Con sentenza n. 18197 del 02 settembre 2020, la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito il principio secondo il quale l’esistenza di “patti successori istitutivi” non debba risultare necessariamente dal testamento o da atto scritto, potendo al contrario essere dimostrata con qualunque mezzo di prova, anche presuntivo, giacché si tratta di dimostrare un accordo che la legge considera illecito.
In tema di successioni per causa di morte, l’articolo 458 del codice civile sancisce che “è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.”
Un atto di tutela
Il divieto dei patti successori suddetto risponde primariamente alla esigenza di tutelare la libertà del testatore di disporre del suo patrimonio sino al momento della sua morte, sanzionando in tal modo, con la nullità radicale, ogni accordo teso a vincolare la volontà del disponente ancora in vita ed a subordinare l’efficacia del patto all’evento-morte del testatore medesimo. In dottrina si suole classificare i patti successori in tre categorie: istitutivi, allorquando l’accordo inter vivos preveda la disposizione patrimoniale mortis causa (istitutiva di erede o legato) in favore di una determinata persona; dispositivi, nella ipotesi in cui un soggetto già disponga di diritti che possano pervenirgli da una futura successione; rinunciativi, nel diverso caso in cui il patto preveda la rinuncia dell’eredità o del legato quando la successione non sia ancora aperta.
Un caso concreto
Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte nella sentenza suindicata, trae origine da una causa ereditaria tra fratelli per l’impugnazione dei testamenti olografi di entrambi i genitori, i quali avevano regolato le loro rispettive successioni con schede coeve, reciproche e del medesimo contenuto, tacciata di nullità per divieto dei patti successori e rilevata nei due gradi di merito. Il ricorrente in Cassazione, dunque, lamentava che la corte d’appello avesse presunto l’esistenza di un accordo fra i due coniugi testatori sulla base della contemporaneità di data e della identità del contenuto e della forma dei due testamenti. Sennonché, a parere del ricorrente, la corte non avrebbe potuto trarre l’ulteriore implicazione della vincolatività dell’accordo sottostante, vincolatività essenziale per la configurabilità del patto successorio istitutivo. Oltretutto, vertendo in materia di diritti immobiliari oggetto del testamento, la prova dell’accordo sottostante avrebbe richiesto la forma scritta, non essendo sufficiente quella per presunzioni, in forza dei limiti imposti dall’art. 2729 c.c.
La reciprocità delle disposizioni
La Corte di legittimità, nel rigettare integralmente il ricorso suddetto, in linea preliminare effettua una distinzione tra testamento “congiuntivo o reciproco”, vietato dall’art. 589 c.c., secondo cui “non si può fare testamento da due o più persone nel medesimo atto, né a vantaggio di un terzo, né con disposizione reciproca”, e testamento “simultaneo”, viceversa ammesso, e che ricorre nella diversa ipotesi in cui “due diposizioni testamentarie, sia pure reciproche, costituiscano due atti perfettamente distinti, quantunque scritti sullo stesso foglio (Cass. n. 2942/1937; n. 5508/2012). L’utilizzo dello stesso strumento cartaceo non esclude l’autonomia delle singole dichiarazioni testamentarie. Né l’autonomia delle singole dichiarazioni può essere esclusa dalla reciprocità delle disposizioni” (così Cass. Civ., n. 18197/2020).
L’illegittimità di un accordo
Ciò premesso, e rientrando il caso di specie nella seconda ipotesi, tuttavia la Suprema Corte, confermando la sentenza di appello, riscontra la invalidità delle schede non già per violazione dell’art. 589 c.c., bensì sotto un diverso punto di vista, ossia in relazione al loro eventuale porsi come atti esecutivi di un precedente accordo concluso dai testatori e avente per oggetto l’impegno di ciascuno a disporre in un certo modo della propria successione per causa di morte (appunto, il patto successorio istitutivo, vietato dall’art. 458 c.c.). In particolare, afferma la Corte, “si ha patto successorio, vietato, ai sensi dell’art. 458 c.c., quando le disposizioni testamentarie redatte da più persone, pur essendo contenute in schede formalmente distinte, danno luogo a un accordo con il quale ciascuno dei testatori provvede alla sua successione in un determinato modo, in determinante correlazione con la concordata disposizione dei propri beni da parte degli altri”.
Il divieto dei patti successori
Peraltro, la esistenza del patto successorio istitutivo in parola, può anche non risultare direttamente dalla scheda testamentaria, quale motivo determinante la disposizione, ovvero da altro atto scritto, ma è sempre dimostrabile con qualsiasi mezzo di prova, “perché si tratta di provare un accordo che la legge considera come illecito”, analogamente con quanto accade in materia di simulazione che ai sensi dell’art. 1417 c.c., può essere provata con ogni mezzo quando l’azione sia diretta ad accertare la illiceità del contratto dissimulato (al riguardo, per tutte, Cass. Civ., n. 26317/2017).
Conseguentemente, la Corte ha ritenuto nulli i testamenti olografi portati al suo esame poiché redatti in violazione del divieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c., la cui dimostrabilità, lungi dal soggiacere ai limiti di prova scritta ex art. 2729 c.c., può essere raggiunta con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni, proprio in quanto finalizzata ad accertare l’esistenza di un accordo contrario alla legge.
Avv. Giovanni Parisi