L’articolo 5, comma VIII della Legge n. 898/1970 sancisce, in materia di assegno divorzile, la possibilità per le parti di stabilirne la corresponsione in un’unica soluzione, in luogo di quella periodica (solitamente su cadenza mensile) soggetta ai criteri di adeguamento automatici.
La corresponsione “una tantum” dell’assegno divorzile, caratterizzata dalla unicità della prestazione contributiva, presuppone dunque, in primo luogo, un accordo negoziale tra i coniugi sia sull’an che sul quantum dell’esborso a carico del soggetto economicamente più forte e che ben può sostanziarsi in un importo di denaro, in un trasferimento di proprietà ovvero in una concessione di diritti reali di godimento immobiliare. La forma richiede necessariamente un provvedimento giudiziale all’esito di ricorso per divorzio su domanda congiunta, ovvero di una richiesta modifica (sempre congiunta) delle preesistenti statuizioni. La “causa” è onerosa, assolvendo agli obblighi di post-coniugali di contribuzione, e rappresenta espressione della piena autonomia negoziale di cui le parti sono portatrici anche nei rapporti di natura familiare.
La Corte Costituzionale
Una celebre ordinanza della Corte Costituzionale, in proposito, ha ritenuto che l’accordo raggiunto sulla corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile ha una “peculiare natura transattiva o novativa, oltre che aleatoria” (Corte Cost., Ord. N. 113/2007): transattiva in quanto determina la definitiva cessazione di una lite in merito al diritto di percepire un contributo post-coniugale; novativa, nel senso che l’assolvimento dell’obbligo assistenziale mediante una prestazione diversa da quella dell’obbligazione originaria consistente nella somministrazione periodica dell’assegno, configurerebbe novazione oggettiva o datio in solutum; infine aleatoria poiché al momento della sua determinazione non è possibile calcolarne la convenienza o meno.
La valutazione del giudice
La riconducibilità dell’accordo siffatto nell’alveo “contrattuale” e privatistico con finalità di definizione dell’assetto economico post-matrimoniale, tuttavia, in forza del medesimo articolo 5, comma VIII della legge divorzile, viene limitato e condizionato al superamento del vaglio operato dal tribunale in ordine alla sua “equità”.
Appare di tutta evidenza che la valutazione del giudice sulla congruità nel caso concreto della modalità una tantum di corresponsione dell’assegno, lungi dall’essere meramente formale, è assai delicata, avendo ad oggetto la disposizione di diritti della personalità che, secondo la disposizione di legge in parola, una volta approvati non possono essere più oggetto di modifica unilaterale: continua difatti la norma sopra richiamata, “in tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.
La necessaria approvazione giudiziale, pertanto, mentre secondo certa Dottrina non inficerebbe la validità dell’accordo divorzile, limitandosi eventualmente a determinarne la successiva intangibilità, viene viceversa ricondotta dalla giurisprudenza della S.C., ad espressione di garanzia di tutela del “principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c.” (Cass. Civ., n. 4764/2018. Conformi, per tutte, Cass. Civ., n. 2224/2017; Cass. Civ., n. 3635/2012).
L’alea che caratterizza l’assegno una tantum, al di là del controllo giudiziale sulla sua congruità, comporta la ricorrenza bilanciata di vantaggi e svantaggi per entrambe le parti: per quanto attiene al soggetto obbligato, questi subirà l’onere di dovere versare – appunto – in un’unica soluzione una ingente somma di denaro (sebbene sia stata ammessa in giurisprudenza la facoltà di prevedere una rateizzazione del complessivo importo stabilito), ovvero di cedere/limitare il proprio diritto sulla proprietà immobiliare, e ciò a prescindere dal successivo mutamento delle proprie condizioni patrimoniali, venendo meno, in siffatta ipotesi, il criterio perequativo del “rebus sic stantibus”; inoltre, dal punto di vista fiscale, quanto corrisposto a titolo di assegno divorzile una tantum non sarà deducibile dalla dichiarazione dei redditi da parte del contribuente obbligato – al contrario di quanto accade per il versamento periodico del contributo post-coniugale – e ciò a prescindere dalla intervenuta rateizzazione del pagamento concordato, essendo essa solamente una diversa modalità di assolvimento di quella unica obbligazione finalizzata a risolvere definitivamente i rapporti economici tra gli ex coniugi senza ulteriori vincoli per il debitore (per tutte, cfr. Cass. Civ., n. 29178/2019). D’altro canto, accordarsi con l’altra parte sulla predetta modalità di versamento, comporta il beneficio (certamente da non sottovalutare) di troncare in via definitiva ogni rapporto personale e (soprattutto) patrimoniale con l’ex coniuge, concedendo allo stesso una – impropriamente detta – liquidazione quantificata “a monte”, che nel futuro non risentirà di eventuali decrementi reddituali subiti dal beneficiario, essendo a quest’ultimo precluso di avanzare successivamente qualsivoglia pretesa economica, ivi compresa la quota di trattamento di fine rapporto e di pensione di reversibilità, entrambe prestazioni riservate al coniuge divorziato non passato a nuove nozze e percettore dell’assegno periodico (per tutte, cfr. Cass. Civ., n. 21002/2008).
Assegno divorzile una tantum e Tfr del coniuge
I medesimi profili sopra accennati, ben possono tradursi nei motivi di svantaggio nello scegliere l’una tantum per quanto concerne la posizione del coniuge beneficiario, atteso che quest’ultimo, come detto, accettando la corresponsione prevista dall’art. 5, comma VIII, legge n. 898/1970, implicitamente rinuncia a far valere eventuali e successive pretese economiche nei confronti dell’ex, anche se in futuro dovesse versare in stato di bisogno; inoltre, il beneficiario perderebbe ogni diritto sul TFR dell’altro, e ciò in quanto “il diritto alla quota di indennità di fine rapporto non presuppone la mera titolarità in astratto di un assegno di divorzio e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse tra le parti” (Cass. Civ., n. 21002/2008, cit.); medesimo discorso escludente vale anche per l’eventuale possibilità di riscuotere la pensione di reversibilità dell’ex coniuge premorto, così come anche enunciato dalle Sezioni Unite della S.C. nella ordinanza n. 11453/2017, secondo cui “ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ex art. 9 l. n. 898/1970, la titolarità dell’assegno divorzile deve intendersi come attuale e concretamente fruibile al momento della morte dell’ex coniuge mentre non rileva la titolarità astratta del diritto all’assegno di divorzio in precedenza soddisfatto con la corresponsione di un’unica soluzione”.
Tuttavia, la liquidazione una tantum dell’assegno ha l’indubbio vantaggio per il beneficiario di ottenere nell’immediatezza un congruo importo (ovvero un diritto reale immobiliare), senza correre il rischio di futuri inadempimenti, ovvero possibili revisioni dell’assegno periodico ad opera della controparte obbligata al versamento. Inoltre, dal punto di vista fiscale, è stato ritenuto non soggetto a tassazione l’importo non capitalizzato percepito dall’ex coniuge beneficiario della corresponsione una tantum, anche nella ipotesi di rateizzazione del credito (ex multis, cfr. Cass. Civ., n. 9336/2015).