A proposito di questi due… Speciale festività
Segnalazioni cinematografiche
One Second (Yi miao Zhong , Cina/Hong Kong, 2020) di Zhang Yimou con Zhang Yi, Liu Haocun, Fan Wei, Yu Ailei
La pellicola nel deserto è un’immagine assai suggestiva e rappresentativa di ciò che era il cinema e non sarà più. È fra le dune che nella Cina rurale di metà anni ’60 un fuggiasco, desideroso di scorgere sua figlia in un cinegiornale, insegue una tenace orfana che ha rubato un rullo per ricavare un paralume dal suo contenuto (e quando non hanno la bobina sottobraccio i due a turno sono pronti a inventare qualsiasi storia per riottenerla, come se una finzione ben esposta comportasse il diritto di “possedere” la settima arte). Grazie a un rinomato proiezionista ambulante e a un certosino lavoro di recupero dopo un incidente di percorso (gran cosa, la cooperazione!), lo spettacolo può avere luogo. Zhang piazza il “suo” film sulle sale, con qualche possibile contraddizione che tuttavia non stona.
Diabolik (Italia, 2021) di Marco Manetti, Antonio Manetti con Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Alessandro Roja
L’abbastanza tempestiva versione di Mario Bava (1968) del fumetto delle sorelle Giussani soffriva di qualche lacuna filologica, che i fratelli Manetti, anche sceneggiatori con Michelangelo La Neve (parecchio raffinata la costruzione della trama), aggirano abilmente con il piglio degli appassionati. Eventuali passaggi “asettici” nella vicenda del ladro mascherato che adocchia sia il diamante della ricca Eva Kant sia la sua proprietaria fanno parte della restituzione delle atmosfere delle pagine disegnate. Le immaginarie Clerville e Ghenf sono opportunamente riprodotte, ma da premiare sarebbero i costumi.
West Side Story (id., USA, 2021) di Steven Spielberg con Rachel Zegler, Ansel Elgort, Ariana DeBose, Rita Moreno
L’osannato musical ispirato a Romeo e Giulietta e imperniato su due giovani che non possono amarsi perché legati loro malgrado a due gang rivali newyorkesi (una portoricana, l’altra di ascendenze ebree polacche) debuttò nel 1957, il pluripremiato film di Wise e Robbins (del quale qui resta, con le musiche di Leonard Bernstein e i testi di Stephen Sondheim, parte del lavoro coreografico) è di quattro anni dopo. Per l’appassionato Spielberg, che ancora al genere non si era accostato, non è difficile rielaborarli, ammodernando quel tanto che basta la regia. Poche differenze, con una sottolineatura iniziale dell’indomito processo di gentrificazione. Radi i volti noti: il co-protagonista Elgort, Rita Moreno ad aggiornare il vecchio Doc (e assist vivente alla pellicola di 60 anni fa), Corey Stoll. Godibilissimo.
Il capo perfetto (El buen patrón, Spagna, 2021) di Fernando León de Aranoa con Javier Bardem, Almudena Amor, Manolo Solo, Óscar de la Fuente
Si rinnova il tandem De Aranoa/Bardem, già responsabile di Escobar – Il fascino del male e, ben prima, dello splendido I lunedì al sole. Il tema è di nuovo il lavoro, però osservato dall’angolazione di un privilegiato produttore di bilance (oggetti chiaramente simbolici per lo script dello stesso autore), sulla carta liberale e disponibile nei confronti dei suoi dipendenti, dietro le comunque labili apparenze assillato dalle conseguenze di varie magagne proprio in prossimità della visita di una commissione che dovrebbe sancire l’eccellenza della sua attività. Un percorso i cui ostacoli sono le risate amare.
Illusioni perdute (Illusions perdues, Francia, 2021) di Xavier Giannoli con Benjamin Voisin, Cécile de France, Vincent Lacoste, Xavier Dolan
Già dietro la cinepresa di Marguerite (2015), Xavier Giannoli va ancora più indietro nel tempo e si cala nella Parigi post-napoleonica, dove giunge dalla provinciale Angoulême l’aspirante giovane poeta (con inclito pseudonimo) Lucien de Rubempré, protetto da una nobildonna che non può mostrarsi al suo fianco; diventerà un giornalista tanto influente quanto corruttibile. Giannoli lascia fare a Balzac, autore del romanzo d’origine, per descrivere questa parabola “lyndoniana” che ci parla scopertamente di reputazione e fake news, antipatie e ricatti. È vero, rispetto a oggi l’arte sembra (va) rivestire un’importanza maggiore, ma i meccanismi umani si rivelano sinistramente immutati. Ci conduce nella vicenda una voce narrante (chi sarà?). Fra i comprimari di lusso, Jeanne Balibar e Gérard Depardieu.
