Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Cosa Nostra Network S.P.A.

La nuova stagione e il look rinnovato. Cosa Nostra, la mafia leggera, flessibile, globale, con una struttura di rete e relazioni con obiettivi specifici e a termine. Rinnovabili, grande distribuzione, servizi, PNRR, fondi finanziari. L’innovazione del modello, tra coesione della comunità locale e diffusione nel mercato globale. Firmato: Matteo Messina Denaro

di Victor Matteucci

Nino Amadore. Un lungo impegno civile e professionale, una profonda conoscenza delle dinamiche legate alla mafia, a Cosa Nostra, di cui si è occupato costantemente con vari saggi pubblicati sull’argomento, tra cui: L’isola civile con Serena Uccello per Einaudi, La Calabria sottosopra, L’eretico, Tanto di cappello, My Name is Totò, I sovversivi per Rubettino, La zona grigia per le edizioni della Zisa.

Partiamo proprio dal titolo di una delle tue pubblicazioni, La zona grigia, che è l’ambito nel quale vorremmo collocare questa intervista. E proviamo a descrivere la forma attuale di questo fenomeno, da un punto di vista economico e organizzativo, considerando anche il clima di calma apparente di questa fase. Come leggere questa situazione?  Pace o normalizzazione? Dobbiamo constatare la sconfitta o, comunque, il ridimensionamento di Cosa Nostra oppure, invece, siamo di fronte a un cambiamento e a una evoluzione del fenomeno mafia?

Verrebbe da dire che la mafia non esiste. Se tu guardi le cronache, sembra che le cosche si siano involute e ridotte a quello che erano ancor prima degli anni ’60 del Novecento. Apparentemente. Nella percezione comune la mafia non farebbe altro che spacciare, piccole estorsioni. Quindi, viene naturale pensare che la mafia non ci sia più, che la mafia sia morta. Però dimentichiamo, senza, con questo, voler sposare il partito che prefigura chissà quali scenari, che la mafia non è un fenomeno semplicemente criminale, non è solo un gruppo di banditi. La mafia è qualcos’altro, è potere, è relazioni. La mafia è connessione con chi comanda, connessioni vere, reali e non ipotetiche.

Lo si può percepire, non a Palermo, perché Palermo, essendo una grande città, se non conosci nel dettaglio uomini, cose, persone, meccanismi, non ti accorgi di quello che accade effettivamente. La mafia la si percepisce più facilmente fuori da Palermo, così come avevo scritto nel testo che hai ricordato (La zona grigia) nelle aree più periferiche, nelle aree rurali.

E che cosa si percepisce, in questo momento, a voler fare attenzione a questo fenomeno?

Si percepisce che è in atto la costruzione del network. Non è soltanto una rivoluzione lessicale, non stiamo cambiando il nome della mafia per gioco o perché pensiamo che, modificando la denominazione, risolviamo il problema.

Il network ha un suo significato preciso, che ha anche un senso sul piano del contrasto. Un conto è applicare il 416 (l’associazione a delinquere) o il 416 Bis (l’associazione a delinquere di stampo mafioso), cioè, provare il sinallagma associativo, cioè la connessione, o le prove tangibili di questa associazione, in un’organizzazione rigida e gerarchizzata come era Cosa Nostra nel Novecento; un altro, è poter applicare e dimostrare l’associazione mafiosa in un network, in una rete.

In un network i soggetti sono connessi fra di loro, non su base identitaria, sulla base di interessi convergenti, interessi anche importanti, ma è molto complicato dimostrare che queste relazioni di interessi possano configurarsi come un’associazione a delinquere, a maggior ragione, di stampo mafioso. Lo stampo mafioso, per esempio, presuppone alcuni caratteri specifici come la minaccia che, invece, sembra essere sparita. E se non c’è la minaccia, se non c’è il clima intimidatorio di tipo fisico, tuttavia, vi sono altri segni, come la corruzione, lo scambio, il rispetto degli impegni presi.

