Al G7 sull’intelligenza artificiale, la prima cosa artificiale è stata la location. Borgo Egnazia, non esiste. Borgo Egnazia” prende il nome dalla antica Egnazia (o Egnathia e Gnazia in greco. Antica città in Puglia (di cui oggi solo rovine, come quelle che rimangono dopo una guerra), nei pressi di Fasano, e che è, oggi, in realtà, solo il brand di un hotel di lusso, un resort privato.
Borgo Egnazia, finora, era conosciuto da pochi, la ristretta cerchia di star dello spettacolo e super ricchi personaggi del jet set. (Trump ha organizzato qui il matrimonio della figlia nel 2017). Si tratta di un progetto di resort nato nel 2009 da un’idea della famiglia Melpignano. Il borgo è composto da 29 ville di lusso su due piani immerse tra ulivi e trulli. Residenze esclusive dotate di ogni confort possibile, piscine, idromassaggio, arredi di pregio. Al centro, una piazzetta con tanto di negozi di souvenir, prodotti tipici pugliesi, dove scorrono fiumi di champagne, negli abituali aperitivi al tramonto. Tutto come in un villaggio turistico, rigorosamente finto.
Un tranquillo weekend di paura
Riguardo ai contenuti, il meeting non è stato meno finto della location che lo ospitava. Niente altro che dichiarazioni di circostanza e buoni propositi, nella più assoluta vacuità. Impegno per una pace in Medio Oriente – mentre Netanyahu dichiara di essere contrario perfino a una pausa tattica come richiesto dai vertici militari. Sostegno all’Ucraina con un accordo di 50 miliardi di dollari dagli USA – come spiega Lucio Caracciolo, tutto da definire mentre Trump ha già detto che appena eletto porrà fine alla guerra con la Russia e che questo rifornire di armi e denaro l’Ucraina deve finire. Utilizzo degli extraprofitti Russi per garantire il debito ucraino – ma sulle procedure finanziarie non ‘è nessun accordo e molti rischi di destabilizzare la fiducia dei mercati finanziari, tanto più che, se la guerra finisce e si scongelano le riserve valutarie russe, sarà impossibile disporre di ogni garanzia.
Il piano Mattei… con approcci nuovi (non colonialisti) – salvo poi dire (Meloni) che il “G7 è un’offerta di valori”. Quali? In effetti gli africani e gli arabi, come è noto, non possiedono né civiltà, né, tantomeno, valori. Infatti, è noto che “L’Europa sia un giardino e il resto del mondo, una giungla (Josep Borrell, Commissario Esteri UE).
La diversità come valore e l’etica come principio
L’unico intervento culturalmente significativo è stato quello del Papa che ha ricordato come la diversità sia una ricchezza (come in natura)e che l’omologazione sia un impoverimento, che il multilateralismo sia inevitabile e che la politica (la più alta forma di carità) servirebbe a una cosa: fare la sintesi, e non a l’eliminare “l’altro”. Il rischio dell’intelligenza artificiale sarebbe quello di dotare qualcuno di uno strumento micidiale per desertificare l’umanità (mai una macchina può porre fine alla vita umana).E il rischio c’è perché la macchina non ha l’etica tra i suoi file.
Dei diritti e delle pene
L’unico accenno di polemica, invece, si è avuto sui diritti, nello specifico, sull’aborto, tra Macron e Meloni. Non è stato un caso perché il tema dei diritti (e delle pene) è l’unica differenza tra la destra progressista tecnocratica e colorata di Macron e la destra autoritaria di Meloni, in rigoroso bianco e nero. Infatti, negli stessi giorni del meeting qualcuno della destra ironizzava sul fatto che Toti fosse agli arresti e la Salis fosse libera.
Occidente globalizzato contro Stato nazione
La prima è l’espressione del neoliberismo economico yuppie e della globalizzazione, con uno Stato ridotto ai minimi termini, per lasciare campo alle dinamiche e alle priorità del libero mercato internazionale; la seconda con la velleità di riaffermare un primato della politica sull’economia e dello Stato Nazione sull’Europa, imponendo ordine, divieti, sorveglianza, disciplina, che punta alla tradizione, al ritorno identitario, alla famiglia patriarcale e che vede come il fumo negli occhi (e come anormali da correggere, da curare o da internare), omosessuali, transessuali, comunisti e intellettuali di sinistra.
I nazisti avevano perso, ma il nazismo aveva vinto
Elena Basile ha recentemente ricordato che Hermann Heller nel 1933 parlava di “liberalismo autoritario” rispecchiando nella teoria politica la fine della Repubblica di Weimar, le cui somiglianze, con questa fase di neoliberismo autoritario e di educazione alla guerra, sembrano impressionanti, con gli stessi identici obiettivi che erano del nazismo: limitazioni della sfera pubblica a favore della libertà delle imprese; sostituzione delle politiche sociali con interventi statali a vantaggio delle banche e delle industrie; esautoramento dei Parlamenti e del potere legislativo in nome dell’efficacia delle decisioni politiche, creazione di capi di accoglienza per immigrati, deportazioni di popolazioni civili senza stato.
