nella povertà del suolo, nello sfruttamento sfrenato dei lavoratori agricoli da parte dei proprietari terrieri e nei contratti agrari arretrati. Un modo anche da parte dei contadini di protestare in modo silente contro le condizioni pessime costretti nella loro stessa patria. Emigrazione quindi come gesto di rottura con la situazione dell’isola.
Tra il 1921 ed il 1924 il governo degli Stati Uniti spinto da agguerrite organizzazioni restringe l’emigrazione transoceanica. Il Literacy Act pone il divieto di entrare negli USA a chi non sappia leggere e scrivere. Una minaccia che avrà come risultato difficoltà di ingresso per gli emigrati italiani e l’aumento di alfabetizzazione nelle regioni meridionali. Il fascismo impone la chiusura delle strade per l’emigrazione vista come un’offesa al prestigio nazionale e al posto del termine emigrati, subentra italiani all’estero, più rispettosa.
Nonostante tra il 1923 e il 1950 in Italia e nel mondo fossero cambiate tante cose, il mito americano era rimasto immutato e rafforzato dagli eventi della seconda guerra mondiale e quelli successivi.
Il secondo Novecento, comunque, conferma il processo di deruralizzazione della Sicilia e l’esodo dalle campagne verso le fabbriche del Nord o verso le città dove lo sviluppo del settore terziario ha sviluppato l’edilizia. Distinguiamo tre fasi nell’emigrazione siciliana. La prima, più o meno fino al 1925, riguarda l’emigrazione di antico regime e l’intenzione di ritornare al paese (che spesso tuttavia non può attuarsi).
Tuttavia, il carattere di emigrazione di massa, l’assenza di una caratterizzazione di mestiere, la prevalente destinazione verso lavori di fabbrica non specializzati, le danno forti connotazioni di emigrazione moderna. Dopo il 1925 e fino alla crisi dei primi anni 1970, anche la prospettiva del ritorno crolla e l’emigrazione assume sempre più importanza nella destrutturazione della società agricola siciliana. Infine la terza fase, tra la fine del Novecento e gli inizi del nuovo millennio, sembra, come accennato sopra, collegata soprattutto alla difficoltà per i giovani diplomati e laureati di trovare il lavoro richiesto e alle maggiori possibilità di movimento in ambito europeo.