Quindi stai descrivendo una mutazione genetica delle relazioni associative

Noi siamo abituati a leggere il fenomeno mafioso, almeno negli ultimi 50 anni, soprattutto con l’avvento di Riina e la dittatura dei Corleonesi, e soprattutto dopo il racconto, il Teorema Buscetta, come uno Stato parallelo, con la sua organizzazione, la sua presenza sul territorio, i suoi soldati, i suoi amici collusi. Come un fenomeno fisico, materiale.

Ma non siamo più in quel mondo materiale, fisico, con la rigidità di ruoli e funzioni e con un’organizzazione del lavoro piramidale. Quel mondo è finito. È finito per le imprese e le organizzazioni dell’economia legale e, a maggior ragione, è finito per le organizzazioni illegali. Non ci sono più bande con legami di sangue. La stessa organizzazione che conoscevamo, gerarchizzata, non c’è più. Se qualcuno si aspetta oggi di trovare un capo, un vice capo, un capo mandamento, ruoli formalizzati secondo una struttura di comando e con vincoli pesanti, resterà deluso. O meglio, se vi sono, sono strutture residuali.

Così come non vi è più quella dimensione rituale della “punciuta” (il dito punto), della madonna, del santino, del focherello, che ritualizzava l’adesione.

Le varie inchieste e le operazioni di polizia hanno rivelato che questi rituali descrivevano e provavano l’adesione, l’appartenenza a Cosa Nostra, una prova che, per i magistrati, era molto forte. Ma, se vengono a mancare questi rituali di iniziazione, come si fa a provare l’esistenza della mafia e a distinguere gli uomini d’onore?

La punciuta

La cooptazione oggi si verifica sulla base di altri criteri, di altri interessi, di altro genere di accordi. Con regole non scritte. All’interno di questi accordi, relazioni, convergenze, è possibile trovare chiunque, anche magistrati; come, d’altra parte, avveniva già negli anni ’60 e ’70.

Oggi Cosa Nostra non lascia tracce del suo passaggio e, perciò, torniamo a dubitare della sua esistenza. Quello che intendo dire è che la mafia, intesa come fenomeno palermitano e della Sicilia occidentale che poi si è espansa a Catania, Messina, al nord, ha cambiato pelle.

La grande capacità di Matteo Messina Denaro è l’aver definito, a cominciare da sé stesso, un modello molto moderno, in un certo senso postmoderno di organizzazione, per usare una categoria della sociologia attuale, nel quale non ci sono più riti e ruoli rigidi.

Tutti appartengono a un contesto sociale e ambientale e tutti fanno parte di questo network che, nel suo caso, era funzionale per la protezione e il finanziamento del grande latitante.

Un modello tacito e silente, in cui la comunità protegge i suoi interessi e i suoi membri, senza che debbano convocarsi riunioni o debbano pervenire ordini; ognuno sa da sé come comportarsi. Un modello efficace che gli ha consentito di vivere una vita normale per almeno dieci anni, prima che venisse arrestato.

Quindi, potremmo dire, una situazione, una dimensione liquida della mafia, come direbbe Bauman

Certamente. Lui era all’interno di un network sociale definito sul suo territorio, che era composto, si, da famiglie chiaramente identificabili come associate e con radici solide in Cosa nostra, ma anche da persone normali, del tutto o in parte estranee a logiche mafiose, eppure facevano parte di quella comunità: medici, maestri di scuola, commercianti.

Castelvetrano e il trapanese sono l’esempio di un’evoluzione costante del fenomeno mafioso che si percepisce soltanto se quella realtà la si osserva in modo continuo.

Giacomo di Girolamo, che ha scritto un libro dal titolo Cosa grigia, ha descritto, in particolare in quella parte della Sicilia, un sistema che coinvolgeva tutte le classi sociali, la stessa classe politica, tutto un territorio. Con un criterio che non si fondava più sulle logiche del Teorema Buscetta, ma su altro. Ed è questo altro che bisogna cercare di comprendere, ovvero, come si sta riposizionando la mafia in un nuovo sistema più fluido.

Parliamo del riciclaggio che avviene con una serie di meccanismi specifici e che non richiede grandissimi sforzi o contorsioni. Il riciclaggio non è solo quell’ operazione per cui qualcuno prende dei soldi e li porta altrove. Il riciclaggio lo si può attuare anche, semplicemente, facendo fallire un’azienda, appropriandosi di un contenitore e mettendo a bilancio di quell’impresa del denaro che poi sparisce.

