Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

19 luglio, storia di un depistaggio

Paolo Borsellino sosteneva che solo una rivoluzione culturale potesse sconfiggere la mafia e solo la scuola potesse fornire ai giovani gli strumenti culturali idonei per reagire e per non essere indifferenti al fenomeno mafioso.

di CNDDU

La lotta alla mafia, il primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale (Paolo Borsellino)

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani intende ricordare la Strage di Via D’Amelio (19 luglio 1992) in cui furono tragicamente assassinati il giudice Paolo Borsellino e alcuni agenti della sua scorta (Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina) e promuovere azioni di sensibilizzazione inerenti a tale ricorrenza.
L’avvicinamento alla verità rispetto a una vicenda così drammatica e destabilizzante per il nostro Paese si sta costruendo in tappe infinite ma inesorabili:
– Il 6 maggio 2002 “Bisogna che cerchino i veri mandanti delle stragi. La mafia ha fornito solo la manovalanza”, si esprime con queste parole Giovanna Maggiani, Presidente dell’associazione dei familiari, vittime della strage di via dei Georgofili.
– Il 20 gennaio 2010 dopo aver sottoposto le parole di Gaspare Spatuzza a rigorosissimo vaglio, la Procura di Caltanissetta ritiene che le dichiarazioni in questione siano dotate della necessaria credibilità e siano ampiamente riscontrate dalle attività di indagine svolta. Egli non solo si accusa della strage, ma ne ricostruisce la vera dinamica e consente così la scarcerazione di sette persone innocenti, e rivelando l’inattendibilità di Vincenzo Scarantino (falso pentito).
(Dalla richiesta del programma di protezione di Gaspare Spatuzza).
– Il 5 giugno 2020 la Procura di Messina chiede l’archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage aperta a carico degli ex pm, e dei poliziotti del gruppo investigativo Falcone-Borsellino, ai quali si contestava il reato di concorso in calunnia, aggravato dall’aver favorito Cosa Nostra.
Da tali brevi cenni, quello che è stato definito dalle sentenze come “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria d’Italia” permane, vergognosamente, ancora un mistero. Ma fortunatamente la libertà, la giustizia, il coraggio e il rigore morale, cioè quegli ideali che animavano Paolo Borsellino e ai quali egli improntò tutta la sua esistenza, a 28 anni di distanza dalla strage di via D’Amelio, costituiscono ancora i pilastri su cui fondare il ricordo nella memoria collettiva del Paese, rimanendo un esempio per le giovani generazioni.
Oggi diventa fondamentale per onorare i martiri della legalità chiedere:
– alle istituzioni di promuovere, sostenere e ricercare fino in fondo la verità assoluta.
– all’opinione pubblica di pretendere di conoscere la vera storia del depistaggio che ha “coperto” i mandanti di via D’Amelio, attraverso un falso pentito, Vicenzo Scarantino, e una mendace versione sulla strage, la quale ha condotto inizialmente ad accusare, mediante pressioni e minacce, tre balordi di borgata di essere i manovali della mattanza, ma successivamente è stata archiviata dalle nuove rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.
C’è in gioco la credibilità dello Stato; soprattutto in una fase delicatissima della lotta alla mafia e in un Paese in cui si continua a non voler capire che la mafia è il problema numero uno.

Perché secondo la Procura di Caltanissetta, gli investigatori hanno voluto imbastire una così perversa sceneggiatura?

Due sono le ipotesi:
La ragion di Stato, la fretta di trovare presto un colpevole e rassicurare l’opinione pubblica e rafforzare la credibilità dello Stato.
La volontà di orientare con consapevolezza, sia i magistrati che gli investigatori, verso un obiettivo minimalista (manovalanza criminale), distogliendo così l’attenzione dai veri mandanti occulti (livello politico).
La seconda ipotesi è molto più inquietante della prima, tanto che, secondo gli inquirenti, potrebbero essere entrati in gioco esponenti deviati dei servizi segreti, al punto da far chiedere alle due Procure, di Caltanissetta e di Palermo, di eliminare il segreto su alcuni fascicoli riservati.
Come Coordinamento Nazionale dei diritti umani, vogliamo ricordare:
che è in corso un processo importante di civilizzazione del Paese, nel senso che la società civile va senz’altro verso una minore mafiosità diffusa, viviamo un’evoluzione storica della coscienza civile collettiva, che va però rafforzata e consolidata. Un merito va alla scuola con i numerosi e ormai onnipresenti progetti di educazione alla legalità.

Il ruolo della scuola

Le istituzioni scolastiche, in verità, non fanno altro che seguire il dettato di Paolo Borsellino; egli infatti sosteneva che solo una rivoluzione culturale potesse sconfiggere la mafia e solo la scuola potesse fornire ai giovani gli strumenti culturali idonei per reagire e per non essere indifferenti al fenomeno mafioso.
Il CNDDU ormai da anni mantiene vive le parole di Borsellino, nelle aule di tutta Italia, raccontando la storia esemplare di uomini e donne che hanno reagito all’arroganza e alla potenza mafiosa con le “armi” del rigore e del sacrificio, con il 41 Bis, con la confisca dei beni ai mafiosi, con il maxiprocesso, e con la netta convinzione di stare dalla parte giusta senza compromessi di sorta.
Rivolgiamo il nostro pensiero e la nostra vicinanza alle famiglie delle vittime di mafia, specialmente ai congiunti di coloro che hanno perso la vita nella strage di via D’Amelio, associandoci alla battaglia condotta da Salvatore Borsellino in nome della trasparenza e legalità, perché la giustizia possa diventare collante, ideale, alimento, di una nuova società più equa e sana.
“La lotta alla mafia, il primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte, proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè, queste giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità.” (Paolo Borsellino)
Prof.ssa Daniela Provenzano – CNDDU


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