Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Suicidi negli atenei

Tra i 4000 casi di suicidio l'anno, un'alta percentuale riguarda giovani. Tra questi ultimi, molti sono studenti, soprattutto universitari. Esiste una relazione tra i suicidi negli atenei e l'andamento dell'università? Ne parliamo con Beatrice Messina, da anni impegnata in una ricerca sul time management con riferimento al metodo di studio universitario

di Redazione

Suicidi negli atenei. Secondo dati ISTAT, ogni anno, in Italia si registrano 4000 casi di suicidi, di cui circa 500 vengono compiuti da under 34. Segno, quest’ultimo dato, del forte disagio psico-sociale in cui vive la popolazione giovanile.
Un’alta percentuale di questi giovani è composta da studenti. In particolare, studenti universitari.
Ed è proprio su questi ultimi che, nel corso del nostro articolo, vogliamo focalizzare l’attenzione. Sembra proprio, infatti, che una delle cause sia riscontrabile nella carriera studentesca, nella c.d. “performance universitaria”. Gli studi dimostrano come i suicidi per motivi di studio si verifichino principalmente nella popolazione degli Atenei italiani, dove si sviluppano livelli di depressione ed ansia decisamente più alti rispetto che nel resto della popolazione giovanile.


I giovani e il percorso universitario

Perché i giovani vivono così male il proprio percorso universitario? Quale chiave di lettura possiamo dare a questo disagio vissuto all’interno degli Atenei? Quali le vere cause che inducono i giovani studenti a questo gesto estremo?
Ne parliamo con la dott.ssa Beatrice Messina, segretario generale della Fondazione  YMCA  Italia e vice segretario della Federazione italiana YMCA con delega alla formazione. Da tempo impegnata nello sviluppo e coordinamento delle attività post-laurea e di alta formazione in convenzione con prestigiosi atenei italiani, nonché impegnata sul management delle emergenze nell’ambito del corso di laurea in Global Governance del Mediterraneo con Università UniNettuno, la dott.ssa ha condotto una ricerca sul time management con riferimento al metodo di studio universitario.

I suicidi negli atenei italiani stanno diventando un fenomeno sociale

L’Inchiesta Sicilia – Dott.ssa Messina neanche un giorno fa si è registrato un suicidio presso l’Università di Bologna, l’ennesimo su un dato in costante crescita. Cosa ne pensa di questo fenomeno, visto dal suo punto di osservazione?

Dott.ssa Messina – Sono problematiche serie, l’extrema ratio che sempre più giovani studenti purtroppo applicano per mettere fine ad un’ambiguità di fondo, una doppia vita che si va creando per poter soddisfare le aspettative dei genitori, dell’Università, della società. È sempre lo stesso drammatico modus operandi: si inventano esami sostenuti, si falsificano libretti, si inventano sedute di laurea inesistenti e così via. Un circolo vizioso e “diabolico” da cui sembra non esserci via d’uscita. E, quindi, l’estremo gesto.

Dati Istat


I dati ISTAT confermano una tendenza oltremodo tragica. Sono, infatti, circa 4000 i suicidi in Italia ogni anno, di cui circa 500 vengono compiuti da under 34. Dati alla mano è evidente come il disagio giovanile sia preponderante nel nostro Paese ed una delle cause è riscontrabile nella carriera studentesca, nella c.d. “performance universitaria”. Gli studi, infatti, dimostrano come i suicidi per motivi di studio si verifichino principalmente nella popolazione degli Atenei italiani dove si sviluppano livelli di depressione ed ansia decisamente più alti rispetto che nel resto della popolazione.

Performance universitaria e diritto all studio

L’Inchiesta Sicilia – La performance universitaria strettamente agganciata al concetto di meritocrazia trova sia in linea con il diritto allo studio e ad una dimensione inclusiva all’interno della comunità degli studenti?

Dott.ssa Messina – Non c’è bisogno di far grandi ricerche per dimostrare come il concetto di performance in ambito universitario sia stato estremizzato al massimo. Basterebbe leggere certi articoli di certa stampa per capire qual è il fulcro del problema. Quanti articoli inneggiano ai “più giovani laureati d’Italia”? Perché non trovare strane intere interviste dedicate solo ai primi classificati ai test per accedere alla facoltà di medicina? Perché non pensare che questo svii totalmente l’opinione pubblica da un problema ben più serio e ben più grave che potrebbe colpire anche chi sta vicino a noi, come un collega, un amico, un fratello, un figlio?

Gli sfoghi degli studenti

L’informazione va cercata negli sfoghi degli studenti che arrivano a metà o alla fine del loro percorso accademico in una condizione di stress psicofisico inaudita, uno Spleen che opprime gli animi. In tal senso vorrei citare un tweet di un laureando in medicina: “[…] penso che l’università logori così nel profondo uno studente da cambiare irrimediabilmente il suo modo di pensare e vivere. E ora che ne sto uscendo, tipo associazione alcolisti anonimi, è un sollievo sapere di non averne più a che fare”.

Organizzazione degli Atenei all’anno zero

La struttura ed organizzazione degli Atenei di per sé non è in linea, a mio parere, con il sacrosanto diritto allo studio. Essa, infatti, disorienta i giovani, non fornisce un metodo di studio e di time management efficace sin dai primi giorni del primo anno di corso (lasciando alla deriva tanti giovani), fornisce uno studio quasi esclusivamente teoretico. Vieppiù: nelle grandi realtà universitarie è molto complicato l’approccio ed il confronto diretto con il docente, lasciato alla mercé di numerosi cultori della materia o dottorandi ipersfruttati. E ancora, le segreterie accademiche e gli uffici di coordinamento accademico non seguono in egual modo tutti gli studenti e non rispondono a tutti i loro dubbi. Perché tutto questo non fa mai notizia ed occorre attendere i gesti estremi per parlarne?