E in quel caso, se non si avranno le prove di un’organizzazione, questa operazione, tecnicamente, si chiama bancarotta fraudolenta, un reato, certamente, ma finanziario e amministrativo, dove non c’è mafia.

Una semplice bancarotta fraudolenta è un reato banale di cui può essere accusato un qualunque imprenditore. Ma, invece, non è così; tuttavia, questo è un esempio di come si mimetizzi oggi la mafia.

Se io ho una società a Palermo e faccio figurare che esporto merce in Paesi extraeuropei per 18, 30, 100 milioni e questa merce non mi viene pagata e l’azienda fallisce, io potrei aver creato una transazione fittizia. È sempre il denaro, attraverso vari meccanismi, che si muove. Ma questo mancato pagamento, se non vi fossero prove che sia stato deliberato, può essere considerato un banale problema di mercato.

Forse, è il mio punto di vista, dovremmo imparare a leggere le cose con un altro tipo di alfabeto. Il vecchio codice di lettura, i Corleonesi, le stragi, lo Stato che ha vinto, tutto questo è stato cancellato.

E qual è questo nuovo codice? 

Non lo sappiamo, non lo conosciamo ancora. Non sappiamo esattamente cosa stia accadendo, per rispondere alla tua domanda iniziale.

Di recente, ho realizzato alcune inchieste sulle energie rinnovabili, volevo un po’ far luce su questi enormi investimenti e sulle società che chiedono le autorizzazioni per poter produrre energia che poi rivendono a grandi multinazionali. C’è un enorme numero di società, in questo campo, che sono di recente costituzione e che richiederebbero mesi solo per la lettura delle visure. Non sappiamo chi arriva dall’estero, chi controlla chi e cosa.

Non dimentichiamo che Cosa Nostra, con il traffico di droga, negli anni ‘80, ha accantonato, secondo alcune stime, un capitale di circa 80.000 miliardi delle vecchie lire. E qual è il patrimonio che è stato sottratto a Cosa nostra in questi anni? Non arriveremmo nemmeno lontanamente alle cifre che abbiamo menzionato.

E dov’è finito quel denaro? Quel denaro è stato accantonato, o investito, ma quei soldi possono ritornare attraverso la traslazione dai vari fondi internazionali; poi un giorno si presenta a Palermo un “picciotto” di trent’anni, magari un avvocato che ha studiato a Boston, e ci dice… my name is

E non è escluso che lui stesso non sia consapevole di chi vi sia dietro il fondo che lui rappresenta. Questo è il problema; gli stessi operatori coinvolti non è detto che conoscano la provenienza del denaro che gestiscono a livello finanziario. Non voglio generalizzare e criminalizzare in modo indiscriminato. Sto descrivendo un basso profilo dell’appartenenza che è molto informale e sfumata, impercettibile agli stessi manager che potrebbero essere dei prestanome di copertura, senza che essi stessi sappiano di esserlo.

Voglio dire che, di fronte a questo nuovo linguaggio immateriale, siamo molto impreparati per competenze e per strumenti di identificazione. È un’ipotesi di lavoro, potrei sbagliarmi, ma bisognerà dimostrarlo.

Così come ho fatto io, chiamando alcuni inquirenti e chiedendo loro: «Ma voi, vi ponete il problema di chi ci sia dietro una società che ha cinque progetti in fase di autorizzazione che, complessivamente, significano 150 milioni di euro?».

La risposta è stata che loro possono indagare se qualcuno segnala il reato. Per esempio, con il “Superbonus 110%”, quella misura di incentivazione edilizia introdotta nel 2020, un mio amico imprenditore mi ha spiegato che le imprese mafiose hanno realizzato profitti incredibili. Il sistema riesce a lucrare, ha competenze, ha studio.

