La condotta inerte della Pubblica Amministrazione, crea in maniera del tutto inevitabile una situazione di assoluta incertezza nei confronti dei cittadini
di Agostino Curiale*
Tra le materie di competenza del Diritto Amministrativo rientra espressamente quella del silenzio, l’ipotesi viene manifestata quando quest’ultima non risponde ad una richiesta del privato nonostante il decorso del tempo. Per sua natura il silenzio ha un valore neutro e talvolta assume, come nel caso del silenzio-assenso e del silenzio-diniego un valore significativo. Ricorre il primo caso, qualora un provvedimento si intende accolto entro un certo termine, e la P.A. non comunichi nulla al privato. Nel secondo caso invece, si assiste al silenzio rigetto per mancato assoluto riscontro.
Il mancato riscontro alle istanze messo in atto dalle P.A. rappresenta il linea di principio un illecito di tipo omissivo e si pone in netto contrasto con il disposto dell’art. 2 del C.P.A. secondo cui, nei procedimenti ove consegue un obbligo da parte dei cittadini e cioè la formulazione di un’istanza, ovvero quando un procedimento debba essere iniziato d’ufficio, la P.A. ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento, che implica obbligatoriamente la messa a conoscenza da parte dell’istante.
Vi sono dei casi di silenzio, i quali, giuridicamente rientrano in una sfera di inadempienza da parte delle Amministrazioni Pubbliche e riguardano quei casi in cui per espressa disposizione di legge, comma 4 dell’art. 20 Legge n. 241/1990, non trovano applicazione.
Sulla scorta del dettato normativo vigente, l’inerzia posta in essere dalle Pubbliche Amministrazione diviene illegittima laddove il privato manifesti un interesse inequivocabile ad avere un provvedimento celere. In tali circostanze, il comportamento inadempiente tenuto dalla P.A. dal mancato riscontro e fin quando persiste tale situazione, il privato può ricorrere al Giudice Amministrativo al fine di richiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
Giova precisare in questi casi, che vi è una grave responsabilità in capo alla P.A. nelle ipotesi di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento come disposto dall‘art. 2 bis L. 241/90 e ne consegue peraltro, come dettato dall’art 1 comma -ter, che le P.A. sono tenuti anche al risarcimento del danno cagionato in conseguenza dell’inosservanza.
Ebbene evidenziare, che la legge ha introdotto l’istituto del silenzio assenso per accelerare i procedimenti amministrativi e per liberalizzare l’attività dei privati, sostituendo l’inerzia delle Pubbliche Amministrazioni con un provvedimento di autorizzazione tacita, ma è da escludere e quindi anche da attenzionare, che il privato, non potendo ottenere l’autorizzazione perchè in mancanza di requisiti oggettivi o soggettivi, possa eludere le prescrizioni fissate dalla legge o dai regolamenti comunali attraverso il silenzio assenso.
Come può il cittadino tutelare i propri diritti avverso il silenzio della P.A.
Contro l’Amministrazione inadempiente, la legge tutela il cittadino consentendogli di agire in giudizio. Il cittadino, dopo l’infruttuosa scadenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento deve notificare a mezzo Ufficiale giudiziario un Atto di diffida e costituzione in mora, concedendo un termine di 30 giorni entro il quale ricevere riscontro, nel caso di mancata risposta potrà avviare ricorso al TAR nel termine di scadenza dei 60 gg. a decorrere dallo scadere del termine assegnato nella diffida. E’ comunque esperibile il ricorso anche senza necessità di diffida fintanto chè e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento.
Il ricorso presentato al TAR avverso il silenzio inadempimento, produce una serie di provvedimenti importanti in materia di poteri del Giudice Amministrativo stabilendo per prima che questo possa conoscere della fondatezza dell’istanza e non solo può intimare la P.A. di provvedere, ma può pronunciarsi sull’istanza decidendola nel merito in tutti quei casi particolari in cui risulti un’attività vincolata della P.A. si tratta di tutti quei casi in cui l’amministrazione decide applicando le leggi al di fuori dalla propria discrezionalità amministrativa.
La decisione del TAR avverso il silenzio dell’Amministrazione sono decisi in camera di consiglio, e in caso di accoglimento parziale o totale che sia, il G.A. ordina entro un termine di trenta giorni, di provvedere, qualora la P.A. reiterasse l’inadempimento, su richiesta di parte istante e decorso il termine di trenta giorni, il Giudice nomina un commissario che avrà il compito di provvedere in luogo dell’Amministrazione.
E’ dunque riconosciuto, in disposto alla Legge n. 241/1990, che le Pubbliche Amministrazioni, in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa, risarciscano il privato, l’azione risarcitoria dovrà essere esperita davanti al Giudice Amministrativo, e dovrà essere attivata entro il termine prescrizionale di cinque anni. E’ chiaro dunque, che la richiesta di risarcimento dovrà essere supportata da prove certe e tangibili, bisognerà provare l’esistenza del danno ed il suo ammontare, l’assoluta mancanza di ragioni, quali prove probatorie in capo alla P.A. provare la sussistenza di responsabilità a titolo di colpa o dolo che hanno fatto capo all’Amministrazione Pubblica.
Competenze dei Giudici
In via generale, in ordine di competenze in materia di risarcimento del danno invocato dal privato, nel caso di tutela risarcitoria, risulta essere il Giudice Amministrativo. I giudici amministrativi infatti, hanno precisato che il giudice ordinario, investito da una domanda risarcitoria di danno prodotto da un provvedimento amministrativo che si assume illegittimo non deve subordinare la propria pronunzia all’avvenuto annullamento dell’atto da parte del Giudice Amministrativo, ma può conoscere dell’illegittimità dell’atto ai fini della valutazione dell’ingiustizia del danno.
*Presidente A.E.C.I. Sicilia