Svapare aumenta le percentuali di rischio di trasmissione dell’infezione da SARS-Cov-2 a causa delle piccole particelle emesse durante l’esalazione dell’aerosol della sigaretta elettronica?
Per rispondere a questa domanda, il CoEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Nucleari di Città del Messico e la Myriad Pharmaceuticals di Auckland, ha valutato le possibilità che le particelle emesse durante lo svapo possano aumentare il rischio di contagio da coronavirus. La ricerca ha evidenziato che, in considerazione della brevità dell’atto della svapata, del tempo di esposizione e dei dati statistici su carica virale e tassi di infezione, svapare comporterebbe un aumento di solo l’1% del rischio connesso alla trasmissione del coronavirus rispetto alla normale attività respiratoria a riposo.
Lo studio
Sia l’OMS che il CDC hanno da tempo riconosciuto il ruolo che le goccioline di saliva emesse durante qualsiasi attività respiratoria hanno nella trasmissione del Covid-19. Studiare quanto tali attività, come il parlare, il tossire o lo starnutire caratterizzino la diffusione dell’epidemia significa avere più strumenti per arginarla. Nel caso specifico del vaping (l’atto di inalare da una sigaretta elettronica), si è voluto studiare la possibilità che le goccioline emesse da un vaper infetto durante l’esalazione dell’aerosol delle sigarette elettroniche possano aumentare il rischio di contagio.
Sigaretta elettronica e sigaretta tradizionale
Considerando che la propagazione dell’aerosol è influenzata dalla tipologia di device utilizzato, nello studio in oggetto è stato preso come riferimento lo stile di inalazione più comune, ovvero quello praticato da circa l’80-90% dei vapers il cosiddetto “svapo di guancia”, durante il quale il vapore staziona nella bocca prima dell’inalazione nei polmoni. Mancando dati specifici relativi all’emissione di droplets nel vaping, sono stati presi come modello i dati di esalazione del fumo delle sigarette convenzionali: i fumatori solitamente espirano una miscela di fumo e aria con un volume del 30-40% maggiore del normale volume respiratorio a riposo.
Sono stati utilizzati come parametri la quantità di sbuffi prodotta in media durante lo svapo, le dimensioni delle goccioline emesse, la temporalità limitata dell’azione e i dati sulla carica virale del Covid-19 e gli altri parametri di infezione per procedere a valutare il tasso di rischio considerando lo scenario classico di una abitazione o di un ristorante con normale ventilazione.
Un rischio molto basso
A valutazione eseguita, svapare comporta un aumento di solo l’1% del rischio: come paragone, 30 colpi di tosse nell’arco di un’ora corrispondono a un aumento del rischio del 260%.
“Studiare e comprendere quali sia il ruolo delle diverse attività respiratorie nella trasmissione del virus, è di fondamentale importanza per migliorare le strategie dirette al contrasto della diffusione dell’infezione e per informare correttamente la popolazione – ha spiegato il Prof. Riccardo Polosa, autore dello studio -. La nostra analisi dimostra che svapare in pubblico non comporta alcun rischio aggiuntivo rispetto a qualsiasi altra attività sociale, come mangiare insieme o incontrarsi per chiacchierare. Rimane comunque buona norma rispettare le norme di distanziamento, soprattutto in contesti di socialità. Quindi si allo svapo, ma rispettando sempre il distanziamento sociale e gli altri“.
Tutte le attività sociali, svapo incluso, nel loro insieme comportano un rischio residuale di contrarre l’infezione: anche nei luoghi chiusi, rispettare le persone con cui condividiamo momenti di socialità, adottando il distanziamento sociale e utilizzando i dispositivi di protezione, significa limitare il più possibile il propagarsi dell’infezione.