Secondo alcuni esperti, e anche secondo alcuni Giudici, la ’Ndrangheta sarebbe attualmente l’organizzazione leader a livello mondiale nell’importazione e nel traffico di stupefacenti, quindi, con una potenza finanziaria enorme. Contemporaneamente, l’opinione di molti è che Cosa Nostra sia stata ridimensionata dopo gli arresti e la fase stragista. Ma forse la verità potrebbe essere un’altra, e cioè che Cosa Nostra abbia abbandonato il traffico e l’importazione di droga, di cui era leader negli anni ’80, per una mutazione organizzativa e di strategia, e per aver dato priorità ad altre forme di accumulazione, così come tu stai descrivendo

Io penso che il potere della ’Ndrangheta derivi essenzialmente dal traffico di droga, di cocaina. Questo, soprattutto perché si è attrezzata come broker per l’importazione, la distribuzione sul mercato europeo della droga e che abbia approfittato della fase di crisi di Cosa Nostra.

Credo anche che la ‘ndrangheta abbia fatto una scelta di potere da subito, sin dai tempi della rivolta di Reggio Calabria e del “Boia chi molla”, così come avevo già scritto nel libro che citavi… Calabria sottosopra.

Quella rivolta di Reggio Calabria credo sia servita non solo all’eversione nera, ma sia stata anche utile ad esaltare il sistema di potere della ‘Ndrangheta. Intendo dire, cioè, che li si è realizzata una saldatura con il potere, anche riguardo alla condivisione, al fatto di dover ragionare insieme al potere su cosa fare, sulle prospettive. Per esempio, il porto di Gioia Tauro è stato un elemento strategico, e continua ad esserlo.

I vecchi capi della ‘Ndrangheta hanno deciso, a un certo punto, di mandare i figli all’Università, non perché i figli dovessero essere altro, ma perché dovevano conoscere determinati meccanismi dello sviluppo economico e, infatti, costoro, oggi, sono diventati classe dirigente. La facoltà di Economia e Commercio di Messina è stata un Feudo dei calabresi, i quali, spesso, entravano in aula armati.

Non voglio gettare accuse o criminalizzare qualcuno nello specifico, ma questo era il clima di allora; sto solo raccontando gli anni ’80, in Calabria e in Sicilia. E fu allora che si determinarono i collegamenti tra ‘Ndrangheta e Cosa Nostra, e con una serie di collegamenti politici esterni, con il mondo dell’eversione nera, con i servizi deviati, con le associazioni segrete e con ambienti neofascisti. Naturalmente erano coinvolti vari partiti politici, e non solo di destra.

Inoltre, la ‘Ndrangheta è stata molto intelligente a non farsi coinvolgere dalla follia dei corleonesi. Per la verità, non saprei se sia stata una follia, e tantomeno se si possa imputare solo ai corleonesi. Non so esattamente, se e quanto, fosse una strategia studiata, o se voluta da altri, ed eventualmente da chi, e a quali fini.

Nicola Gratteri

Su questo punto del confronto fra ‘Ndrangheta e Cosa Nostra vorrei anche aggiungere che noi siciliani non abbiamo la percezione dei collegamenti delle famiglie. Mentre Gratteri, a proposito della ‘Ndrangheta, è stato in grado di presentare uno studio ampio e dettagliato che contiene i collegamenti delle famiglie calabresi in Canada e nel resto del mondo, in Sicilia non abbiamo più questa percezione.

Sappiamo solo che c’è gente che torna, e torna con un ruolo attivo, per fare operazioni. Non sono un magistrato e non ho le certezze di un uomo di fede. Sono solo un giornalista che, per mestiere, osserva e che ha sviluppato una sensibilità riguardo a determinati fenomeni. Il mio punto di vista è che la mafia ci abbia seminato, abbia fatto perdere le sue tracce; quelle orme e quei segni che seguivamo nei decenni passati non ci sono più.

Ma, pongo a me stesso, e a voi, una domanda: «Possibile che la mafia sia improvvisamente sparita, che si sia volatilizzata?».

