Il nostro ordinamento riconosce, sia a livello costituzionale che di legislazione ordinaria, il diritto di proprietà inviolabile, e dunque il titolare ha il diritto di godere e disporre del proprio bene in modo pieno ed esclusivo (art. 832 c.c.)
Avv. Giovanni Parisi
Ne consegue che ogni attività svolta dal terzo che sia idonea a ledere e/o turbare l’uso ed il godimento suddetto, legittima il proprietario ad agire per ottenere la cessazione della turbativa, oltre al risarcimento del danno conseguente.
A norma dell’art. 844 c.c., dunque, le immissioni di fumo, di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino sono da tollerarsi sin quando non superino appunto la “normale tollerabilità”. Tale norma trova applicazione ogni qualvolta l’immissione impedisca al proprietario di godere nel modo pieno e pacifico del proprio bene.
Peraltro, come confermato dalla giurisprudenza ormai unanime della S.C., l’immissione di rumore si considera intollerabile anche in relazione alla situazione ambientale in cui si manifesta ed in base alle abitudini del luogo (cfr. Cass. Civ., n. 3438/2010; Cass. Civ., n. 5157/1983). Ed ancora, con specifico riferimento alla attività svolta dal soggetto che pone in atto la turbativa, e conseguentemente al concetto relativo e mai assoluto di “tollerabilità” delle immissioni, è stato correttamente ritenuto che “in tema di immissioni, l’art. 844, II comma c.c., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, deve essere letto tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento di una normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un’attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano l’esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità” (Cass. Civ., n. 5564/2010).
Nel caso di specie, l’art. 844 c.c., oltre a tutelare il diritto di proprietà e delle facoltà di godimento ad esso connesse, assolve anche alla importante funzione di stabilire – previa valutazione caso per caso – la protezione del diritto alla salute, anch’esso costituzionalmente garantito, eventualmente messo a repentaglio a causa di esalazioni nocive, rumori molesti e quant’altro provenga dal fondo attiguo.
In proposito, la giurisprudenza del Supremo Collegio ha ritenuto inadeguata a risolvere i conflitti di interessi nel campo delle immissioni rumorose una interpretazione dell’art. 844 c.c. che limiti la tutela in relazione ai soli pregiudizi recati alla proprietà (Cass. Civ., Sez. Unite, n. 10186/1998). I Giudici di legittimità hanno osservato, al riguardo, che l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l’eliminazione delle cause di immissioni, rientra tra quelle volte a fare accertare in via definitiva l’illegittimità delle suddette immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare (per tutte, Cass. Civ., n. 2598/1996).
Nondimeno, l’azione c.d. “inibitoria”, di cui all’art. 844 c.c., tesa giudizialmente a fare cessare le turbative, mediante l’ordine imposto a carico del “vicino molesto” di approntare modifiche, anche strutturali, al fondo da cui provengono le immissioni oltrepassanti la soglia di normale tollerabilità, può essere esperita dal soggetto leso al fine di conseguire, insieme alla cessazione delle esalazioni nocive alla salute, altresì il risarcimento dei danni conseguenti ai medesimi atti posti in essere da parte dell’autore, ai sensi di cui all’art. 2043 c.c.
Al fine di stabilire la “intollerabilità” delle immissioni, i mezzi istruttori preposti al suo accertamento sono costituiti prevalentemente da indagini di natura tecnica, idonee cioè a definire in maniera oggettiva e peritale la natura e la soglia stessa dell’opera o dell’attività lesiva. La S.C., sul punto, ha recentemente affermato che “in tema di immissioni (nella specie di rumori ed esalazioni provocati dallo svolgimento di attività di officina), i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità ex art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d’ufficio con funzione “percipiente”, in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi” (Cass. Civ., n. 1606/2017).