Davide Cirri, giovane attore palermitano, che attualmente lavora con Toni Servillo, ci parla a cuore aperto di una grande passione per il teatro e delle sue aspirazioni artistiche perseguite con convinzione ed entusiasmo
di Pippo La Barba
Tu a differenza di tanti altri giovani che hanno il sogno del teatro e vanno per tentativi nelle realtà locali, hai giocato d’azzardo iscrivendoti a una grande scuola in una città teatrale come Milano. Ne è valsa la pena?
Assolutamente sì, ne è valsa la pena, per la mia idea di teatro, perchè partire dalla città di nascita, da Palermo, a provare le selezioni per le accademie è una cosa di cui sarò grato per tutta la vita. Stare lontano dalla mia città mi ha permesso di iniziare un percorso di crescita, personale e culturale, di conoscere gente e luoghi nuovi, modi di pensare e di vivere, quindi di recitare, diversi. Mi ha fatto emergere degli istinti che non conoscevo, quelli che ti fanno capire se vuoi veramente fare il mestiere dell’attore o meno. C’è anche da dire che purtroppo in Sicilia non ci sono accademie di eccellenza. Io, come tanti ragazzi, ho iniziato con le realtà locali e nel mio percorso di studi a Palermo ho incontrato un grande Maestro di teatro, Maurizio Spicuzza, che come pochi conosce il linguaggio del teatro, siciliano e non. Grazie a Maurizio, tra le altre cose, ho conosciuto le accademie di eccellenza in Italia come la Paolo Grassi ed è stato proprio lui ad invitarmi ad andarmene.
Questo sogno, una volta concretizzato e tradotto in lavoro faticoso e pur sempre precario, è rimasto tale ovvero è diventato qualcos’altro?
Questo sogno non è concretizzato, diciamo che ho avuto la possibilità e la fortuna di lavorare, e quindi di mettere in pratica i miei studi, accanto ad un grande maestro come Toni Servillo, ma i miei sogni spero di non concretizzarli, perché quando arrivi a concretizzare qualcosa, questo ti porta a un rasserenamento, ad un appagamento, CHE NON È QUELLO CHE VOGLIO IO. Io voglio invece essere continuamente spronato dalla voglia di ricerca del teatro, della recitazione, anche perché, come diceva Louis Jouvet, “tutto ciò che ho cercato di fare nel teatro, tutto ciò che ho cercato di conoscere mi lascia insoddisfatto. Se mi guardo a fondo non ho fatto altro che cercare di sapere, e di tutte le calde emozioni che alcuni momenti, che alcuni momenti drammatici mi hanno dato, soprattutto quando parevano indicarmi una scoperta vicina, solo questa curiosità mi resta, la scoperta non l’ho fatta, continua la ricerca”. Beh, io ho solo 24 anni e direi che mi fido ciecamente.
Ora che conosci le difficoltà che si frappongono a una completa realizzazione delle aspirazioni artistiche, che tipo di attore ti consideri?
Ricollegandomi a ciò che ho detto prima, non credo di avere una completa realizzazione artistica, ho ancora tantissimo da imparare e soprattutto ho tanta voglia di fare teatro, non mi considero niente, sono solo un ragazzo che ama il proprio mestiere, il mestiere dell’attore in tutte le sue sfumature.
Avendo fatto anche cinema, in quale dei due ambiti ti senti più appagato?
Ho fatto solamente un’esperienza cinematografica, si trattava di un docufilm dal titolo “Gramsci 44”, una bellissima esperienza, ma ho fatto molto più teatro, quindi ovviamente ti dico che preferisco il teatro; magari un giorno, se ho la fortuna di fare qualche altro film, potrò risponderti in maniera più precisa, ma comunque penso che il teatro sia il massimo per un attore.
Ti faccio una domanda provocatoria: tu sei nato e vissuto sino a due anni fa a Palermo. Hai “scavalcato” Palermo, oltre che per una più ottimale realizzazione artistica, perché consideri questa città provinciale culturalmente?
Beh proprio qualche giorno fa Palermo è stata eletta capitale della cultura. Non penso che sia una città provinciale, con tutto il rispetto per le provincie, anzi penso che sia culturalmente sottovalutata. C’è da dire anche che per quanto riguarda il teatro, a Palermo c’è una sovrabbondanza di cabaret, spettacoli d’intrattenimento (lo si può notare dai cartelloni appesi in tutti i muri della città) rispetto al teatro impegnato. Con questo non voglio negare l’importanza della leggerezza, ma bisogna trovare un equilibrio, come in tutte le cose, si sa che l’eccesso fa sempre male.
Cos’è per te la sicilianità?
La sicilianitá non so cos’è, potrei dirti che è un miscuglio di varie dominazioni, di popoli diversi, e che, grazie a loro, abbiamo un magnifico dialetto e una straordinaria cucina. Ma la mia sicilianitá è la mia Famiglia e soprattutto “a paista o fuinnu”.
Cosa ti manca dell’ambiente in cui sei nato e vissuto sino a poco tempo fa?
Ovviamente la mia famiglia. Ogni volta che finisco una recita, o mi capita qualcosa di bello vorrei tanto condividerlo con loro fisicamente (senza un telefono che faccia da tramite) con un abbraccio caldo e sincero.