Come noto, ai sensi dell’art. 157, comma 1, c.c., i coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione (un accordo scritto di volere riprendere la normale vita matrimoniale e ripristinarne tutti i doveri) o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione dei coniugi
Avv. Dario Coglitore
La riconciliazione travolge gli effetti della separazione e, dal punto di vista patrimoniale, ripristina la comunione legale, salvi gli atti posti in essere durante il periodo anteriore.
Tuttavia, affinché la stessa sia opponibile ai terzi, è necessaria una dichiarazione resa davanti all’ufficiale di stato civile presso il Comune dove fu celebrato il matrimonio o presso il Comune dove il matrimonio fu trascritto.
La dichiarazione viene così iscritta negli archivi dello stato civile e annotata a margine dell’atto di matrimonio.
L’elemento essenziale per la riconciliazione è l’animus conciliandi, ovvero la ripresa della convivenza con carattere di continuità unita alla volontà di perdonare l’eventuale torto subito, di dimenticare il passato, di ricostruire il matrimonio.
La Suprema Corte, concordando con quanto affermato dai giudici di merito, ha precisato che il precedente stato di separazione tra i coniugi può validamente dirsi interrotto nel caso in cui si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali sì da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneità ed occasionalità.
Tale principio è stato affermato con riferimento ad una vicenda di riavvicinamento coniugale concretatosi nel semplice ripristino della convivenza per un limitato periodo di tempo in conseguenza dello stato di detenzione domiciliare del marito.
Quindi, la sola ripresa della coabitazione, durante la quale, però, i coniugi si comportano come estranei, dormendo, per esempio, in camere separate, o frequentando amicizie differenti, non è idonea a far decadere gli effetti della separazione.
Neppure interrompono la separazione le manifestazioni di buona volontà da parte di un coniuge con regali, elargizioni di denaro ed esecuzione di opere nella casa coniugale né la circostanza che il marito, pur vivendo in un’altra città (e con un’altra donna), torni in famiglia per i week-end provvedendo, in tali occasioni, con la moglie, al menàge domestico ed all’educazione dei figli.
Del pari, è inefficace il c.d. periodo di prova limitato nel tempo e conclusosi negativamente, attraverso il quale i coniugi intendevano sperimentare una possibile ripresa della convivenza.
La coabitazione, tuttavia, anche se non dimostra da sola la ripresa della convivenza coniugale, ha una valenza presuntiva significativa perché è in astratto idonea a manifestare la volontà di riconciliazione dei coniugi (Corte di Cassazione, sentenza 25 maggio 2007, n. 12314).
La riconciliazione, sotto il profilo processuale, determina l’abbandono della domanda di separazione personale ma non implica la estinzione del diritto di richiederla purché la stessa riguardi fatti nuovi, intervenuti dopo la riconciliazione.
La riconciliazione, infatti, implica una seria valutazione della possibilità di ricostituire l’unità familiare sulla base di una rottura accertata ed è necessario far conseguire a tale decisione la irrilevanza di tutto il pregresso e richiedere, ai fini di un’ulteriore pronunzia di separazione, che la stessa discenda da comportamenti e fatti postumi alla riconciliazione.
Se successiva al provvedimento di omologazione della separazione consensuale, la riconciliazione determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materiale, tipica della vita coniugale.
Le più recenti sentenze della Corte di Cassazione sul tema in esame certamente non introducono innovazioni nel panorama giurisprudenziale (sulla riconciliazione si segnalano: Cass. civ., n. 12314/2007; Cass. civ., n. 19497/2005), ma hanno il pregio di evidenziare la peculiarità del concetto dell’unione dei coniugi in matrimonio.
Difatti, la Suprema Corte, sottolinea che la ripresa della vita coniugale dopo la separazione, si verifica solo quando sia stato ricostituito l’intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo matrimoniale e, quindi, sia intervenuto il ripristino non solo di quelli che concernono l’aspetto materiale del matrimonio, ma anche di quelli che sono alla base della comunione spirituale dei coniugi.
Pertanto, la riconciliazione deve essere segnata alla luce delle peculiarità originarie del rapporto fra i coniugi e non della mera ripresa della convivenza. Di conseguenza, essa assume rilevanza giuridica ai fini della dichiarazione di scioglimento del matrimonio solo quando esprime la reale volontà dei coniugi di rinnovare l’impegno di vita in comune.