La fortuna, o la “maledizione”, della fotografia va attribuita alla presunta capacità, che le fu immediatamente attribuita, di riprodurre fedelmente la realtà
di Andrea di Napoli
Senza considerare i trucchi, i montaggi e le varie manipolazioni possibili con un abile fotoritocco, l’immagine fissa ottenuta servendosi di un apparecchio fotografico è in grado di fornire, attraverso le zone in ombra o ben illuminate, il punto di ripresa, il taglio e l’angolazione, una rappresentazione alquanto differente rispetto alla scena originariamente ripresa.
L’inattendibilità delle fotografie non consente, pertanto, di dare all’immagine né un valore conoscitivo o didattico, né l’autorevolezza di “fonte storica”. Ciononostante, benché la fotografia non possa rivestire dignità di documento, essa concorre massicciamente a illustrare la storia, costituendo una importante testimonianza che non garantisce verità, ma solo una possibile versione dei fatti in essa raffigurati.
A tutto questo, talvolta, si aggiunge la “malafede” di organi di informazione con pochi scrupoli che tendono ad “adeguare” la fotografia alla notizia del giorno o peggio ai propri scopi propagandistici, finendo così per equivocare il significato iniziale, o, addirittura, per stravolgerlo.
Gli iniziali limiti della tecnica fotografica costrinsero i pionieri di questa forma di espressione a vere e proprie messe in scena per raffigurare sulle fragili lastre emulsionate episodi avvenuti tra il 1855 ed il 1870, come la guerra di Crimea, la sanguinosa battaglia di Gettysburg o la breccia di Porta Pia, ricreati da alcuni dei protagonisti appositamente per “immortalare” il momento storico. Verosimilmente molti fotografi ricorsero al medesimo stratagemma anche in seguito.
Fortunatamente il Tempo, scostando negli osservatori la fotografia dall’attualità, conserva ancora, nella maggior parte dei casi, il messaggio più significativo che il fotoreporter ha inteso comunicare.
A distanza di più di 70 anni risulta sterile la vecchia polemica relativa alle storiche immagini realizzate da Robert Capa in Spagna e in Sicilia.
Indipendentemente dal fatto che il miliziano spagnolo sia tragicamente morto in combattimento o abbia solo simulato la sua caduta davanti all’obiettivo, la fotografia esprime efficacemente l’orrore e l’inutilità della guerra. Analogamente, individuare l’esatta collocazione geografica dalla quale il contadino indica al soldato americano in quale direzione siano fuggiti i militari tedeschi è una informazione marginale a fronte dell’avvenuta liberazione dell’isola da parte degli alleati, rappresentata da uno dei più grandi maestri della Fotografia.
In tempi più recenti, è accaduto che sia stata la morbosa curiosità di perfidi osservatori a trasformare gli ignari passanti, comparsi su alcuni reportage di streeet photography, in pericolosi maniaci, ritenendo scabrose anche delle situazioni del tutto innocenti.
Dopotutto non è affatto scandaloso realizzare immagini che non rappresentino esattamente la realtà se queste fotografie “artistiche” riescono a veicolare contenuti validi e a fare riflettere chi le osserva, ma risulta assolutamente scorretto utilizzarle nell’informazione giornalistica sostenendone la veridicità o alterando il messaggio che il fotografo intendeva comunicare.
Il buon senso suggerisce che le fotografie non hanno lo scopo di diffondere tra la gente rettitudine o disonestà, di per se stesse non sono né buone né cattive, ma, il più delle volte, il “male” si trova nei pensieri di chi ce lo vuole trovare a tutti i costi guardandole.