Sabato 27 marzo 1999. L’attacco NATO in Iugoslavia continuava ma la partita dell’Italia era già cominciata e Baggio non avrebbe giocato. Le notizie dalla Serbia si riferivano alla sera precedente e già sapevamo tutto. Mentre la partita era in diretta. E noi che siamo interessati solo alle ultime notizie, quella, l’avevamo già consumata e ormai era lontana. E, dunque, possiamo distogliere altrove la nostra attenzione, alle notizie in diretta. Un nome su tutti risuona lontano, Julian Assange.
D’altra parte, tutto è irrimediabilmente già accaduto, o tutto dovrà o potrà accadere, ma altrettanto irrimediabilmente. Non possiamo farci niente, non resta che distrarci. Questa sovrabbondanza di prodotti e di notizie, di film e di pubblicità h24, ci ha svuotati.
La possibilità di accedere a venti, cento programmi televisivi, alle piattaforme, ai canali criptati, ci consente di cambiare scenario, panorama. Di scegliere l’evasione più congeniale. Di sdraiarci su una spiaggia cubana, di salire le scale in un condominio di Parigi, di passeggiare in una strada di New York. Questa condizione di esistenza simultanea che otteniamo con il semplice pigiare il tasto di un telecomando, sembra espandere all’infinito la nostra condizione esistenziale, la nostra percezione. Di poter moltiplicare, di poter accelerare e di poter cambiare con estrema rapidità lo scenario. Questa improvvisa e illimitata espansione di orizzonti sembra anche adeguata a colmare la nostra ansia, a placare la nostra inquietudine e sembra, nel momento in cui spingiamo il telecomando, rassicurarci.
Ma mentre possiamo scegliere di guardare tutto, scopriamo che non sentiamo più niente. Quando facciamo ritorno a terra siamo sempre più sordi, indifferenti e confusi. Questi viaggi virtuali intaccano progressivamente la nostra coscienza, riducono la nostra sensibilità, ma quello che ci disturba, veramente è solo che non ricordiamo se fosse Vincent Cassel a Parigi in attesa della metro o se, invece si trattasse di De Niro e, se era accaduto effettivamente che la Nato avesse bombardato la Serbia o era una scena del film di Kusturica con Monica Bellucci “On the milky road””. Questa sovrabbondanza di prodotti e di notizie, di film e di pubblicità h24, ci ha svuotati.
Domenica 16 giugno 2024
È il settimo mese di attacchi israeliani in Palestina. Operazione Rafah. Venticinque anni dopo i Balcani, un altro scenario di guerra. Questa volta in Medio Oriente. A fine maggio 2024 sono stati quasi 40.000 morti nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra tra Israele e il movimento palestinese di Hamas. Nel giro di 24 ore, si erano registrati altri 39 decessi, secondo un comunicato del Ministero di Hamas, che ha anche riferito che 78.572 persone sono state ferite in più di sette mesi di guerra.
L’Anp, invece, ha annunciato che le truppe israeliane hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco un adolescente palestinese nella Cisgiordania occupata sabato 15 giugno, mentre un ufficiale dell’esercito ha confermato che le truppe hanno aperto il fuoco durante un’operazione.
Sultan Abdul Rahman Khatatbeh, 16 anni, è il ragazzo che sarebbe stato ucciso dal fuoco israeliano nella città di Beit Furik, nel nord della Cisgiordania. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito, infine, che altri due sono rimasti feriti in un’incursione israeliana nella città, a est di Nablus, “sparando proiettili veri contro i residenti locali”. Un ufficiale militare israeliano, ha detto all’Afp, che le truppe stavano operando nell’area di Nablus quando “decine di sospetti hanno lanciato pietre contro le forze di sicurezza israeliane, le quali avrebbero risposto con mezzi antisommossa e proiettili veri”.
Secondo funzionari palestinesi, almeno 546 palestinesi sarebbero stati uccisi nel territorio dalle truppe o dai coloni israeliani da quando era scoppiata la guerra di Gaza dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre.
Per noi andare via da lì è fin troppo facile
È sufficiente cambiare canale, seguire la domenica sportiva, immergersi in un film o confondersi tra i balletti di un varietà di quart’ordine.
È solo un attimo, e il panorama dinanzi ai nostri occhi si svuota di ogni tragedia, delle lacrime, della miseria, delle rovine; le nostre coscienze si foderano di lustrini, della pubblicità dell’ultima auto monovolume, di un prosciutto stagionato 18 mesi, di un detersivo più potente, ma biodegradabile, della promozione di un film di prossima uscita, della vittoria dell’Italia sull’Albania nella partita d’esordio del campionato europeo.