Approfittando ancora del fatto che sei un giornalista di un quotidiano economico, vorrei tornare su questo cambiamento del sistema di produzione, la globalizzazione dei capitali, la smaterializzazione del lavoro, la delocalizzazione delle imprese in aree extraeuropee dove il costo del lavoro e gli oneri fiscali sono più vantaggiosi. Sul fatto che l’economia, da produttiva, diventa sempre più legata alla rendita finanziaria e alla partecipazione di fondi di investimento. Tutto questo, non potrebbe fornirci una spiegazione riguardo al mutamento di Cosa Nostra, da struttura materiale fisica e rigidamente strutturata a organizzazione informale e in rete, così come tu la descrivi?

Io penso che questo mutamento stia nelle cose, che non sia la volontà o la decisione di qualcuno. Il mutamento è dovuto all’innovazione, ed è un processo naturale dello sviluppo sia per l’economia legale che illegale; forse questo adattamento alla new economy della mafia potrebbe di nuovo farci comprendere il suo carattere camaleontico. C’è stato un tempo in cui l’opportunità era comprare terra, e si comprava la terra. Oggi si compra altro e si scambia in altri modi. Possiamo misurare questo cambiamento prendendo come riferimenti di confronto Provenzano e Matteo Messina Denaro. 

La cultura di Matteo Messina Denaro è lontana anni luce da quella di Provenzano. Provenzano infiltrava i cantieri, Messina Denaro acquistava i centri commerciali, o faceva accordi per trarre profitto dal sole e dal vento. Il cambiamento, la transizione economica è stata, dunque, un’opportunità per i sistemi criminali. Soprattutto, la globalizzazione senza regole certe ha consentito uno sviluppo multinazionale e di scambi, che prima sarebbe stato impensabile con questa velocità.

Anche sulle regole vorrei dire qualcosa. Le regole sono importanti quando si rivelano efficaci, altrimenti sono solo un aspetto burocratico inutile e anzi dannoso per lo sviluppo. Per esempio, l’ipotesi di una Procura Europea sarebbe una buona idea per la condivisione e per una strategia comune. Ma solo se, oltre che a perseguire alcune truffe, si impegnasse per un contrasto alle reti criminali che collegano organizzazioni in vari Paesi. Potrebbe essere un modo per adeguare la lotta alla mafia in un contesto di globalizzazione e di sviluppo internazionale.

Questo, se gli Stati decidessero di condividere reparti e conoscenze specializzate, se la DIA, così come aveva previsto Falcone, tornasse a svolgere il ruolo di intelligence all’interno delle organizzazioni criminali sul modello dell’FBI.

Continuando questa analisi sul versante economico, Gratteri ha recentemente scritto che il capitale illegale, riciclato e intercettato è, su base annua, pari all’1%. Quindi niente, o quasi, rispetto alla massa dei capitali illegali che circolano a livello globale. Non credi che vi possa essere in questa capacità di riciclare denaro illegale anche la complicità dell’economia legale? In fondo viviamo una lunga fase di crisi e i capitali illeciti potrebbero risultare molto utili anche a imprese e fondi legali

Il denaro determina sempre una forte attrazione ed è un moltiplicatore dello sviluppo, sia legale che illegale. I reinvestimenti dei capitali che sono proventi dello spaccio di stupefacenti, reimmessi sul mercato, faccio un esempio banale, per l’acquisizione di una rete di pizzerie, creano occupazione e sviluppo anche nell’indotto, e sono, a tutti gli effetti, un pezzo dell’economia di una città, che significa servizi, forniture e lavoro.

Vi sono anche situazioni in cui i capitali vanno a formare una rendita parassitaria, per esempio Leoluca Orlando, in una delle sue ultime interviste da sindaco, aveva denunciato che in città vi fossero risorse accantonate e parassitarie che non generavano ricchezza. Quindi, con un danno duplice, non solo della estrazione criminale delle risorse, ma poi anche della loro esclusione dal mercato. Un retaggio, in fondo, quello della rendita, che è della borghesia dell’aristocrazia meridionale

Questo della rendita è il problema dei problemi. Orlando, per la verità, nel corso di quella interessante intervista aveva anche fatto riferimento ai prestanome che sono una figura strategica dell’accumulazione e della rendita parassitaria mafiosa. Si tratta di individui che risultano assegnatari di beni e risorse e che hanno evidentemente dialogato con la mafia. Come si fa a recuperare questi patrimoni, se non con accertamenti fiscali, non solo riguardo all’evasione? Ma anche e soprattutto riguardo alla provenienza delle proprietà, se cioè si tratta di proprietà la cui acquisizione abbia o meno una legittimità e una sostenibilità.

