Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Etichettatura sociale nei cibi, una scelta etica possibile

I cibi che portiamo in tavola? Ci vorrebbe un sistema di etichettatura sociale che certifichi la correttezza dei processi produttivi, le condizioni e la sicurezza dei lavoratori, la sostenibilità delle colture e l’impegno per la tutela delle persone e dell’ambiente.

di Clara Di Palermo

Consumare consapevolmente, preferire alimenti da colture sostenibili, acquistare cibi di stagione e fare attenzione ad acquistare prodotti ottenuti con sistemi che rispettino non solo l’ambiente ma anche il lavoratore.
In un mondo in cui bisogna stare attenti un po’ a tutto, adottare uno stile di consumi consapevole è fondamentale non solo da un punto di vista etico. E in una rubrica come la nostra, in cui si parla di enogastronomia nel senso più puro del termine, ossia come cultura della buona cucina e del buon cibo, non potevamo trascurare l’appello di Federconsumatori nazionale.

Quest’ultima, partendo dalla tristissima vicenda del bracciante di Latina a cui un macchinario ha tranciato un braccio e che i titolari dell’azienda in cui lavorava hanno lasciato agonizzante sulla strada davanti a casa, invece di soccorrerlo, si chiede quale etica ci fa accettare sul piatto dei prodotti che, per quanto buoni, potrebbero essere anche frutto di condizioni di lavoro disumane.

La ristorazione è attenta alla produzione delle materie prime?

Oggi la ristorazione si pregia di sottolineare la provenienza delle materie prime dei piatti presentati al cliente, la filiera corta, la coltivazione bio, la cottura a bassa temperatura e così via.

Ma Federconsumatori afferma che “i consumatori sono stanchi di trovarsi sulla tavola prodotti frutto da un lato di processi produttivi non rispettosi dell’ambiente e, dall’altro, del rispetto della dignità delle persone. Quanto accaduto dimostra come abbiamo pericolosamente varcato il confine dello sfruttamento per giungere al perpetrarsi di pratiche crudeli e inumane.

Cosa abbiamo nel piatto?

Questo, nel piatto, non lo vogliamo più -ribadiscono in Federconsumatori -. Siamo convinti che il primo passo per contrastare questo fenomeno, oltre alle opportune indagini e controlli, sia l’adozione di un sistema di etichettatura sociale che certifichi la correttezza dei processi produttivi, le condizioni e la sicurezza dei lavoratori, la sostenibilità delle colture e l’impegno per la tutela delle persone e dell’ambiente. Solo conoscendo quali sono i prodotti che, realmente, rispettano questi standard noi consumatori potremo decidere di consumare responsabilmente, conferendo un grande valore, etico oltre che economico, ad ogni nostra scelta di acquisto”.

Del resto, a gennaio l’Istat ha confermato come gli italiani si rivolgano sempre più ai grandi supermercati per fare la spesa. Lì si trovano più tipologie di articoli in uno stesso negozio e a prezzi concorrenziali. Ma noi consumatori dobbiamo fare una scelta. Ecco perché l’etichetta sociale può avere un senso. Se al ristorante chiediamo la provenienza dei cibi e, anzi, spesso questa ci viene indicata nel menu come punto di forza, allo stesso modo dovremmo essere in grado di decidere e scegliere di acquistare un prodotto per la cui produzione non si siano attuati comportamenti che possano aver leso non solo l’ambiente, ma anche la dignità del lavoratore impiegato in quella data azienda.

Abbiamo chiesto ad Alfio La Rosa, presidente di Federconsumatori Sicilia, che ruolo potrebbe avere concretamente l’etichetta sociale.

Alfio La Rosa, presidente Federconsumatori Sicilia

Un’etichettatura “sociale” davvero potrebbe dare certezze ai consumatori, oltre che ai lavoratori?

“In teoria sì, quanto meno sui prodotti italiani per i quali sarebbe possibile imporre l’etichetta o, quanto meno, legarla a dei vantaggi aziendali o fiscali. Però la gestione dell’etichetta dovrà essere trasparente, visto che in passato abbiamo assistito a comportamenti poco ortodossi tra gli enti certificatori del biologico o di altri marchi di qualità dell’agroalimentare. Di sicuro il processo di certificazione dovrebbe prevedere che a pagare il certificatore non siano le aziende certificate”.

Quando parliamo di alimentazione con prodotti sostenibili, cosa deve pretendere il consumatore e come può orientarsi?

“Il consumatore prima di chiedere deve anche dare, sacrificando la sua voglia di mangiare tutto sempre e scegliendo solo prodotti di stagione. Già questo riduce di molto l’impatto ambientale e sociale della sua alimentazione.  Stesso discorso per quanto riguarda la scelta di alimenti prodotti a non troppi chilometri di distanza, ma in questo caso torna il problema dell’etichettatura: spesso viene indicato solo il centro di confezionamento dell’ortofrutta, non il territorio dove il prodotto è stato coltivato”.

Federconsumatori come può influenzare il cittadino nell’adottare comportamenti virtuosi e indirizzare verso acquisti alimentari (ma non solo) consapevoli?

“Intanto tenendo sott’occhio la grande distribuzione, che è sempre più spesso il negozio principale dove gli italiani comprano i generi alimentari. Poi facendo informazione, spiegando agli associati e a tutti i cittadini (anche grazie a voi della stampa) come leggere le etichette e cosa scegliere. Infine, ad un livello politico più alto, facendo pressione affinché Governo e Parlamento facciano delle scelte che vanno verso la sostenibilità e la qualità degli alimenti, senza però creare un carrello solo per i ricchi e uno per chi è meno abbiente”.

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Una risposta

  1. L’etichetta certificata è utile mette nelle condizioni il consumatore di scegliere con consapevolezza i prodotti da consumare. Inoltre può determinare l’andamento del mercato, lo sviluppo economico eco-sistenibile, proteggersi la salute e l’ambiente. I mezzi di informazioni, a tal riguardo sono indispensabili ma ad oggi poco presenti sulla tutela dei consumatori. Servirebbe mettere insieme i consumatori per sottrarle alla speculazione e ai danni alla salute a all’ambiente che provengono dal consumismo, l’uso e getta, da prodotti trattati chimicamente e dalla produzione abnorme di rifiuti.

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