Il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, sta vivendo in queste settimane un finale di legislatura sotto assedio, specie dopo la decisione della Corte dei Conti di sospendere il giudizio sul Bilancio 2016 della Regione
di Salvo Messina
“Al 31 dicembre 2016 – si legge nella relazione delle Sezioni riunite presiedute da Maurizio Graffeo – il debito di finanziamento residuo della Regione ammonta complessivamente a 8.035 milioni di euro La Corte parla di “un incremento rispetto all’inizio del quinquennio del 41,4 per cento” (più di otto miliardi). Da questi dati si evince che con Crocetta il debito è cresciuto di quasi la metà rispetto al debito lasciato dai suoi predecessori nonostante la tanto sbandierata politica dei tagli agli sprechi che spesso ha avuto come vittime i lavoratori. Ogni siciliano nasce già con un debito sulle spalle di circa 1.500 euro. La cosiddetta “quota pro-capite” del debito complessivo della Regione siciliana: oltre 8 miliardi di euro. Un dato, quello del debito che i governi regionali hanno fatto ricadere su ogni siciliano, evidenziato nell’ultimo giudizio di parifica della Corte dei conti.
Le spine per Crocetta sono tante: dal grande bluff della riforma delle province che è scemata in un commissariamento perenne mentre gli enti sono agonizzanti tra debiti e competenze a cui non riescono a far fronte; il sistema antincendio e di prevenzione rimasto un “fuoco fatuo”; la mancata piena valorizzazione del grande patrimonio paesaggistico, monumentale, archeologico, culturale e turistico; il tasso della disoccupazione sempre altissimo; le mancate politiche per lo sviluppo socio-economico del territorio; la gestione fallimentare dei conteziosi Stato-Regione, per non parlare dei servizi dimezzati o assenti. In sintesi, alla vigilia delle regionali di novembre il governo Crocetta presenta un bilancio con poche luci e molte ombre. Adesso il Pd in “cortocircuito”, si dissocia e incomincia a prendere le distanze pur mantenendo assessori nell’esecutivo di Crocetta come il Ncd e l’Udc.
In questo contesto sono poco confortanti i dati forniti dall’istituto Demopolis: su un campione di mille intervistati, alle Regionali si asterrebbe il 55 per cento dei siciliani. Secondo il sondaggio, su 4,6 milioni di elettori, si presenterebbero alle urne in due milioni circa, e al netto delle schede bianche e nulle ci sarebbero appena un milione e 900mila voti validi. Dati che evidenziano sempre di più l’allontanamento dei cittadini dalla politica e dalla partecipazione attiva per la scelta dei rappresentanti nelle istituzioni. Comunque, sono in molti a sostenere che il futuro della Sicilia è nell’uso razionale delle risorse e delle opportunità offerte dalla dimensione europea dell’insularità, che consente fiscalità di sviluppo ed attrazione di investimenti, per dare slancio ad un’economia ormai in profondo coma perché relegata alla non lungimirante soluzione dell’assistenzialismo e del clientelismo che penalizzano la meritocrazia, costringendo numerosi siciliani ad emigrare per un agognato lavoro.
Ora sembra che sia giunto il momento di cambiare “registro”.