Risultati finali

L’Inchiesta Sicilia – I tempi a suo parere dell’Università sono coerenti con i risultati attesi?

Dott.ssa Messina– Assolutamente no ed il conto è presto fatto: ai sensi di legge 1 CFU equivale a 25 ore tra lezioni frontali, attività correlate e studio individuale. Di queste 25 ore, 7 sono dedicate alle lezioni frontali. Ponendo una media di materie da 9 CFU cada una, in una situazione ideale in cui lo studente sta preparando due materie per la sessione semestrale, ci troviamo innanzi a 450 ore. A queste vanno sottratte 126 ore di lezione arrivando, quindi, a 324 da spalmare in 12 settimane (in media il tempo dall’inizio del semestre al primo appello utile della sessione di esami), da dividere ulteriormente per i 5 giorni feriali. Si arriva così a poco meno di 6 ore al giorno (ricordiamo, per due materie).

Sottratti i tutorati

A queste andrebbero sottratti i tutorati, le incombenze (pausa pranzo, spostamenti casa- università fino a 2 ore a/r, ulteriori lezioni universitarie da seguire). Si arriverebbe a circa 3 ore al giorno da dividere per due materie mediamente, aggiungendo a questo la scandalosa prassi, sempre più diffusa da parte di docenti, di far studiare da libri di mille e più pagine per materie da pochi crediti.

Atenei in sofferenza


Tutto ciò premesso, ritengo impossibile rimanere ancora stupiti leggendo i dati che confermano che in Italia solo il 20,1% della popolazione è laureata contro una media europea che si attesta al 32,8%, con circa 530 mila casi di rinuncia agli studi in un solo anno. Non è un caso che la media statistica degli anni passati dentro la Facoltà di giurisprudenza prima della laurea è di 9 e mezzo. Così, come non è un caso che, anche e soprattutto a causa della pandemia da COVID-19, gli Atenei soffrono un netto calo delle iscrizioni. Nessuno vuole più spendere la “moneta tempo” se il sistema non consente di sfruttarlo al meglio.

Strumenti di tutela

L’Inchiesta Sicilia – Che strumenti hanno le famiglie per tutelarsi nei confronti degli Atenei?

Dott.ssa Messina – A mio parere, ai sensi di quanto detto, potrebbero esservi le basi per configurarsi una responsabilità contrattuale per inadempimento da parte dell’Ateneo, in quanto ciò che si forma è un vero e proprio rapporto sinallagmatico tra l’Ente e lo studente. Inoltre, qualora dimostrato che eventuali sintomatologie psicofisiche derivino da condotte illecite messe in atto dall’Ateneo, potrebbe configurarsi anche una responsabilità extracontrattuale che porterebbe al risarcimento del danno materiale e biologico.
La Fondazione YMCA Italia Ets ha intenzione di avviare confronti tra giuristi e psicologi in modo da individuare le soluzioni più confacenti ai singoli casi di specie.

Supporto psicologico

L’Inchiesta Sicilia – Il supporto psicologico nei casi di maggiore difficoltà è garantito negli Atenei?

Dott.ssa Messina – Ad oggi è garantito ma non diffuso in maniera capillare e non pubblicizzato. Molti studenti non hanno contezza di questa possibilità oppure hanno paura ad esporsi. Va comunicato meglio, vanno implementati i benefici. Inoltre, ritengo necessario un servizio di counseling di emergenza che si attivi ogni qualvolta gli uffici accademici rilevino delle criticità (es. qualora uno studente non sostenga più esami nel corso di un anno, chiamarlo per una consulenza). Questo potrebbe contribuire a prevenire i suicidi negli atenei


La salute mentale degli studenti universitari

Anche sul piano della salute mentale degli studenti l’Italia è molto indietro. In Inghilterra, per esempio, il supporto psicologico è a 360 gradi. Ci sono spazi di dialogo e confronto in ogni Facoltà (e non uno in tutta l’Università). Si pensi addirittura che in caso di incidenti occorsi a studenti dentro i campus (ad es. incendi dentro le cucine), uno dei primi soccorsi attivati dall’Ateneo è quello psicologico. Non mi dilungo sull’alta considerazione dell’individuo che vi è nei Paesi anglosassoni. Cosa, purtroppo, inconcepibile nel nostro Bel Paese, nonostante le previsioni costituzionali. Sempre in Inghilterra, infatti, vi è il Ministero della Solitudine, incaricato di risolvere i problemi sociali dei cittadini.

Soluzioni

L’Inchiesta Sicilia – Quali potrebbero essere le soluzioni da intraprendere per arginare i suicidi negli atenei?

Dott.ssa Messina – Partire dal basso, avviando un dibattito pubblico e politico su tematiche ancora celate, far parlare i ragazzi. Cambiare il punto di vista, rendere l’Università dello studente, per lo studente. Tornare agli antichi fasti in cui la creazione del bagaglio culturale era fondamentale – e non un mero schematico ed asettico modus operandi al fine di sostenere esami con profitto – con un risvolto pratico, aperto concretamente al mondo del lavoro senza mai dimenticare le esigenze dei discenti. Gli studenti, infatti, non sono tutti uguali, vanno seguiti secondo le loro attitudini e ciò può essere possibile solo con una struttura universitaria capace di adattarsi alle esigenze dei medesimi, più flessibile, più smart, più pratica, più “studentecentrica”, meno burocratica.



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