Prescrizione del diritto di accettazione ereditaria. Ogni qualvolta si apre una successione per causa di morte, sia essa testamentaria che legittima, gli eredi del de cuius subentrano in tutte le posizioni attive e passive di quest’ultimo.
Tuttavia, tale “trasmissione” non opera automaticamente per il fatto stesso che si apra la successione. Viceversa, affinché ciò avvenga, occorre che alla chiamata all’eredità (c.d. “delazione ereditaria”), che ne rappresenta il presupposto, corrisponda una manifestazione di volontà, espressa o tacita, da parte dei successibili, di accettare la eredità medesima.
L’eredità si acquista con l’accettazione
Ai sensi dell’art. 459 c.c., invero, la eredità si acquista con l’accettazione, il cui effetto retroagisce al momento dell’apertura della successione. Accettare o meno è dunque un diritto del “chiamato”, ossia del potenziale erede, il quale può manifestare il suo volere espressamente, ossia mediante specifica dichiarazione, ovvero per fatti concludenti, per esempio immettendosi nel possesso dei beni ereditari e facendo valere le relative azioni a loro tutela.
L’accettazione si prescrive dopo 10 anni
L’esercizio di tale diritto, ciò nondimeno, è temporalmente limitato: a norma dell’art. 480 c.c., l’accettazione si prescrive decorsi dieci anni a far data dal momento in cui il suddetto diritto poteva farsi valere, identificandosi esso dalla apertura della successione, sia in ipotesi di delazione legittima che testamentaria. Conseguentemente, il mancato esercizio del diritto di accettazione entro il termine prescritto, determina il venir meno, nel chiamato, della titolarità dei diritti ereditari, e ciò retroattivamente a far data dalla apertura della successione; in altri termini, il chiamato va considerato come soggetto che non ha mai assunto la qualità di erede e non è pertanto legittimato a partecipare ai rapporti derivanti dalla successione (per tutte, Cass. Civ., Sezioni Unite, n. 13429/2006). La perdita del suddetto diritto per maturata prescrizione, pertanto, viene nella prassi giurisprudenziale qualificata come vera e propria rinuncia tacita alla eredità.
Coeredi
Le conseguenze pratiche sono molteplici. Si consideri infatti al riguardo che la comunione ereditaria sorge tra coeredi e non tra semplici chiamati alla eredità: pertanto, ai fini della partecipazione alla divisione dei beni caduti in successione, viene presupposta la accettazione – espressa o tacita – della eredità, la cui mancanza comporta inevitabilmente la carenza di legittimazione processuale (sia attiva che passiva), proprio in ragione del non subingresso del chiamato nella quota dell’intero asse. Al fine di temperare il rigido regime sopra descritto, il legislatore ha stabilito al terzo comma dell’art. 480 c.c., l’ipotesi di sospensione della prescrizione decennale in favore dei “chiamati ulteriori” (in sostanza, i successibili per rappresentazione), qualora vi sia stata accettazione dei chiamati precedenti il cui acquisto sia successivamente venuto meno.
L’azione interrogatoria
Un ultimo rilievo anche di interesse pratico, attiene alla possibilità offerta dall’art. 481 c.c., per chiunque ne abbia interesse, di esercitare un’azione interrogatoria da esperire nei confronti del chiamato che ancora non abbia accettato la eredità in pendenza del termine decennale: in tal caso, ovviamente, si presuppone che non sia ancora maturata la prescrizione del diritto di accettazione. In sostanza, gli interessati (i coeredi, i creditori della eredità, etc.) possono chiedere al giudice di fissare un termine entro il quale il chiamato dichiari di accettare o meno la eredità; decorso il suddetto termine giudizialmente stabilito senza che l’interrogato fornisca risposta, quest’ultimo perde definitivamente il diritto di accettazione.
*Avvocato