Questa destra che avanza, secondo la Basile rappresenta dunque “la rivolta dei nowhere contro gli everywhere, dei perdenti della globalizzazione, della Francia profonda, degli svantaggiati della vecchia Germania Est. È la reazione culturale, qui interpretata da Vannacci, alla nuova cappa culturale illiberale del politically correct imposto dall’alto che confonde sesso e genere, Patria e nazionalismo, razza e razzismo, tutela delle minoranze e dittatura delle minoranze. È la rivolta contro un’industria della cultura che ha ucciso la lingua, i classici e anche nei libri e nei film veicola il catechismo progressista”.
I riformisti e i conservatori nella crisi. Giochi di ruolo
Il recente successo delle destre in Austria, Germania, Francia, il consolidamento della destra autoritaria in Italia, Grecia, Ungheria, sono il segnale che l’Europa si chiude ed è pronta alla guerra pur di non subire il declassamento sociale ed economico. Ma, come ricorda, sempre Elena Basile (Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2024), “le vittorie delle destre più radicali sono state preparate da un liberalismo autoritario, purtroppo con la complicità del Partito democratico in Italia”, del movimento centrista di Macron, in Francia, dalla SPD di Scholz in Germania, aggiungiamo noi. Il lavoro sporco infatti è stato fatto, come sempre accade nelle fasi di crisi, dai progressisti e dai moderati, con tutte le politiche antipopolari e di smantellamento del Welfare. Chi altri avrebbe potuto se non i progressisti far digerire alle masse tutte le scelte impopolari sul lavoro, sanità, previdenza e scuola?
Si continua a fingere che il Pd appartenga a una tradizione di sinistra, solo perché difende alcuni diritti civili ma poi, dalle politiche migratorie gestite da Minniti, alle pensioni di Monti e Fornero, dal jobs act e dalla buona scuola di Renzi, alle privatizzazioni di banche e infrastrutture di Draghi, sempre con l’appoggio della sinistra, tutte le scelte sono chiaramente neoliberiste e contro le fasce sociali più vulnerabili. Il governatorato (un governo autoritario del leader) e la autonomia differenziata (la frantumazione regionale del Paese, con accentuazione degli squilibri nell’offerta pubblica dei servizi) vengono dopo le idee efficientiste della scuola e della sanità, riformate come aziende dal PD, del lavoro autonomo e flessibile (da Biagi), della sussidiarietà (subappalto al privato sociale) dei servizi pubblici.
La guerra come reset e riavvio
In un vecchio saggio, “Il comunismo e la guerra”, Antonio Negri negli anni 90 aveva già avvertito riguardo a questo rischio. La guerra è la soluzione classica capitalistica nella storia moderna per rispondere ad una crisi economica senza soluzioni con una disoccupazione che cresce insieme a stagnazione e inflazione. E’ già accaduto dopo la depressione degli anni 20 e dopo la prima automazione industriale, trovando lo spunto nella reazione tedesca all’accordo di Versailles che aveva messo in ginocchio la Germania.
Come sempre, infatti, per una guerra occorre trovare un nemico (provocando una reazione e spingendo qualcuno ad assumere quel ruolo) e, contemporaneamente, occorre trasformare la comunicazione in propaganda per una educazione di massa alla paura e al nemico. Fatto. Gli immigrati, da un lato, hanno preso il posto degli ebrei e i russi, dall’altro, quello dei tedeschi. Poi occorre un investimento nella spesa militare. L’obiettivo, infatti, è di organizzare una difesa comune con una spesa per ogni stato pari al 2% del PIL. Fatto anche questo. Dunque, manca solo il pretesto, ma è in arrivo dall’Ucraina, da Taiwan o dal Medio Oriente, al primo errore che possa giustificare il coinvolgimento diretto della NATO che già Macron e Stoltenberg hanno preannunciato.
La Russia è la più indiziata nella veste di nemico, Cina e Iran per il momento sembra abbiano deciso di non rispondere alle provocazioni, in attesa di una evoluzione del contesto, ma il fatto che 12 Paesi, prevalentemente dell’area BRICS non abbiano sottoscritto il documento finale alla conferenza di pace sull’Ucraina in Svizzera, altro evento artificiale, lascia presagire un conflitto latente tra nord e sud del mondo.
Perciò, su un punto le due destre dell’Occidente sono d’accordo all’unanimità. L’unico di cui non si poteva parlare al G7. La guerra.