L’arte come eterna vitalità: a villa Niscemi la retrospettiva di pittura di Giovanni David
di Fabio Vento
Lontani scenari esotici, graziati dalla visita di variopinti animali; cavalieri e amazzoni usciti con maestà da miti lontani; ma anche calde e movimentate scene di vita quotidiana, in un affollato bar o in un mercato del pesce: è la vitalità che si fa eterno movimento, è il colore che sfida i confini della tela per raccontare tanto altro ancora, la cifra stilistica di Giovanni David. Venerdì 27 aprile alle 17.30 alla galleria “Nicola Scafidi” di villa Niscemi (piazza dei Quartieri 2, Palermo) si inaugura una mostra retrospettiva dedicata al noto pittore palermitano scomparso nel 2004. Verranno esposti, e presentati dal prof. Sergio Inglese dell’Accademia delle Belle Arti di Palermo, 30 dipinti che dai primi anni 90 coprono la più recente produzione, insieme ad alcune esperienze risalenti agli anni 70.
Per l’occasione abbiamo chiesto alla figlia dell’artista, Simonetta David, alcuni commenti sulla vita artistica del padre e sull’ispirazione alla base delle opere.
Puoi raccontarci qualche nota biografica su Giovanni David?
Mio padre nasce a Palermo nel 1933, mostrando già durante l’infanzia una predisposizione non comune per il disegno. Pur non avendo compiuto alcuno studio specifico, si dedicò fin da piccolo alla realizzazione di piccole storie a fumetto da lui inventate. Da avido lettore di racconti di fantascienza e di avventura esplorativa, a poco più di 20 anni realizzava già piccoli bozzetti a tema fantastico, strane creature che ricordano un po’ certi personaggi di Giorgio De Chirico. All’inizio degli anni 50 partecipò perfino ad un bando di concorso della Walt Disney per lavorare alla creazione di nuovi personaggi: lo vinse, ma avvertendo una certa responsabilità verso la sua famiglia dopo la morte del padre, decise di non partire.
A metà degli anni 60 aprì la sua casa-studio a Palermo, dove iniziò la sua prima esperienza con la pittura ad olio. Negli anni ha tenuto numerose esposizioni e vinto premi in Sicilia e in Italia: è stato financo Accademico d’Italia con medaglia d’oro. Infine era anche ceramista e realizzava piccole sculture che conservo ancora.
Sei stata testimone del suo processo creativo?
Sì. L’ho visto personalmente realizzare molte sue opere: era solito alzarsi molto presto e mettersi alla tela, sospinto da ispirazioni sempre nuove e a volte improvvise. Poteva essere il desiderio di rappresentare un fiore o un animale esotico, nato da un istante all’altro nella sua mente, o una scena di vita quotidiana registrata qualche giorno prima dalla sua memoria fotografica: ogni cosa, comunque, veniva sempre trasformata, arricchita di nuovi particolari, dalla sua particolare sensibilità. Aveva la qualità rara di “capire” fino in fondo ogni cosa e persona con cui entrava in contatto, di coglierne l’essenza più profonda e nascosta. E l’altrettanto rara qualità di trasporre sulla tela, senza sbavature, l’immagine che si era formata nella propria mente. Non a caso lo ricordano tutti come una persona molto arguta e socievole, oltre che profondamente gioviale e allegra.
Ogni tanto mi faceva pure dipingere e sperimentare: una volta rappresentai su una piccola tavoletta un accenno di figura femminile con fiori, decorata con collana e orecchini: pensavo a una sposa. Poi, nella sua rielaborazione, nel giro di pochi istanti è diventata una contadina con fiori.
La mostra in oggetto copre per lo più l’ultimo periodo della sua carriera, dall’inizio degli anni 90 al 2004. Quali i temi di queste sue opere?
Potrei dire che l’ultima fase della sua carriera sia stato un ritorno alle origini, ma con qualcosa di nuovo. I primi suoi dipinti, infatti, privilegiavano mondi fantastici e personaggi eroici, tratti dai miti classici e dalla tradizione cavalleresca, e rappresentati con tratti sghembi e filiformi che non potevano che ricordare, ancora una volta, la lezione di De Chirico. Successivamente abbandonò questi temi e iniziò a rappresentare, con precisione sempre più geometrica, scene reali di cui era diretto spettatore. Iniziò a concedersi a scorci intimi come momenti di vita familiare o del lavoro dei contadini.
Negli anni 90 qualcosa cambiò. Riesplose, improvviso, il desiderio di rimettere in primo piano la propria fantasia creativa. La lezione cubista, in qualche modo, gli fornì gli strumenti per elaborare uno stile personalissimo. Sparì la contrapposizione netta fra soggetto e sfondo e forme e colori divennero protagoniste: vere e proprie esplosioni di vitalità, di forze e di energie che andavano ben oltre i limiti della tela. Che si trattasse di rappresentare un maestoso cavaliere, ignote creature di un mare sconfinato, o il passaggio veloce di una corriera, ogni quadro diventava un’esperienza da osservare nella sua globalità, per coglierne il senso, l’emozione dell’insieme. Uno stile più che mai esuberante e vitale, proprio com’era lui.
Parlaci di “Bar du port”, uno dei tuoi quadri preferiti (rappresentato in testa all’articolo, n.d.r.)
Il dipinto rappresenta una scena di ritrovo serale di avventori ad un bar di porto. Un luogo conviviale, come si vede dal volto dei personaggi, e libero, perché aperto a tutte le classi sociali. Mi piace come lui abbia saputo mostrare la distensione dei volti, la felicità di ritrovarsi, in un ambiente che senza dubbio è di confusione e movimento.
Movimento che, per l’assenza di muri e di pareti, non ha limiti e sembra volersi estendere oltre i confini del quadro, a invitare l’osservatore a unirsi alla scena, alla musica vivace che quasi pare udirsi in sottofondo.
L’esposizione, a ingresso libero, rimarrà visitabile dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19.30 fino a giovedì 3 maggio, ed è organizzata dall’associazione “Vera Canam” con il patrocinio del Comune di Palermo