Una tappa fondamentale nel percorso diagnostico e terapeutico del paziente affetto da patologia linfoproliferativa è la corretta caratterizzazione del linfoma. Tra le prime domande che vengono poste dal paziente dopo la diagnosi di Linfoma frequentemente troviamo: “Cosa significa Linfoma di Hodgkin o Non Hodgkin?” oppure “É un linfoma B o T?”.
La risposta a queste domande è relativamente semplice, ma nello stesso tempo spesso riduttiva, essendo la classificazione dei linfomi estremamente complessa. Esistono, infatti, diversi sottotipi di linfoma che si differenziano tra loro per comportamento clinico e trattamento.
Una precisa e corretta diagnosi istologica è il punto di partenza per scegliere caso per caso la terapia più adatta.
Di seguito una breve classificazione dei linfomi.
Linfoma di Hodgkin
Il linfoma di Hodgkin è una forma di linfoma caratterizzata dal punto di vista istologico da un numero relativamente scarso di cellule neoplastiche (cellule di Reed Sternberg) circondate da numerose cellule di tipo infiammatorio. Colpisce tipicamente pazienti giovani (tra i 15 e i 40 anni), con un secondo picco di incidenza meno frequente negli anziani. Può essere di tipo classico o a predominanza linfocitaria nodulare. Inoltre, il linfoma di Hodgkin classico è a sua volta distinto in quattro sottotipi: a sclerosi nodulare, a cellularità mista, ricco in linfociti o a deplezione linfocitaria.
Linfoma Non Hodgkin
Presenta un’incidenza 5-6 volte maggiore rispetto al Linfoma di Hodgkin e può derivare da tutti i tipi di linfociti (B, T e NK). Esistono diversi sottotipi, ognuno con una particolare presentazione clinica, biologia e prognosi.
In base al comportamento clinico si possono distinguere:
– linfomi indolenti che si sviluppano lentamente e che necessitano di trattamento solo se in presenza di sintomatologia o di specifici criteri strumentali e laboratoristici. I sottotipi più frequenti sono il linfoma follicolare, quello marginale e quello linfocitico
– linfomi aggressivi che progrediscono rapidamente e che richiedono trattamenti tempestivi e più intensivi. Tra questi annoveriamo il linfoma diffuso a grandi cellule B (il più frequente), il linfoma a cellule T periferiche e il linfoma mantellare.
Ci sono fattori prognostici decisivi nell’orientare su una strategia di trattamento piuttosto che su un’altra?
Si, assolutamente ci sono dei fattori che possono aiutare il clinico nella decisione terapeutica. Il medico, per la scelta del regime più appropriato, valuta diversi parametri clinici e biologici. Tra questi troviamo: l’età del paziente, lo stadio della malattia valutato sulla base della TC e della PET, l’eventuale compromissione midollare, le condizioni generali del paziente (Performance Status), la presenza di anomalie di alcuni esami di laboratorio.
Nella pratica comune sono stati sviluppati diversi indici prognostici, tra questi il più utilizzato per il linfoma diffuso a grandi cellule B è l’International Prognostic Index (IPI). In questo caso è stato assegnato un punto per ciascuno dei seguenti fattori di rischio: età maggiore di 60 anni, malattia in stadio avanzato (III o IV), LDH sierico elevato, Performance Status ≥ 2, sedi extranodali ≥ 2. In base alla somma dei punti è possibile valutare la classe di rischio per ogni paziente.
L’influenza dei fattori biologici sulla terapia
Come detto in precedenza, vi sono anche fattori biologici che possono influenzare la decisione terapeutica. Per esempio, la presenza della mutazione del gene TP53 nei linfomi a piccoli linfociti determina una resistenza ai trattamenti chemioterapici standard, rendendo necessario l’impiego di farmaci biologici in prima linea. Nei linfomi B a grandi cellule, il riscontro di traslocazioni a carico dei geni MYC, BCL 2 e/o BCL 6 caratterizza un sottotipo di linfomi ad alto grado con decorso più aggressivo, identificando pertanto un sottotipo di linfoma che necessita di un trattamento più intensivo rispetto allo standard. Altre volte, l’identificazione di specifici antigeni bersaglio espressi dalle cellule tumorali permette di optare per terapie con anticorpi monoclonali diretti contro queste molecole (per es. Brentuximab vedotin, un anticorpo monoclonale anti CD30 utilizzabile nel linfoma di Hodgkin e nei linfomi non Hodgkin T anaplastici CD30 positivi).
Dott. Luigi Petrucci
Medico Ematologo
Comitato di Redazione FIL