Il 2020, l’”Anno Sanzio”, è un anno importante per gli studi e le attività espositive centrate sull’arte dell’arazzo.
All’origine di tutto c’è il notissimo progetto delle tessiture. Progetto curato appunto da Raffaello Sanzio per la Cappella Sistina. Al quale è dedicata nel febbraio 2020 la memorabile esposizione dai Musei Vaticani direttamente nella Cappella. L’arazzo faceva parte di una serie della quale si conosceva solo la Lapidazione di Santo Stefano nel castello du Plessis-Bourrè, ad Angers. Ora l’arazzo è esposto al Museo Regionale di Palazzo Abatellis. Gli studi di Anna Maria de Strobel e Cecilia Mazzetti di Pietralata, confluiti nel volume Leone X e Raffaello in Sistina, gli arazzi degli Atti degli Apostoli, hanno condotto alle tessiture di Heinrich Mattens di Bruxelles 1620/24
Testimonianza degli arazzi sistini
Esso è testimone importante della estesa fortuna che ebbero gli arazzi sistini e, con essi i cartoni oggi al Victoria & Albert Museum di Londra. Gli arazzi furono da subito celebri per la loro bellezza e alcune corti d’Europa chiesero di replicarli. Nella definizione dei modelli copiati dai cartonisti tagliati per il telaio, sono apportate varianti. Un po’ ovunque. Negli sfondi, nelle ambientazioni o nel numero delle figure con le bordure personalizzate, mentre lo schema del soggetto è replicato e reso immediatamente riconoscibile.
Cosa raffigura l’Arazzo
Nelle occasioni raffaellesche del Centenario, quest’opera appartenente alle collezioni di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona è esposta all’Istituto Nazionale per la grafica di Roma. In un secondo tempo al Bastione Sangallo a Loreto e oggi a Palermo. L’arazzo raffigura l’episodio, compreso nell’opera evangelizzatrice di Pietro e Paolo. Episodio in cui il neofita Anania cela parte del ricavato dalla vendita di un fondo da destinare alla comunità. Viene rimproverato da S. Pietro e cade morto.
Occasione di riflessioni
L’occasione offerta dall’esposizione dell’arazzo raffaellesco a Palermo fa riemergere una serie di relazioni e legami non ovvi. Anzi fecondi di opportuni e doverosi approfondimenti. In primo luogo torna in discussione la memoria dello Spasimo di Sicilia. Il dipinto che raffigura l’ Andata al Calvario del 1517, noto come lo Spasimo di Sicilia, ebbe un arrivo rocambolesco. Finito in mare a seguito di naufragio ad Ostia, è miracolosamente ripescato sulle coste liguri. Fu necessario l’intervento papale per farlo restituire a Palermo, ma dopo vari spostamenti Filippo IV lo volle in Spagna.
La leggenda
La versione di Caltanissetta alimenta la leggenda che al Re è ceduta una copia e che l’originale sia rimasto invece in Sicilia. Che sia vero o no questo racconto, ai siciliani piace pensare che loro siano ancora depositari dell’originale. Altrettanto significativo è il legame che questo arazzo riporta alla memoria con personaggi che nel Museo Regionale di Palazzo Abatellis sono effigiati in veri e propri capolavori della ritrattistica. O più ampiamente alle grandi ragioni del territorio, Eleonora d’Aragona e il probabile Ferrandino d’Aragona (per le affinità stilistica all’esemplare conservato al Louvre). Fu il cardinale Luigi d’Aragona (1474-1519) siciliano per madre, Polissena Ventimiglia di Geraci, che fu in contatto con Raffaello e con Leonardo ed Amboise. Egli è incaricato da Leone X di far eseguire a Bruxelles la tessitura degli arazzi con gli Atti degli Apostoli per la Cappella Sistina.
Tra ombre e luci
Il cardinale ed altri, sono personaggi pieni di luce ma anche di ombre oscure. Tra arte e letteratura come viene fuori anche da “The tragedy of duchess of Amalfi” di John Webster. Qui, il palermitano Antonio Beccadelli di Bologni e la stessa Giovanna d’Aragona sorella del cardinale caddero sotto i colpi dei suoi sicari. I rapporti tra i d’Aragona proseguono ancora. E proseguirono con Giovanna d’Aragona (1502-1575) di Montalto, modello di bellezza nel trattato De pulchro et amore del filosofo Agostino Nifo. E’ ritratta da Raffaello e il dipinto su tavola, in periodo napoleonico a Parigi fu traslato su tela, come accadde anche per lo Spasimo. Ella era madre del Viceré di Sicilia Marcantonio Colonna che diede all’Isola una moderna suddivisione amministrativa e a Palermo un nuovo taglio urbanistico. La passione di Colonna per la palermitana Eufrosina Valdaura provocò delitti a catena ispirando storie e leggende tradotte da Leonardo Sciascia in Farfalla di morte.