Dal balcone della nostra coscienza noi occidentali non proviamo più odio, rabbia, amore. Non abbiamo più empatia, lo stesso “male banale” che aveva colpito di tedeschi durante il nazismo. Sorridiamo e salutiamo tutti, con il telecomando e il telefono stretti tra le mani. Come inebetiti, non siamo più in grado di distinguere il mondo reale da quello virtuale, non sappiamo più distinguere una direttiva di lavoro da un comando criminale. E, quando qualcosa diventasse insopportabile, o fosse fastidioso, guardiamo altrove, giriamo le spalle, usciamo da Facebook o cambiano canale. È certo. Qualcosa in noi si è irrimediabilmente compromesso, qualcosa si è spezzato, qualcosa ha intaccato gravemente le nostre esistenze, qualcosa rende ormai inutile ogni tentativo di risvegliare le nostre coscienze occupate, dalla propaganda, da grandi quantità di merci e da piccoli e fastidiosi contrattempi.
La guerra dei Balcani è finita da oltre 20 anni, ormai è lontana, lontanissima, forse non c’è mai stata. Molti non la ricordano nemmeno e altri non sanno nemmeno cosa sia accaduto. Anche i profughi palestinesi stanno sparendo gradualmente dopo la chiusura di Al Jazira, l’unica emittente Tv che forniva le immagini del genocidio a Gaza.
Le loro sagome sono sempre più lontane e anche le proteste si affievoliscono. Lentamente stiamo digerendo e normalizzando l’ennesimo genocidio.
Gli effetti speciali delle innovazioni tecnologiche nascondono vecchie regole: lontano dagli occhi, lontano dal cuore… e, dunque, dalle coscienze.
La repressione postmoderna non è militare; è l’informazione che si occupa del conformismo.
Lunedi 24 giugno 2024
Julian Assange è stato liberato ed è partito per l’Australia, in un’isola che è territorio americano, dopo una lunga trattativa in cui ha accettato di dichiararsi colpevole, sarà condannato a 64 mesi di carcere, quelli che ha già scontato.
Su Facebook qualcuno ha postato una sua foto in macchina con il pugno chiuso a cui si fa dire: “Qual è la differenza fra me e Zuckerberg? Che lui ha estratto e pubblicato i vostri profili personali e si è appropriato delle vostre informazioni riservate ed è stato pagato per questo. Io sono stato condannato per la stessa cosa, ma nel mio caso avrei messo in pericolo confidenti e svelato procedure criminali a Guantanamo e in Iraq”.
Lo scandalo non è nelle notizie di atti illegali e criminali, ma nel fatto che siano state rese pubbliche. Non si ravvisa alcuna responsabilità, né devono rispondere di alcunché coloro che hanno attuato torture o commesso stragi di civili; tutto questo rientra in quell’eccezionalismo americano secondo cui, al rispetto dei diritti e della legge, sono tenuti tutti tranne loro o chi per loro. L’unico criminale è Julian Assange. Julian Assange, colpevole di averle diffuse. Nemmeno i giornali di tutto il mondo che le hanno pubblicate sono da perseguire.
Ma…“Il video Collateral Murder, in cui si vede un elicottero americano Apache sparare su civili inermi a Baghdad, mentre l’equipaggio ride di gran gusto, è uno dei documenti che rimarranno per sempre. Così come i documenti sulle guerre in Afghanistan e in Iraq, che hanno permesso di guardare alla realtà di quelle due guerre, al di là della micidiale macchina della propaganda bellica“ (Stefania Maurizi, Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks. prefazione di Ken Loach , ed. Chiarelettere, Milano, 2021)
Per fortuna che l’Italia ha segnato contro la Croazia nei minuti di recupero e così si qualifica per continuare il campionato europeo. Un miracolo. Così hanno titolato i giornali il giorno dopo. Aveva ragione Spalletti in conferenza stampa: siamo, italiani, non molliamo mai, siamo proprio degli eroi. Oltre che santi e navigatori, naturalmente.
Una risposta
L’assuefazione al male, sempre più banale, la mancanza di qualunque empatia, il riconoscimento di un unico Dio, il denaro, mentre quello cristiano è morto da un pezzo, la stupidità e la fragilità dei legami famigliari, ridotti alla forma e a ruoli svuotati di significato, il tuo articolo per
certi versi , seppure rivolto a fenomeni generali che conosciamo bene e di cui facciamo parte, spiegano almeno (in parte) l’assassinio spietato del 17enne pescarese da parte di suoi coetanei, per la droga, per un pugno di euro… un omicidio non isolato di cui la politica non riesce a dire nulla, di cui non sa cosa dire…