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Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Cronache dalla guerra in Ucraina

"Se non si raccontasse il dolore, nessuno crederebbe nella sua esistenza". Con questo spirito, 3 giovani videomaker palermitani e un marchigiano sono partiti alla volta dell'Ucraina, per documentare quanto accade nei territori in guerra. (tutte le foto dell'articolo sono state scattate dai 4 ragazzi)

di Clara Di Palermo

Sono corsi in quei territori dove arrivano donne e bambini vittime della guerra tra Russia e Ucraina perché hanno avvertito un bisogno impellente, quello di far qualcosa per quel popolo in fuga dall’orrore di un conflitto che, sebbene nell’aria da giorni, sembrava non dovesse mai accadere.

Così, telecamere e bagagli, sono partiti alla volta del fronte di guerra, per documentare quanto stava accadendo e per cercare di aiutare, come possibile: hanno avviato una raccolta fondi il cui ricavato sarà interamente devoluto alle associazioni che operano sul territorio per aiutare i profughi.

Stiamo parlando di tre giovani palermitani, Vincenzo Lo Iacono, Gabriele Campanella, e Guglielmo Brancato più un marchigiano di Ancona, Nicola Pergolini. E da Guglielmo Brancato ci siamo fatti raccontare questa esperienza, anche se le parole non riusciranno mai a rendere ciò che i loro occhi hanno visto e che, a breve, sarà raccontato in un documentario.

Siamo andati lì per documentare la guerra

La possibilità di raccontare storie di cui siete stati testimoni in questa vostra esperienza: avreste mai pensato di farlo da un fronte di guerra?
“In realtà era una cosa che volevo personalmente fare da sempre. Ho iniziato a fotografare sfogliando i libri di Salgado. Poi, durante il boom di McCurry, mi sono interessato alla sua produzione iniziale, che è proprio la narrazione della guerra in Afghanistan e Pakistan. Inoltre, dopo la scuola militare Nunziatella, ho sempre sognato di accompagnare i miei compagni di classe, oggi ufficiali, in qualche missione e raccontare il loro operato. Andare a Medyka e Leopoli è stata una tappa iniziale, in cui imparare il mestiere ma minimizzando i rischi. A 24 anni va bene così”.

Qual è stato il sentimento più forte che porterete sempre con voi?
“Personalmente, la sensazione di felicità che solo la solidarietà può darti. Vedere volontari da tutto il mondo accorrere per aiutare mi ha fatto ricordare i tempi da bambino in cui speravo si potesse vivere in pace per sempre”.

Vi è capitato di avere la telecamera accesa mentre facevate delle riprese e decidere di abbassarla per rispetto di ciò che inquadrava?
“Si, i primi momenti. Stavo fotografando un bambino in braccio ad una donna. Lei era molto provata dal viaggio. Era notte. Ho vacillato. Prima di scattare, mi sono ricordato che è solo grazie ai reporter una solidarietà così forte. Se non si raccontasse il dolore, nessuno crederebbe nella sua esistenza.  Nessuno aiuterebbe. L’immagine aiuta ad empatizzare. Ammetto che tra il fotografare e il riprendere, la seconda è più “imbarazzante”, perché spesso ti ritrovi a puntare un soggetto per più tempo. Con una fotografia, fai click e basta. Quando giri, ti soffermi. A volte si crea una situazione di imbarazzo. Eppure, anche nell’imbarazzo, si nasconde bellezza”.

La guerra in Ucraina e la sofferenza delle vittime

Donne e bambini via dal loro paese e voi avete visto e toccato con mano: che esperienza è stata dal punto di vista umano. L’esperienza personale di ciò che avete visto e vissuto prevale sull’adrenalina da videomaker?
“Credo che le due cose debbano viaggiare insieme. Io empatizzo con la loro sofferenza e quindi la racconto. Più empatizzo, più soffro con loro, più voglio raccontare, più sento adrenalina. Sono cose che viaggiano insieme, secondo me. Una non può prevalere sull’altra. Se succede, significa che o stiamo facendo male il nostro lavoro, o che non abbiamo abbastanza forza interiore per farlo”.

Qual è l’obiettivo di questo documentario?
“Prima di tutto, aumentare ulteriormente la sensibilizzazione sociale al tema. Servono più aiuti. Poi, trasmettere in maniera pura e apolitica ciò che succede lì. Infine, iniziare a fare capire al mondo che se volete, noi siamo pronti ad andare ovunque, anche nei posti più caldi, pur di raccontare. Non siamo solo 24enni curiosi. Siamo reporter che lavorano, senza alcun guadagno, per amore di verità. E lo facciamo con il cuore”.

Avete avviato anche una raccolta fondi per sostenere chi è in fuga dalla guerra in Ucraina: come verranno concretamente utilizzati questi soldi?
“Sono stati spesi per acquistare pannolini e assorbenti. Purtroppo abbiamo raccolto poche donazioni, ma anche quel poco farà la differenza. Abbiamo proposto anche un passaggio per Cracovia al nostro ritorno, ma con un solo posto disponibile nessuno voleva partire. Sul posto abbiamo aiutato concretamente. Abbiamo fatto compagnia ad un ragazzo di 17 anni che se inizialmente appariva rude e aggressivo, poi ha voluto stringerci in un grande abbraccio. Ci siamo scambiati dei regali. Abbiamo cercato per lui e la sua famiglia un passaggio per la Germania. Abbiamo scortato un gruppo di tre donne a Leopoli per consegnare medicinali, acqua e armi ai loro mariti”.

Talvolta gli occhi dicono più delle parole: uno sguardo che porterete sempre con voi…
“Credo che non dimenticherò mai lo sguardo di Masha mentre abbracciava suo marito, un soldato ucraino. Lei aveva fatto chilometri per portargli elmetti, armi, medicinali e cibo. Avevano solo un minuto per salutarsi. Non si vedevano da una settimana. Non avevano notizie l’uno dell’altro da sette giorni. Prima si sono guardati negli occhi. Poi si sono scambiati un bacio. Non sono riuscito a fotografarlo. Ero troppo coinvolto”

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