Ernesto Maria Ponte, che ultimamente all’Agricantus ha avuto uno straordinario successo con lo spettacolo “Con l’acqua alla gola”, spiega nell’intervista che ci ha rilasciato l’importanza dell’arte di far ridere per liberarsi dagli stereotipi
di Pippo la Barba
Nell’ultimo film di Checco Zalone “Quo vado” si prendono di mira i luoghi comuni oggi in voga. È quello che deve fare un attore comico?
Ho sempre pensato che la comicità non ha nulla a che fare con la banalità, anzi serve a mettere in evidenza in maniera grottesca i problemi sociali.
Quindi l’equazione comicità uguale evasione non è un’affermazione vera?
L’evasione indubbiamente ha a che fare con la comicità, ma quest’ultima è ben altro. Neanche nel cabaret, che è una tipologia rispettabilissima di spettacolo, perché anche in quel caso l’aspetto ironico serve ad avvicinare la gente alla vera dimensione della quotidianità.
Tu sei ritenuto un comico naturale, ti ci vedresti in un ruolo drammatico?
Nel mio trascorso c’è tanto teatro e ci sono anche ruoli drammatici poco noti al grande pubblico. Un attore, arrivato a un certo punto, è costretto a fare delle scelte, deve caratterizzarsi se vuole durare. Io ho fatto la scuola di Gigi Proietti e ho avuto ancor prima come maestri Elio Di Vincenzo e Pippo Spicuzza. Ho ricevuto una formazione teatrale a 360 gradi, ma oggi indubbiamente mi considero un comico, sia come attore che come autore e regista.
Secondo te la comicità nasce principalmente dall’uso della parola, come è un po’ nella tradizione italiana, ovvero può scaturire dalle situazioni, senza che ci siano necessariamente le battute?
La comicità di situazione è quella più elogiata e anch’io la prediligo. Non è vero però che nella tradizione italiana la comicità nasca soprattutto dalla parola, anzi essa deriva dalla farsa, che è una comicità di situazione. Detto questo,è pur vero che oggi i comici usano una comicità basata per lo più sulle battute.
Perché a Palermo la comicità interessa più i ceti popolari, mentre è snobbata dagli intellettuali?
Palermo purtroppo è una città provinciale. Non comprendere sino in fondo la vera funzione della comicità è’ un problema culturale. Mi piace citare un bellissimo pensiero di Dario Fo: “Ancora non si è capito che solamente con il divertimento, la passione e il far ridere si ottiene una vera crescita culturale”.
A Palermo non è stato valorizzato neanche il cosiddetto teatro popolare…
Sì, è vero. Il teatro popolare è stato per lo più confinato nell’ambito delle compagnie amatoriali. A Catania c’è invece una tradizione di teatro popolare di tutto rispetto, che va da Angelo Musco a Rosina Anselmi, sino a Turi Ferro e Tuccio Musumeci.
Teatro popolare vuol dire teatro dialettale?
Bisogna distinguere. La lingua è giusto che sia quella dialettale. Proietti diceva sempre che tutti tendiamo ad esprimerci in dialetto perché questo consente di conservare le peculiarità. A condizione però, nel caso del teatro, che i contenuti siano nelle corde degli spettatori, non siano cioè temi locali ma espressioni di un sentire comune. Ho fatto spettacoli fuori della Sicilia con battute in siciliano stretto che venivano perfettamente capite dal pubblico.
Secondo te è vera la vulgata che considera quello dell’attore un mestiere precario?
Lo considero un mestiere prima ancora che un’attività artistica. Come tutti i mestieri, richiede costante applicazione e aggiornamento. Se fatto bene, ti dà gratificazioni e di che vivere. Io dopo che sono uscito dalla scuola di Proietti non ho mai pensato di fare un altro lavoro, e debbo dire che anche economicamente il teatro mi ha consentito di vivere dignitosamente.
In che misura esiste una correlazione tra scena e quotidianità?
C’è una correlazione stretta, nel senso che l’arte nasce dalla vita. Io sono uno di quelli che sia come autoreche come interprete trasfondo sulla scena il mio modo di essere e di pensare.Mi considero un artista“popolare” non nel senso della notorietà ma perché vicino al modo di essere del popolo.