Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

La rappresentanza processuale del minore in caso di sinistro

Il minore non può far valere autonomamente le proprie ragioni in un processo, neanche attraverso un avvocato. E' necessario un genitore o altro adulto che li rappresenta...

di Dario Coglitore

Di regola, in caso di sinistro che abbia causato danni a persona, la legittimazione attiva ad esperire l’azione risarcitoria è riconosciuta allo stesso soggetto leso. Tuttavia, il minore di anni diciotto non può far valere autonomamente le proprie ragioni in un processo, neanche attraverso un avvocato. E’ necessario un genitore o altro adulto che legalmente li rappresenta

 

Avv. Dario Coglitore

L’art. 75 c.p.c. recita “sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere. Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità”.
Con riguardo ai minori, l’art. 320 c.p.c. dispone che i genitori esercenti la potestà sul figli rappresentano questi in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Il minore d’età, infatti, essendo privo della capacità d’agire, non può gestire il proprio patrimonio ma è sostituito in tale attività dai genitori esercenti la potestà su di lui.
Sebbene i genitori abbiano il potere di compiere tutti gli atti di amministrazione, bisogna distinguere quelli che possono essere compiuti liberamente da quelli che, invece, richiedono un controllo da parte dell’autorità giudiziaria. In particolare, mentre gli atti del primo tipo (c.d. di ordinaria amministrazione) possono essere compiuti disgiuntamente e liberamente da ciascun genitore, quelli del secondo tipo (c.d. di straordinaria amministrazione) devono essere compiuti da entrambi i genitori congiuntamente e necessitano del controllo del giudice tutelare che accerti la necessità e l’utilità dell’atto rispetto agli interessi del figlio minore.
L’art. 320 c.c., però, non precisa cosa debba intendersi per atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, limitandosi a fornire un’elencazione esemplificativa di atti, alcuni dei quali espressamente dichiarati di straordinaria amministrazione. Il problema non irrilevante perché  l’atto eccedente l’ordinaria amministrazione che il genitore compie in nome e per conto del figlio minore senza la necessaria autorizzazione del giudice, sebbene non sia nullo né tantomeno inesistente, diviene pur sempre annullabile, e quindi produttivo di effetti sino a quando non venga annullato su istanza degli unici soggetti legittimati  ai sensi dell’art. 322 c.c., ovvero dal genitore che l’ha posto in essere in rappresentanza del figlio o del figlio stesso o dei suoi eredi o aventi causa.
Ebbene, la mancanza di un criterio normativo legale di distinzione ha indotto la dottrina e la giurisprudenza ad individuare il parametro distintivo nello scopo dell’atto in relazione al patrimonio del minore.
L’atto, quindi, seguendo tale impostazione, si ritiene di ordinaria amministrazione se mira a, conservare e/o procurare un vantaggio o a evitare una perdita al patrimonio del minore; di straordinaria amministrazione se invece può arrecare pregiudizio o diminuzione (Cass. Civ. Sent. n. 743/2012).
Ecco allora che “ben può essere proposta disgiuntamente da ciascun genitore, rientrando tra gli atti di ordinaria amministrazione, finalizzati a migliorare o conservare il patrimonio del minore l’azione di responsabilità civile volta ad ottenere il risarcimento di danni che si assumono subiti dal minore atteso che tale azione mira appunto alla reintegrazione della condizione patrimoniale del minore e quindi non necessità di autorizzazione da parte del giudice”(Cfr. Trib. Nola, sez. II 22/01/2009, n. 213; Trib. Reggio Calabria, 02/07/2003; Cass. Civ. n. 6503/1980).

Se il minore raggiunge nel corso del giudizio la maggiore età la capacità processuale dei genitori non viene meno ma al neo maggiorenne è riconosciuta la facoltà di costituirsi direttamente in giudizio sostituendosi ai suoi legali rappresentanti. Analogamente se il soggetto maggiorenne viene dichiarato, nel corso del giudizio, inabilitato o interdetto il curatore o il tutore potranno costituirsi in giudizio ed esercitare i diritto del soggetto rappresentato.
In ogni caso l’acquisto o la perdita della capacità di stare in giudizio non assumono rilevanza processuale se non vengono portati a conoscenza della controparte o del giudice come disposto all’art. 300 c.pc.
Solo dal momento in cui il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle parti mediante dichiarazione, notifica o comunicazione della circostanza da parte del difensore, con un atto del processo cessa la legittimazione processuale del rappresentante e si ha l’interruzione del processo.
In relazione alla distinzione tra atti di ordinaria amministrazione e atti di straordinaria amministrazione particolare interesse suscita la questione relativa all’ammissibilità della transazione stipulata dai genitori per conto del minore in assenza di autorizzazione da parte del giudice tutelare.
L’art. 320 c.c. non qualifica la transazione come atto di ordinaria o straordinaria amministrazione, occorrendo invece valutare la stessa in  base al rapporto controverso sul quale il negozio agisce. Il richiamato articolo dispone, infatti, che “i genitori non possono……. transigere….. giudizi relativi a tali atti, (ossia quelli di straordinaria amministrazione) se non per necessità o utilità del figlio dopo l’autorizzazione del giudice tutelare”.

Considerato che l’azione di risarcimento del danno promossa dal genitore nell’interesse del figlio minore è un atto di ordinaria amministrazione in quanto volta essenzialmente alla reintegrazione del  patrimonio del minore si ritiene, alla stregua del parallelismo tra giudizio e transazione, che la stessa natura abbia il negozio transattivo.
Conseguentemente, se il giudizio può essere promosso senza autorizzazione, questa non è altresì necessaria affinché il genitore possa transigere la lite. (cfr. Cass. n. 249/1981; Cass. n. 3977/1983; Cass. n. 59/1989; Cass. n. 1989/3755). Tale impostazione giuridica è stata corretta dalla sent. n. 4562 /1997 con la quale la Corte di Cassazione ha affermato che “la transazione, avente ad oggetto la controversia relativa al risarcimento del danno, stipulata nell’interesse del minore, costituisce atto di straordinaria amministrazione quando abbia ad oggetto un danno che, per la sua natura e la sua entità, possa incidere profondamente sulla vita presente e futura del minore danneggiato”.
La natura della transazione dovrà, quindi, essere valutata non solo con riferimento al rapporto controverso sulla quale essa agisce ma anche in relazione al suo contenuto ed ai suoi effetti potendo “vincolare il minore in modo a lui sfavorevole in ordine alla consistenza stessa del patrimonio che verrebbe a subire una diminuzione rilevante”.
La transazione, infatti, è un contratto caratterizzato da reciproche concessioni, rispetto alle pretese avanzate, che le parti si fanno al fine di scongiurare o definire una lite.
Per valutare la natura straordinaria della transazione si dovrà, pertanto, considerare non solo il rapporto su cui essa verte ma anche l’entità delle concessioni, che le parti si fanno, rispetto alle pretese avanzate in sede giudiziale o stragiudiziale, e la loro incidenza sul patrimonio del minore, specie nel caso di danni con postumi a carattere permanente o nel caso di somme rilevanti.

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