Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Il sogno di essere semplicemente mamma

A pochi giorni dalla "Festa della mamma", la storia di Yodit Abraha ci svela ancor di più come e perchè decidere di diventare genitore, nel suo caso affidatario, quindi facendo una scelta di profonda generosità

di Gilda Sciortino

«Mi chiedi da dove arrivo? Posso dirti che non ne ho idea? Scherzi a parte, sono nata ad Asmara, in Eritrea, dove sono cresciuta per una parte della mia infanzia, poi ho raggiunto mio padre e la mia mamma che vivevano da tempo a Valverde, in provincia di Catania, rimanendo con loro sino al momento di decidere gli studi universitari che faccio a Palermo per laurearmi in Psicologia. Da quel momento non ho mai lasciato questa città, per me la più bella del mondo».

Rapita dall’effervescenza di una città in cui l’integrazione creava cultura

L’amore per il capoluogo siciliano, Yodit Abraha, te lo rimanda attraverso un paio di occhi che brillano mentre parla e, contemporaneamente, osserva ciò che le succede attorno, senza però distrarsi o rivelare disattenzione nel suo racconto. Uno sguardo che si illumina ancora di più quando parla del centro storico, dei vicoli che attraversa ogni giorno per andare a lavorare nei progetti che combattono la povertà educativa con le tante associazioni del territorio. Non è, infatti, un caso che ci incontriamo da Moltivolti, girato l’angolo del coloratissimo mercato di Ballarò, dove il concetto di integrazione si consuma a tavola, nel senso più letterale del termine, attraverso i profumi e i sapori di altri mondi che si fondono, creando ricette la cui memoria ti porta lontano.

Palermo, la città simbolo di crescita personale

«Palermo mi ha quasi subito rapita per il suo essere caotica, schizofrenica, piena di cultura, di storie incredibili. Probabilmente sono anche una delle pochissime catanesi che non ha pensato a rientrare a Catania dopo la laurea, ma anche perché ho cominciato quasi subito a lavorare. Questa è stata la città dell’autonomia, della consapevolezza, qua c’è la mia crescita personale, anche l’incontro con le mie radici. Mi sono innamorata delle differenza con la realtà da cui arrivavo, Valverde, piccolo comune della provincia catanese, dove eravamo l’unica famiglia straniera. Fondamentale per me anche il fatto che, quando arrivo, all’età di 18 anni, era anche un momento storico per Palermo, il 1993, subito dopo le stragi di mafia, quindi mi ritrovo immediatamente immersa in un contesto particolarmente difficile».

Ma c’è un avvenimento particolare che cambia il tuo modo di vedere le cose?

«Credo fosse il ’97, mi trovo a lavorare con il Ciss in un progetto di imprenditoria sociale dove faccio la tutor di un corso di formazione per stranieri. Era una classe di adulti provenienti da tutte le parti dell’Africa. Fu, per me, un terremoto. Esprimevano tutto l’orgoglio per la loro identità culturale e, questo, mi fece riflettere sul fatto che, per essere uguale agli altri, avevo messo da parte tutto questo. Certo ero piccola, avevo paura, ma il confronto mi ha riposizionato, avviando quel processo di crescita personale che ovviamente prosegue ancora. Continuando a studiare, mi interessai sempre di più a quello che succedeva attorno a me, ma soprattutto su cosa potessi fare io per gli altri. Da lì il sempre più forte impegno nel sociale che mi ha fatto conoscere tantissime persone».

La voglia di crescere, però, con il tempo alimenta un altro tipo di desiderio

«Con i 40 anni arriva il desiderio di maternità. Non lo ritengo improvviso perché io comunque ho avuto una madre che mi ha partorito quando aveva 15 anni, crescendo insieme diciamo pure come sorelle. Ho sempre desiderato seguire un po’ la sua strada.

Di adozione non  si poteva parlare perché single, quindi mi presento tecnicamente al Centro Affidi del Comune per prendere informazioni e, da lì, comincio la formazione che prevede per tutti un percorso sul desiderio di maternità e su come realizzarlo. Desiderio su cui ho dovuto lavorare, scendendo nel più profondo di me stessa. Tanti i colloqui su cosa immagini, sul potenziale che hai e che puoi mettere in campo».

Un lavoro che si fonda sulle aspettative

«Ovviamente non scegli tu il bambino o la bambina in affido, non sei certo al supermercato, anche se si cerca sempre di fare il matching rispetto ai desideri del futuro genitore. Sono sempre stata convinta che fare un figlio è fondamentalmente qualcosa di egoistico, quindi anche in questo caso bisogna capire che si tratta di una strada anche differente da quella che si pensa di intraprendere all’inizio. La mia idea iniziale era di prendere con me una bambina piccola ma, grazie a quel lavoro sulla consapevolezza di cui parlavo prima, ho compreso che, da single e persona impegnata attivamente nel sociale, la cosa migliore era un adolescente o un pre-adolescente. È stata dura ma, una volta ottenuta l’idoneità, è arrivato mio figlio.  Mai avrei immaginato di potere essere essere più felice».

