L’Europa, da un punto di vista formale, non esiste ancora. Tuttavia si va verso un futuro di superstato che assume funzioni strategiche, ma che è privo di coesione culturale.
«Fare memoria del lascito ideale di quegli avvenimenti fondativi», come la lotta di Liberazione e la scelta repubblicana, «è dovere civico e preziosa opportunità per riflettere insieme sulle ragioni che animano la vita della nostra collettività, inserita oggi nella più ampia comunità dell’Unione Europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri popoli liberi del continente e di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento Europeo, la sovranità».
Non giungono a caso le parole di Sergio Mattarella, capaci di suscitare l’ultima querelle tra i sovranisti della Lega e il Presidente della Repubblica. Il tema è la sovranità europea, che Mattarella auspica possa essere definita e rafforzata con il prossimo mandato, mentre i sovranisti aspirerebbero ad un ritorno della sovranità nazionale.
Al di là dei toni volgari e di bassa cucina, consueti in questa fase politica, il tema del confronto merita un approfondimento perché nasconde due visioni opposte riguardo all’attuale fase di transizione storica.
Da un lato, c’è la visione di completare un problematico processo di costituzione degli Stati Uniti d’Europa con una legittimazione, anche formale, sponsorizzata da progressisti e riformisti; dall’altro, un improbabile ritorno al passato e il ripristino di una sovranità nazionale, come auspicato dai conservatori.
Il piano economico
La globalizzazione dei mercati finanziari e la dimensione multinazionale delle imprese e dei capitali esige una Istituzione sovranazionale in grado di assicurare normative comuni, riconoscimento di trattati e legittimazione di procedure dei mercati, che possano evitare il caos, garantire un quadro legislativo, comune e riconosciuto, in grado di garantire gli investimenti.
Il piano politico
L’esigenza è di compattare l’area dei Paesi occidentali a guida americana intorno al dollaro come moneta globale di riferimento, e di contrastare la visione multilaterale degli scambi e delle valute dei Paesi emergenti (Cina, Russia, India, Brasile, Sudafrica, ecc. BRICS).
Il piano militare
La necessità di strategia comune di difesa che razionalizzi la spesa e che sviluppi una strategia integrata, è urgente per contrastare i rischi della sicurezza; per il momento, rafforzando la coesione NATO intorno alla quale gravitano interessi di “contractors” e agenzie militari private (Halliburton, Bechtel, Fluor, Intercon, American Security Group, Wackenhut, Blackwater USA, ecc.)
La polemica, dunque, non è infondata, il processo costitutivo europeo, con la globalizzazione, è irreversibile e inevitabile; tuttavia, esso risulta lento e problematico. Da un lato, per resistenze interne degli stati nazionali e per le forzature di Germania e Francia che vorrebbero egemonizzare l’Europa, quindi, auspicando, in realtà, una Francia o una Germania europea (per questo si ritarda e si rinvia l’entrata della Turchia e dei Balcani, che potrebbero alterare l’equilibrio attuale).
Dall’altro, perché gli USA. pur favorevoli a una piena legittimazione giuridica dell’Europa, impone che essa sia comunque subalterna agli indirizzi e alle logiche americane.
Consideriamo il contraccolpo della globalizzazione
Contraccolpo che, se integra i capitali privati e crea uno spazio politico comune, al tempo stesso, delegittima e declassa gli Stati Nazione a semplici governatorati amministrativi con compiti residuali di politica interna.
Ciò sottraendo loro autonomia e pezzi di sovranità (politica estera, difesa, bilancio, politiche monetarie, commercio, diritti) che sono demandati a Organismi sovranazionali (BCE, UE, NATO, ONU, AIA, FMI).
Una spinta sollecitata, peraltro da fondazioni lobbistiche internazionali (Trilateral, Bilderberg, Forum economico mondiale di Davos, ecc.)
Un processo uguale e contrario
Da un lato, globalizza, dall’altro frantuma. Infatti, all’interno degli Stati nazione, per effetto di questo declassamento, la reazione ha prodotto divisioni interne che riguardano tutti i Paesi, tra chi vorrebbe il ritorno identitario alla piena sovranità nazionale, e tra chi, soprattutto sulla base di vantaggi economici, spinge per accelerare e completare il processo di integrazione europea.
Detto per inciso, tra i Paesi con maggiori spinte sovraniste c’è, un po’ paradossalmente, l’Italia che, tuttavia, tra tutti i Paesi europei, è quello che ha, da sempre, la sovranità più limitata.
