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Divorzio e TFR: quando e quanto spetta all’ex coniuge?

Facciamo chiarezza su un tema spinoso in caso di divorzio: al momento di percepire il Trattamento di Fine Rapporto, che diritti ha l'ex coniuge su questa somma di denaro?

di Dario Coglitore

Il TFR, ovvero, il trattamento di fine rapporto (la cosiddetta “Liquidazione”) rappresenta una somma di danaro a cui il lavoratore ha diritto all’atto della cessazione del proprio rapporto di lavoro subordinato o al momento del pensionamento.
In caso di divorzio l’art. 12 bis della l. 1 dicembre 1970, n. 898 prevede la possibilità di ottenere una quota pari al 40 % del TFR spettante all’ex coniuge.

Le ragioni di un diritto

Un simile diritto risiede in motivi di carattere solidaristico volendosi attribuire un riconoscimento al contributo dato dal coniuge, di solito la moglie, all’attività lavorativa dell’altro e quindi alla crescita economica della famiglia durante il matrimonio.
Il fondamento dell’istituto poggia dunque in un concetto di famiglia che normalmente vede il coniuge più debole, la moglie, in prevalenza addetta alla cura dei figli e della casa, ed il marito dedito ad una attività lavorativa.
Occorre però precisare che il diritto alla quota di TFR va commisurato “agli anni nei quali il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio” e che, nel computo degli anni, vanno conteggiati anche quelli di separazione sino alla data del divorzio (la separazione infatti non muta lo status di coniugi, trattandosi essenzialmente di una “autorizzazione” a vivere separati).

Come calcolare la quota di Tfr da passare all’ex coniuge

Ancora, la giurisprudenza ha chiarito che la quota di TFR deve essere calcolata al netto di quanto percepito dal coniuge titolare del trattamento in costanza di rapporto di lavoro a titolo di anticipazioni (Cass. Civ. n. 788/2017; n. 24421/2013) nonché al netto degli oneri fiscali.
• Come recentemente chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 12056/2020 del 22 giugno 2020, per potere usufruire del beneficio occorre essere già titolare di un assegno divorzile, seppur minimo, a carico dell ex lavoratore (è escluso in caso di assegno una tantum) ed essere rimasto celibe o nubile a seguito di divorzio; diversamente l’assegno di divorzio viene a cessare.
• E’ inoltre indispensabile il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio al momento in cui viene ad esistenza il diritto al TFR.
• La legge non prevede lo stesso diritto per il coniuge separato.
Tuttavia, se il lavoratore avrà maturato il TFR nel periodo successivo alla separazione ma prima del divorzio, l’altro coniuge non potrà chiederne l’assegnazione di una quota, ma solo un aumento dell’assegno di mantenimento. Viceversa, se il TFR sarà maturato prima della sentenza di divorzio ma dopo il deposito del ricorso, l’altro coniuge ne avrà diritto.
Sulla apparente disparità di trattamento si è già pronunciata anche la Corte Costituzionale la quale ha confermato che la disciplina è prevista esclusivamente per il divorzio e non applicabile ai coniugi separati (Ord. Corte cost. n. 463/2002)

Si può negoziare

Si ritiene infine che il diritto alla assegnazione della quota sul TFR sia negoziabile, ma non durante durante la separazione atteso che ogni patto stipulato in epoca antecedente al divorzio, volto a predeterminare il contenuto dei rapporti patrimoniali del divorzio medesimo, deve ritenersi nullo per illiceità della causa.
In conclusione, il coniuge divorziato che chiede l’assegnazione della quota TFR dovrà provare: a) la cessazione degli effetti civili del matrimonio; b) la durata di quest’ultimo che coincide con gli anni di lavoro a cui si associa il TFR; c)l’ esistenza di un assegno divorzile a proprio favore.
L’attribuzione della percentuale del 40% del TFR al coniuge divorziato però non è automatica; il coniuge, salvo spontaneo riconoscimento da parte dell’altro coniuge, dovrà presentare con il patrocinio di un avvocato apposito ricorso innanzi al tribunale competente che provvederà in camera di consiglio.
Avvocato Dario Coglitore

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