Che tipo di emozione si prova quando si capisce che è giunto il momento tanto atteso?

«Certa che solitamente si dà priorità alle coppie, dopo quel periodo di formazione che ti aiuta, mi misi il cuore in pace e decisi di buttarmi a capofitto nel lavoro. Avevo accettato diversi contratti e viaggiavo, sovraccaricandomi di tante cose. Ero nella sede de “Le Onde“, associazione che si occupa di donne vittime di violenza con cui lavoravo, quando mi arrivò la telefonata tanto attesa per fissare un appuntamento e incontrare mio figlio, un bambino di 5 anni, che stava in comunità e aveva bisogno di una nuova famiglia, anche se temporanea. Un tuffo al cuore. Mi diedero un po’ di tempo per decidere, ma non avevo bisogno di farlo. Ero pronta a diventare mamma».

Una mamma, però, a tempo, ruolo condiviso con la famiglia naturale. Non sempre semplice da accettare

«La prima cosa che ti aiutano a metabolizzare è proprio questa. Se l’ affido funziona, può anche accadere che il bambino torni con il nucleo familiare dal quale è stato temporaneamente separato per aiutare tutti superare un momento di difficoltà. Nel frattempo, i rapporti con i genitori si mantengono per il bene soprattutto del bambino. Non è facile, ma non si lasciati soli a superare questi momenti».

Il primo incontro nel percorso di affido è sempre una grande emozione

«Cambiamenti del genere stravolgono chiunque, quindi non posso dire che esultasse di questa situazione. Era contento semplicemente per il fatto che i suoi quattro fratelli erano stati dati già in affido e lui aspettava che qualcuno arrivasse anche per lui. Solitamente, quando ci sono fratelli, il progetto di affido viene avviato contemporaneamente per tutti, proprio per evitare che qualcuno rimanga in attesa. Credo che per le sue fragilità immaginavano una coppia, ma poi si è pensato che era più indicata una figura esclusiva che gli dedicasse tutta l’attenzione necessaria, Io ero la figura più vicina a queste esigenze. Oggi sono felice di questa opportunità che mi è stata data. Mi sento quella mamma che avrei voluto sempre essere. Ho anche una bella rete, dal punto di vista lavorativa, sociale e affettiva, che non mi fa sentire sola».

Yodit Abraha

Ma non volevi diventare tu mamma?

«Fino a quando non è arrivato il decreto, ha mantenuto un atteggiamento sereno. Una volta definito burocraticamente tutto, si è presentato in tutte le sue conflittualità. Ha messo a soqquadro tutta la casa, sfidandomi a viso aperto. Spesso, ancora oggi, mi dice: “Ma non volevi diventare tu mamma?”. Una sorta di braccio di ferro, che partiva dalla paura di essere abbandonato. Mi metteva alla prova per capire se facevo veramente sul serio. Ovviamente, anche se all’inizio sono rimasta impietrita perchè non ero preparata, non ho mai pensato di volere arretrare di un passo»

Ogni giorno sulle montagne russe

«Non posso dire che la nostra vita sia un placido fiume sul quale navigare. È piena di emozioni, positive come negative. Ovviamente lui cresce, ma cresco anch’io con lui. Ha 10 anni e le mie paure sono quelle di tutti i genitori rispetto a quale posto nel mondo avranno i propri figli. Penso, però, che ancora non ho visto nulla. Quando, infatti, stanca di una giornata pesante, anche perchè piena di impegni, gli dico che vorrei solamente respirare, lui mi guarda e sembra che non mi dica niente. Se, poi, si vuole fare perdonare le provocazioni, esordisce così: “Si mamma, scusami, lo so che ti faccio disperare”, oppure “Meno male che mi hai voluto pigliare con te!”. Mi fa impazzire, gli dico che non funziona così, ma ancora di più capisco quanto sono stata fortunata ad averlo incontrato, anche perché faremo sempre parte ognuno della vita dell’altro. Non ricordo più cos’era, cinque anni fa, la mia vita da sola. Grazie a lui, guardo la vita attraverso i suoi occhi. Si, sono stata e sono proprio fortunata!».

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3 risposte

  1. Bellissima la storia di Abraha quando lei scrive su Facebook seguo con gioia quello che ci dice del suo rapporto con il figlio.Grande donna molto intelligente

  2. VEramente una esperienza bellissima,emozionante,concreta che tocca l’anima. Grazie di averla condivisa

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