Questo per ragioni interne (debito pubblico al 145, 5% nel 2022, criminalità organizzata che controlla il territorio di intere regioni) e internazionali (oltre 120 basi NATO).
Dunque, il processo di integrazione, se è avviato, tuttavia, è in una fase ancora costitutiva. Allo stato attuale, infatti, tutti gli organismi sovranazionali e le Istituzioni europee non godono di alcuna effettiva legittimità democratica e agiscono con una serie di forzature come conseguenza di semplici accordi temporanei, o con decisioni rinnovate di volta in volta su singole questioni specifiche, tra gli Stati, per di più, avallati con il vincolo dell’unanimità.
Rispetto al diritto costituzionale, l’Europa non esiste
Ce lo ricorda Giorgio Agamben (Europa o Impostura, Quodlibet, 20 maggio 2024): quella che chiamiamo «Unione europea» è tecnicamente un patto fra stati, che concerne esclusivamente il diritto internazionale. Il trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, che ha dato la sua forma attuale all’Unione europea, è l’estrema sanzione dell’identità europea come mero accordo intergovernativo fra Stati.
Consapevoli del fatto che parlare di una democrazia rispetto all’Europa non aveva senso, i funzionari dell’Unione europea hanno cercato di colmare questo deficit democratico stilando il progetto di una cosiddetta costituzione europea.
È significativo che il testo che va sotto questo nome, elaborato da commissioni di burocrati senza alcun fondamento popolare e approvato da una conferenza intergovernativa nel 2004, quando è stato sottoposto al voto popolare, come in Francia e in Olanda nel 2005, è stato clamorosamente rifiutato.
Di fronte al fallimento dell’approvazione popolare, che di fatto rendeva nulla la sedicente costituzione, il progetto fu tacitamente abbandonato e sostituito da un nuovo trattato internazionale, il cosiddetto Trattato di Lisbona del 2007.
Va da sé che, dal punto di vista giuridico, questo documento non è una costituzione, ma è ancora una volta un accordo tra governi, la cui sola consistenza riguarda il diritto internazionale e che ci si è pertanto guardati dal sottoporre all’approvazione popolare. Non sorprende, pertanto, che il cosiddetto parlamento europeo che si tratta di eleggere non sia, in verità, un parlamento, perché esso manca del potere di proporre leggi, che è interamente nelle mani della Commissione europea.
Dal punto di vista della sua pretesa costituzione, l’Unione europea attuale non ha pertanto alcuna legittimità e agisce, sul piano militare e della difesa come una succursale della NATO (la quale NATO è a sua volta un accordo militare fra stati), sul piano economico finanziario come succursale del FMI e della BCE, sul piano politico come succursale degli USA.
D’altra parte, il peccato originale è che essa sia nata come semplice accordo economico finanziario. Il trattato che istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 da Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.
Le Comunità europee (CE), in seguito, furono costituite dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), dalla Comunità economica europea (CEE) e dalla Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM) che verranno fusi nel 1967. Le conseguenze del crollo del muro di Berlino e la crisi dell’URSS consentirono una prima ricomposizione dei territori europei separati dalla guerra fredda.
Il passaggio successivo fu la creazione di una Eurozona e la delega alle politiche monetarie. La zona euro è, infatti, l’insieme degli stati membri dell’Unione europea che adottano l’euro come valuta ufficiale, ovvero, che formano l’Unione economica e monetaria dell’Unione europea, le cui politiche dei tassi sono regolate dalla Banca centrale europea.
In tutto questo, non c’era alcuna condivisione di valori e di ideali comuni, nessun tessuto culturale
Se si esclude il Manifesto di Ventotene, l’unico, striminzito, velleitario documento per la promozione dell’unità europea promosso da alcuni italiani (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nel 1941, ispirato alla necessità della pace in Europa dopo le due guerre mondiali, e scritto durante il periodo di confino nell’isola di Ventotene), questa origine europea non nasce dal basso, come espressione popolare, ma come pura esigenza delle élite economico-finanziarie.
Dunque, sembra essere partita con il piede sbagliato, e non è detto che questo difetto possa essere corretto, soprattutto, considerando le spinte disgregatrici che aleggiano all’interno dei Paesi europei, sospinti anche da una lunga crisi economica e dalla pressione americana che ne vuole limitarne la prospettiva. Tuttavia, se l’andare l’avanti sembra compromesso, il tornare indietro è impossibile.
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