È certo che una delle priorità al Sud è rompere il meccanismo della rendita. Tra l’altro, la rendita impedisce lo sviluppo. Troppo denaro inutilizzato crea depressione. Sarebbe forse opportuno, lo dico brutalmente, verificare, anche con la collaborazione delle banche, i singoli casi di rendita parassitaria.

Pensi che il fatto che questo non lo si faccia, dipenda da un non volontà e da una incapacità investigativa e di controllo dello Stato?

Io credo che chi possieda patrimoni e risorse abbia inevitabilmente una grande capacità di lobbying, è un fenomeno di autoconservazione abbastanza ovvio e naturale. Si tratta di una dinamica di autotutela di una classe sociale. Con questo, non voglio dire che lo Stato, o Lagalla (ma prima di lui c’era Orlando), siano subalterni a questa logica, ma è chiaro che se, né le forze politiche di destra né quelle di sinistra, sono mai riuscite a incidere su questo genere di ricchezze accantonate, è evidente che le spinte di difesa e di reazione sono molto forti.

È molto difficile, al Sud, da sempre, spostare le risorse dalla rendita alla produzione, in direzione di una imprenditoria attiva, anche se devo dire che le ultime generazioni delle grandi famiglie dell’alta borghesia cominciano a fare investimenti. Per esempio, con start up, perché capiscono che l’economia della rendita non ha futuro e che le risorse producono ricchezza solo se collegate al mercato e al sistema di sviluppo.

Falcone, quando investigava sui conti correnti, era stato bloccato dall’obiezione che questo genere di indagine avrebbe creato panico e fuga nel mercato, con conseguenze di crisi e aumento della disoccupazione…

Io credo che sia esattamente vero il contrario. Io credo che, se ci fosse una condizione chiara degli investimenti, dello sviluppo locale e del risparmio, gli investimenti sarebbero attratti e non avrebbero timore di doversi confrontare con interessi e logiche poco chiare o con un ambiente opaco.

Ma comunque, ormai il problema del controllo finanziario con la globalizzazione richiederebbe una sinergia internazionale. Siamo così sicuri che in Germania, ad esempio, non esistano interessi e capitali illegali in circolazione? Penso anche che la burocrazia che cresce in modo così mostruoso, come accade in Italia, da un lato, non sembra essere un metodo efficace, dall’altro, rallenta lo sviluppo.

Credo che la legalità sia una questione anche di strumenti efficaci e che la si possa tutelare pure con una burocrazia leggera che non impedisca il nascere di opportunità.

A volte, al contrario, la burocrazia finisce col fare il gioco di determinare un blocco della crescita e di produrre depressione e sottosviluppo, da cui la criminalità. La crescita è fondamentale nei territori, purché questa crescita sia governata. A cominciare dalle stesse imprese che dovrebbero darsi delle regole interne.

Dunque, pensi che ci sia una effettiva volontà da parte dello Stato di sviluppare un contrasto alle mafie?

Ho il sospetto che da alcuni anni vi sia molto formalismo e poca sostanza. Dire che lo Stato non abbia la volontà di combattere la mafia rischierebbe di essere un’accusa a persone precise che in questo momento guidano il Paese. E per fare accuse precise servono prove precise.

Ma, invece, parlando dello Stato in termini generali, al di là della attuale equilibrio di potere, direi che avrebbe un apparato legislativo adeguato. Spesso, però, rivela un grave ritardo di competenze da parte del personale pubblico.

Pio La Torre

Prendiamo come esempio la Legge La Torre. Quando venne approvata fu uno strumento di innovazione e strategico che segnalava talune competenze e che era frutto di talune intuizioni molto efficaci. Oggi, invece, siamo con un gap culturale molto pesante, con dirigenti e funzionari che non sanno incrociare le banche dati, che non conoscono le criptovalute e il loro funzionamento, che non hanno consapevolezza nemmeno degli strumenti legislativi e di diritto di cui dispongono.

