Cause di lavoro: obbligo per i Giudici condannare chi perde la causa a pagare le spese legali alla controparte. Norme in vigore dal 12 dicembre 2014
di Agostino Curiale*
Si vuole prendere atto dei molteplici rischi in cui oggi, al lavoratore incombono nel fare valere i propri diritti. E’ possibile affermare, a questo punto, che ricorrere alla giustizia sia diventata solamente una iniziativa rivolta ai soli ricchi. Questo confronto, indubbiamente, lede i diritti della nostra Costituzione.
Vediamo di cosa si tratta e quali rischi incorre un lavoratore nel perseguire il riconoscimento del suo diritto, avvalendosi della giustizia.
In primo luogo, ebbene evidenziare, che il processo del lavoro doveva essere del tutto gratuito, ma non è stato cosi, piano piano le riforme hanno portato continui incrementi peggiorativi per le fascie più deboli, le cui direzione sono state quelle di restringere il potere discrezionale dei magistrati nell’ambito che competono le compensazione delle spese in caso di sconfitta. La recente ultima riforma intende evitare qualsiasi possibilità di compensazione al di fuori dei casi di controversie in cui la questione sia di quella nuova o via sia mutamento della giurisprudenza.
Ci sono gravi pericoli insiti nella norma entrata in vigore dal 12 dicembre 2014 Legge n. 162 del 10.11.2014 conversione in Decreto Legge n. 132/2014 di cui fa’ riferimento la sconfitta del lavoratore. E’ stato introdotto, infatti, che in caso di soccombenza del lavoratore, ovvero di “sconfitta” i Giudici dovranno, in sentenza, condannare a pagare migliaia di euro di spese legali da corrispondere alla controparte Azienda.
La riforma della norma, dunque, del codice di procedura civile passata quasi inosservata, rende obbligatorio per il giudice condannare chi perde la causa a pagare le spese legali, oltre quelle del proprio avvocato, anche quelle della controparte.
In precedenza, fino al dicembre 2014, il Giudice poteva in certi casi compensare le spese alla parte soccombente trattandosi di “ Lavoratore” e stabilire, che ogni parte provvedesse a pagare le spese del proprio avvocato. Oggi non può più farlo, all’infuori di ipotesi assolutamente straordinarie, per cui il lavoratore che intraprende una causa dall’esito incerto (teniamo conto che tutte le cause sono dall’esito incerto) deve sapere e mettere in conto che in caso di perdita dovrà pagare migliaia di euro “ che no ha”, e a quel punto, magari, preferisce, se non costretto, a tenersi l’ingiustizia.
Da questo si attuerebbe, in netto contrasto, un altro principio in base a quanto disposto nell’art. 24 della nostra costituzione, quello che intende garantire l’accesso alla giustizia a tutti i cittadini.
Il tutto, come ovvio, ha una portata di carattere generale ed è finalizzata a snellire drasticamente il contenzioso giudiziario, tende a scoraggiare, per così dire, i lavoratori, si pensi alle rinunzie di impugnazioni dei provvedimenti giudiziali e l’abbandono di cause in caso di incertezza.
E’ chiaro, che in questi casi, secondo i parametri professionali introdotti dal Decreto Ministeriale n. 55/2014 molti lavoratori, i quali hanno subito ingiustizie saranno costretti a rinunciare in partenza, considerando che già molti giudici riservano al lavoratore soccombente un particolare accanimento, spesso, come dimostratosi dalle recenti sentenze, persino in misura superiore alle condanne disposte nei confronti dei datori di lavoro.
C’è da dire un’altra cosa, facendo un confronto a parità di liquidazione, che le spese e gli oneri a carico delle imprese sono inferiori rispetto a quelle che sosterrebbe un lavoratore, in caso di soccombenza, infatti, le aziende hanno la possibilità di inserire nei propri bilanci ogni spesa e quindi di scaricare il costo dell’Iva, a differenza invece del lavoratore.
Detto ciò, nella sua logica generale, non viene assolutamente preso in considerazione che nel processo del lavoro le due parti non possono avere una pari posizione, vi è dunque, una disparità di mezzi e pertanto, non possono essere trattati alla stessa maniera.
A fronte di tale meccanismo, possiamo liberamente dedurre che il rischio prodotto da tale norma tende ad allontanare l’accesso alla tutela giudiziaria tutti quei cittadini che già hanno subito, nel corso di un rapporto giuridico, sostanziali ingiustizie e/o demotivare ogni azione necessaria atta ad ottenere un risultato positivo, oltre che a resistere nel corso delle procedure giudiziarie già promosse. Inoltre, tendenzialmente, porta a scoraggiare direttamente l’iniziativa, chi ha subito, di intraprendere azioni legali, compromettendo così, e senza dubbio, la difesa dei propri diritti.
E’ fuori da ogni dubbio, che ogni lavoratore costretto a prendere l’iniziativa giudiziale se intende rivendicare un diritto, debba pensarci due volte e considerare l’ipotesi di sconfitta. Si prenda il caso di un licenziamento illegittimo o il mancato pagamento del TFR o di buste paghe.
L’attuale giustizia, nel processo del lavoro, del quale rende eccessivamente onerosa la possibilità di tutela processuale dei diritti, non può ritenersi tale, così facendo, infatti, si rischia di allontanare dall’accesso alla tutela giudiziaria cittadini onesti e lavoratori, il principio secondo cui si fonda materialmente la nostra economia basata principalmente sul lavoro, viene per così dire sottovalutato.
E’ dunque deprecabile dire che nel corso di un rapporto giuridico non paritario fatto di sostanziali ingiustizie sarebbe necessario e doveroso garantire quegli interessi di rilevanza costituzionale che palesemente, nel nostro ordinamento giuridico vengono periodicamente e sistematicamente violati senza alcun confronto, e sempre però, a danno dei più deboli.
*Presidente A.E.C.I. Sicilia