L’esposizione a Loreto nel Bastione Sangallo
L’arazzo Bilotti Ruggi d’Aragona è esposto a Loreto nel Bastione Sangallo. E messo a confronto con alcuni manufatti del 1667 della stessa officina Mattens nel Brabante donati da Giovan Battista Pallavicino. Come molti banchieri genovesi, i Pallavicino, non rientrando delle ingenti anticipazioni alla Corona ricevettero come contropartita l’arcipelago delle Egadi nel 1637. Per due secoli le popolarono. Rendendole coltivabili e feconde con l’avvio di un “piano agrario”. Introducendovi bestiame, trasferendovi pescatori- tonnaroti e impiantando vigneti avviando una produzione vinicola proseguita dai Florio.
L’arte dell’Arazzo in Sicilia
La mostra sollecita da ultimo una riflessione sull’arte dell’arazzo. In Sicilia la presenza di arazzi è prevalentemente a ricamo realizzata sulla scia della tradizione. Al museo civico di Termini Imerese arazzi ricamati a punto pittoresco e punto lanciato con l’aggiunta di bordure ricamate con granidi corallo eseguite a Trapani. Raccontano le storie di Coriolano eseguiti su cartoni del pittore termitano Vincenzo La Barbera, provengono dal Castello di Caccamo.
Altri arazzi sono a Palazzo Mirto
Altri arazzi a ricamo sono a Palazzo Mirto, a villa Niscemi e in collezioni private. Esigue le presenze di arazzi a telaio poiché d’importazione. Di Bruxelles è la manifattura della serie di Marsala con scene di guerra tra Romani e Giudei. Anche qui storia e aneddoti si intrecciano. Gli arazzi giunsero in Sicilia in modo misterioso. La leggenda narra che Maria, regina d’Inghilterra, figlia di Caterina d’Aragona e Enrico VIII, durante una tempesta abbia trovato riparo nel porto di Marsala. Qui è ospitata da monsignor Antonino Lombardo, che diviene il suo confessore e consigliere culturale.
Gli otto arazzi sarebbero stati il dono di ringraziamento al religioso. Il quale a sua volta li lasciò nel 1589 alla chiesa Madre con l’obbligo che non fossero spostati in altro luogo. Di manifattura francese Gobelins con storie di Enea, invece, sono quelli allocati a fine ‘800 nello scalone di villa Whitaker. A Monreale “Il sogno di Guglielmo” di manifattura napoletana. Gli arazzi sono considerati dal mondo scientifico “arti applicate”. Questa definizione è contraddetta dal procedimento creativo. Ciò in quanto nell’esecuzione è il disegno ad essere “applicato” al telaio, e il prodotto finito è quello della tessitura.
Varie le interpretazioni circa la provenienza
Varie sono le letture e le interpretazioni nel campo delle derivazioni. Il cartone a cui si tende ad attribuire una maggiore “autenticità” perché viene dalle mani del pittore sta all’arazzo tessuto come la lastra sta all’incisione. Il cartone nasce per un uso esclusivamente strumentale ed anzi esso prelude alla realizzazione a telaio, è pensato e tracciato al solo scopo della tessitura.
Ananias et Saphira del francese Nicolas Dorigny
In mostra si trova esposta anche un’incisione: Ananias et Saphira del francese Nicolas Dorigny (1658-1746). Essa è realizzata, su incarico della regina Anna d’Inghilterra, ad acquaforte e bulino. Tra il 1711 e 1719 per celebrare la collocazione del cartone ad Hampton Court di fronte la consegna delle chiavi. Raffello è stato grande innovatore anche nella comunicazione, sosteneva la riproduzione e la diffusione dell’immagine, soggetto e composizione attraverso stampe multipli. Il rapporto di Raffaello con la stampa e la fortuna visiva delle sue invenzioni sono tra i temi più frequentati dalla critica degli ultimi decenni. Incisori e artisti della stretta cerchia di Raffaello o che dallo stesso hanno derivato idee ed invenzioni. In un circolo vorticoso di rimandi tra disegno, pittura, incisione Nonché, in un’ampia serie di prodotti delle cosiddette arti applicate. O, come le definiva Giorgio Vasari, le “arti congeneri”.