La Befana vien di notte II – Le origini (Italia, 2021) di Paola Randi con Monica Bellucci, Zoe Massenti, Fabio De Luigi, Herbert Ballerina
Se un film, teoricamente rivolto all’infanzia, è riuscito, perché non riconoscerlo? Il tocco di Paola Randi (Into Paradiso, Tito è gli alieni) è ancora abbastanza originale da elevare – grazie al mix di fantasy e ironia – questo seguito (un prequel ambientato nel Settecento, in realtà) un paio di tacche più in alto del discontinuo primo capitolo di Soavi. Merito del cast (in testa la giovane tiktoker Massenti, Befana predestinata all’interno di una banda che ricorda Oliver Twist ) e di un soggetto che oppone il coming of age di una ladruncola ai complessi di un vendicativo barone-poliziotto (De Luigi).
Un eroe (Qahremān, Iran/Francia, 2021) di Asghar Farhadi con Amir Jadidi, Sahar Goldust, Mohsen Tanabandeh, Fereshteh Sadre Orafaiy
Ancora dilemmi morali e sfumature di umanità per Asghar Farhadi in questa storia di un recluso per debiti che durante un permesso trova una borsa con dell’oro e (non subito) la restituisce, diventando anche agli occhi del popolo prima un esempio, poi, con l’emergere di ulteriori particolari che completano il quadro pian piano, un reietto. Le mezze verità perlopiù intenzionali, il condizionante supporto della compagna e dei parenti, la cocciuta ritrosia del creditore determinano un percorso forzato, culminante in una presa di coscienza (e in un’immagine finale – in parte rasserenante – non a caso a misura di smartphone). Una riflessione solo relativamente indiretta sulle forme di comunicazione odierne, sulla loro pervasività e capacità di (dis)orientare la gente, sull’ineluttabile sbilanciamento delle opinioni.
La crociata (La croisade, Francia, 2021) di Louis Garrel con Lætitia Casta, Louis Garrel, Joseph Engel, Julia Boème
Il Louis Garrel regista (e figlio d’arte) si mostra sempre più conciso (questa sua terza prova dietro la mdp dura poco più di un’ora), pur trovando il modo di divagare sull’irriducibile insicurezza adolescenziale. Le premesse sono gustose e anti-sistema: un’inerte coppia borghese (i nomi e le facce sono gli stessi del precedente lavoro di Garrel, L’uomo fedele ) scopre per caso che il suo unico rampollo sta vendendo moltissimi oggetti di famiglia inutilizzati e più o meno preziosi per supportare un progetto ecologista di gruppo a favore dell’Africa. Uno degli ultimi copioni di Jean- Claude Carrière.
È andato tutto bene (Tout s’est bien passé, Francia, 2021) di François Ozon con Sophie Marceau, André Dussollier, Géraldine Pailhas, Charlotte Rampling
Ozon oggi è il regista d’oltralpe più conosciuto da noi, sia per la capacità di cimentarsi con generi e stili diversi, sia per i suoi collaudati rapporti con gli attori, una cerchia che si allarga qui a Dussollier (invecchiato per l’occasione) e una ritrovata, naturale, sempre stupenda Marceau. È Emmanuèle, scrittrice che con la sorella Pascale (Pailhas) affronta i postumi dell’ictus che ha colpito il padre André, quasi 85enne; scoraggiato dal suo stato, costui insiste per (o impone di) concludere la sua avventura terrena in una clinica svizzera. L’argomento è per l’appunto la famiglia (non l’eutanasia), fra ricordi, ansie, danni, affetti, egoismi. Grande attenzione per le figure di contorno, dalla madre depressa Rampling all’amante Gadebois al vicino di stanza Nolot. Mai patetico, talvolta ironico.
America Latina (Italia/Francia, 2022) di Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo con Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Maurizio Lastrico
Il titolo allude tanto alla (spesso schierata) città laziale teatro della vicenda inventata dai fratelli D’Innocenzo quanto ai Paesi d’oltreoceano in passato afflitti da dittature, e diventa chiaro a fine visione. Le tribolazioni d’un rispettabile dentista (Germano, al top) scioccato da ciò che trova nella cantina della sua villetta derivano dallo sporco sottovalutato e nascosto troppo a lungo sotto il tappeto. L’epilogo ha debiti con molti classici moderni, ma l’affondo resta. Ottimi i caratteristi (Ciocca, Wertmüller…) e gli aspetti tecnici, dalle luci di Paolo Carnera al missaggio di Francesco Tumminello.