Ci sarebbe da sottoporre giudici, dirigenti e funzionari pubblici a un’alta formazione su materie come economia e diritto internazionale. In queste condizioni di scarsità di personale, di competenze, nonostante gli strumenti, è difficile sviluppare un’indagine finanziaria e contrastare la complessità delle traslazioni di capitali e l’esercito di hacker che gestisce gli investimenti.

Un secondo aspetto, oltre a quello del deficit di competenze dello Stato, per rispondere alla tua domanda in modo chiaro ed esauriente, riguarda la politica.

Sono stato nei giorni scorsi a coordinare un dibattito di ANCE a Catania, l’associazione costruttori. Si parlava del limite dei pagamenti in contanti, degli appalti sottosoglia, o sotto la soglia dei 5 milioni di euro con cui si evitano le gare.

Per una stazione appaltante, ovvero, per un sindaco in malafede, o criminale, che ha un elenco di imprese, è sufficiente ripartire l’appalto in tanti appalti che non superino la soglia.

Una domanda finale. Potremmo concludere dicendo, tornando a Cosa Nostra, che invece che a un ridimensionamento siamo di fronte a un mutamento di pelle?

Il punto chiave che chiarisce questa fase di transizione è l’indagine di “Mafia Capitale”, a Roma. Il mondo di sopra, il mondo di mezzo e il mondo di sotto….

Abbiamo visto l’esito di quella indagine che era stata definita come di stampo mafioso. La Cassazione ha ridimensionato e derubricato progressivamente le accuse e i reati. All’inizio c’era l’ipotesi di una mafia nuova, poi la mafia non c’era più. Forse dovremmo adeguare anche le categorie con cui ci riferiamo alla mafia, lavorare sui codici, aggiornare le tipologie di reati che costituiscono un aggravante.

Prendiamo un altro esempio. L’inchiesta di Genova che è stata definita una associazione, un cartello di corruzione sistematica con collegamenti con Cosa Nostra. Vediamo l’epilogo di quest’altra vicenda. Osserviamo come si svilupperà. Dal mio punto di osservazione le inchieste partono prefigurando un sistema che coinvolge imprese professionisti, la politica e gruppi criminali.

Col tempo gradualmente queste inchieste perdono pezzi, cadono accuse e, di contro, si lanciano anatemi su possibili persecuzioni e teoremi, o su una giustizia a orologeria. Finché tutto si riduce, viene normalizzato e, alla fine, si diluisce, viene elaborato come banali errori o semplici disfunzioni fisiologiche di sistema.

All’inizio compare sempre la mafia, ma poi la mafia sparisce. Delle due, l’una: o i magistrati sono imbecilli, incapaci di provare le loro accuse, o c’è qualcosa che non torna dal punto di vista dello sviluppo delle inchieste.

E, quindi, la lotta alla mafia si riduce a fare la guerra a poveri imbecilli della periferia palermitana che dicono di “mafiare”. E che sono definiti imbecilli dagli stessi mafiosi. Si fa pulizia a questo livello. E cosa si pensa di ottenere con questa pulizia di quartiere?

È come voler chiudere un’impresa considerata illegale e, invece di andare negli uffici dove la società ha sede legale e arrestare i proprietari, si decide di andare nei capannoni ad arrestare gli operai

Si esatto, ma naturalmente l’opinione pubblica è rassicurata e può contare su una risposta dello Stato. Si può, così, anche raccontare di fare la lotta alla mafia.

Come quelle che hai subito nel 2008 con una serie di danneggiamenti alla tua auto e di avvertimenti?

No, credo che, quando ci si occupa di colletti bianchi, le conseguenze da temere non siano atti di aggressione fisica o minacce esplicite, a meno di casi estremi.

Ci sono molti modi più sottili dell’aggressione fisica per distruggere la vita personale e professionale di un giornalista che si oppone alle verità di comodo, che rifiuta la superficialità commerciale e che non si piega al conformismo dominante. Ci sono molti colleghi che si trovano in queste condizioni: ignorati perché non allineati. Tuttavia, la dignità, continuo a pensare, “non ha prezzo”, come dice la pubblicità.

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