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Gender gap e pink tax

Gender gap e pink tax. E'stata elaborata una certificazione della parità di genere” al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione a una serie di opportunità

di Patrizia Romano

Yuliana Trengia*

Gender gap e pink tax. Dopo l’approvazione delle modifiche al codice in materia di pari opportunità tra uomo e donna, il decreto legislativo 11 aprile 2006 n.198, rappresenta una piccola vittoria alla battaglia sulle discriminazioni nel mondo del lavoro.
Il disegno di legge oltre a prevedere l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di produrre un rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile e sulle differenze retributive tra generi, prevede anche il monitoraggio sulla disparità di genere, che un’apposita figura, che non è più il ministro del Lavoro, dovrà elaborare ogni due anni.

L’art.46-bis: certificazione della parità di genere

A decorrere dal 1° gennaio 2022, è stato introdotto l’art.46-bis che istituisce la “certificazione della parità di genere” al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione a una serie di opportunità. Intanto, l’opportunità di crescita in azienda. Poi, la parità salariale e parità di mansioni. Ma anche alle politiche di gestione delle differenze di genere. Nonché, alla tutela della maternità e alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Sono inoltre previsti sgravi fiscali per le aziende virtuose.

Secondo il rapporto del Global Gender Gap

Il problema di disparità di genere non è però ancora risolto dato che secondo il rapporto del Global Gender Gap del 2023 pubblicato il 20 giugno, l’Italia ha registrato un notevole calo di 13 posizioni rispetto all’edizione del 2022, classificandosi al 79° su 146 paesi in considerazione. Si stima che serviranno 131 anni per raggiungere la parità di genere.

Gender gap e pink tax

Anche il Gender Pay Gap ancora persiste, se si considera che a causa della pandemia molte donne hanno perso il lavoro, ampliando ancora di più le disparità tra i sessi in ambito economico e vedendo scivolare l’Italia al 114esimo posto a livello europeo.
I problemi del lavoro femminile sono ben noti ed il basso tasso di occupazione in Italia vede lavorare una donna su due. La percentuale dei contratti part time è ancora alta, molte donne sono costrette a prediligerlo. Ciò perché i posti disponibili negli asili nido, secondo i dati dell’Istat del 2019, coprivano solo il 25,5% del totale dei bambini sotto i tre anni.
La bassa occupazione delle donne è dunque dovuta ancora alla scelta tra lavorare o occuparsi della famiglia?

Pink e blue tax

La disparità di genere si concretizza anche al di fuori del lavoro, con le cosiddette pink e blue tax. Alcuni prodotti dedicati alle consumatrici donne costerebbero di più rispetto agli equivalenti destinati agli uomini, rivelando un ingiusto divario di prezzo tra prodotti che hanno lo stesso costo di produzione e distribuzione. A partire dal semplice deodorante e prodotti per il viso che hanno un costo maggiore nelle varianti femminili con un 50% di differenza. Anche i profumi a parità di quantità e marca hanno un costo del 29% in più rispetto a quello degli uomini.

Pink Budget

Secondo alcuni studi non è questione di pink tax, ma di “pink Budget” poiché l’esistenza di un numero maggiore di oggetti solo femminili è elevato rispetto a quelli maschili.
Il problema è quindi da ricollegare non solo al prezzo, ma in primis al condizionamento culturale che porta le donne a spendere e comprare volumi di prodotti pubblicizzati molto di più di quelli degli uomini?
Le disparità sono all’ordine del giorno, ma solo collaborando si potrà raggiungere l’auspicata uguaglianza di genere.

*Federconsumatori

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