Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Il caso Baracchi: le logiche e le conseguenze del debito

Isolamento, espulsione, fuoriuscita dalle mura che cingono il sistema. Sono i rischi che corrono quanti entrano nel circuito di una precarietà causata dalla contrazione di un debito quale patto sociale di una società per la quale l'individuo non esiste. Un perverso meccanismo in cui si è ritrovata schiacciata la famiglia Baracchi, vedendo in un gesto estremo l’unica via d’uscita

di Victor Matteucci

 “Basta paure, minacce, e basta notti insonni.” Questo, probabilmente, pensava Annamaria, mentre, prendeva per mano i suoi tre figli, prima che tutti insieme, si lanciassero giù, nel vuoto, per 90 metri. Su di loro lo spettro di un debito che non ha lasciato scampo alcuno.

Sono le 12,00 del primo dicembre 1995. Annamaria e i figli, Roberto, Silvio e Marco Baracchi, muoiono così, lanciandosi da un viadotto dell’autostrada A24, fra Roma e L’Aquila, il viadotto dei sucidi, così come tutti oggi lo conoscono.

Dietro quel suicidio collettivo, una disastrosa situazione economica, prestiti bancari e ipoteche che avevano raggiunto cifre milionarie. Avventure imprenditoriali avviate e chiuse, e una situazione debitoria insostenibile con assegni postdatati emessi a favore di usurai che richiedevano tassi di interessi del dieci, del venti per cento al mese. Cento, duecentomila (lire) per ogni milione prestato, ogni trenta giorni ed altri soldi presi in prestito per far fronte agli impegni che si moltiplicavano e che erano divenuti ossessivi. I debiti avevano raggiunto la cifra di 1.500 milioni (delle vecchie lire), un’ipoteca di 360 milioni di lire su una casa a Scansano, un mutuo con la Banca di Roma per cento milioni, non pagato, e, infine, i prestiti di parenti e amici.

Si disse che fosse stata la speranza, che li aveva tenuti in vita in quell’appartamento di Roma, al quinto piano di via Bracco, quartiere Talenti, semiresidenziale, tra Montesacro e il Tufello, tra la certezza della borghesia impiegatizia dei ministeri e la precarietà di uno dei quartieri popolari della capitale. Gli inquirenti troveranno una casa pulita ed in perfetto ordine e due lettere autografe. Datate 28 novembre 1995, due giorni prima del suicidio. Drammatiche e fredde: erano indirizzate agli amici che li avevano aiutati in maniera disinteressata”(Marco De Risi – il Messaggero).

Le conseguenze della precarietà

Un caso di cronaca che serve a chiarire, senza bisogno di tanti giri di parole, i rischi in cui incorrono coloro che entrano nella precarietà, con l’alta probabilità di ritrovarsi espulsi, isolati, fuori le mura, tra il ponte levatoio e il fossato.

Così il debito avrebbe preso il posto del salario come forma principale dell’asservimento degli individui al capitale, nonché come strumento di governance geopolitica mondiale; il debito come nuovo contratto sociale che fonda una società iniqua ed oscena (Alberto Ventura, “Teoria della classe disagiata”, Minimum fax, pag.107).

Dopo la morte del marito e del padre, avvenuta qualche anno prima, si era determinata, in quella famiglia, una condizione di grave difficoltà finanziaria; di qui, l’idea di richiedere un prestito per poter sanare il debito e avviare una attività commerciale in proprio. Ma la banca, a cui i Baracchi si erano rivolti, aveva valutato quella famiglia poco affidabile sul piano della solvibilità e, perciò, aveva preteso, come condizione del prestito, un costo del denaro molto alto (non c’era ancora, a quel tempo, un limite) e garanzie immobiliari (un’ipoteca sulla casa). E ciò, proprio nel momento di massima vulnerabilità per i Baracchi. Ma questa, è esattamente la logica del libero mercato.

Per inciso, solo nel 1996, l’anno dopo il suicidio  dei Baracchi,  per contrastare l’usura bancaria, fu approvata in Italia una legge che stabilirà i limiti del costo del denaro e che definirà attività usuraia ogni qual volta il limite verrà superato (Il cosiddetto Tasso Soglia d’Usura- art. 2, L. 108/96).

In realtà, la banca non contava sul fatto che i Baracchi fossero in grado di sostenere o meno il peso delle rate, quanto sul fatto di potersi rivalere sulla loro proprietà immobiliare. Infatti, l’insostenibilità del debito, dato dalle rate, aveva spinto i Baracchi a ricorrere, inizialmente, alla rete familiare, tuttavia, con scarsi risultati, perché questo genere di sostegno, di fatto, in Italia era già svanito alla fine del ‘900, quando le facilitazioni per l’accesso al credito avevano persuaso tutti che le reti familiari o di comunità non fossero più necessarie. Il passaggio successivo, inevitabile, era stato, sotto l’incalzare delle società di recupero crediti, quello di ricorrere al denaro degli usurai con tassi di interesse ancora più insostenibili e con irrealistici piani di rientro. Quindi, un debito dopo un altro, ennesimi debiti per pagare i vecchi debiti con le banche, in una spirale mortale.

Guy Standing descrive questo circolo vizioso dell’invito all’indebitamento con assoluta precisione e, come una pratica diffusa e consolidata in Europa a causa del fatto che: “Il capitalismo globale ha reso il reddito sociale sempre più incerto (…) La condizione di insicurezza economica dei precari è stata anche dissimulata dal facile accesso al credito (…) Le famiglie della classe media sono state così messe in grado di consumare più di quanto non guadagnassero il che ha messo in secondo piano il fatto che il valore netto dei guadagni stava diminuendo. Un falso benefit erogato dai privati contribuiva così a nascondere la realtà” (Guy Standing, “Precari, la nuova classe esplosiva”, Il Mulino, pag 75-76)

Il suicidio collettivo della famiglia Baracchi, anche per le modalità con cui avvenne, fece molto scalpore, ma non era un caso isolato. Il numero di individui e di famiglie indebitate, con gravi difficoltà economiche, nel corso degli ultimi decenni, è andato progressivamente aumentando, perché espulse dal lavoro o perché spinte a consumare più di quanto guadagnassero. L’esposizione finanziaria, sollecitata senza scrupoli da banche e istituti finanziari, ha finito con il determinare un problema di vulnerabilità sociale e di insolvibilità diffusa, sia in Italia che in Europa,  che si è andato accentuando, in particolare, tra il 2007 e il 2008.

Basti pensare che, nel 2022, il 46% degli italiani aveva un finanziamento in corso, mentre era il 35,6% nel 2017, con un ammontare delle rate rimborsate dalle famiglie per mutui e prestiti di 305 euro di media al mese. Questo trend di crescita è stabile da oltre dieci anni.

Negare sempre

Se non si possono negare i morti, tuttavia, di solito, si riducono questi fine vita a banali incidenti e, contemporaneamente, si rimuove il passato di queste esistenze. Infatti, la storia, cancellata o banalizzata, rende incompressibile come possano quei cadaveri dei Baracchi penzolare dal guardrail dell’autostrada.
Ecco perché possiamo convincerci che sia stata opera di un pazzo o di un’incosciente. Perché ci viene sottratta la storia vera o, meglio, la storia, nella sua versione integrale.

I Paesi con economie avanzate, allo stesso modo di come affamano popoli e continenti per poter disporre di aria condizionata e di energia continua, uccidono persone o portano alla rovina intere famiglie, pur di vendere titoli, mutui e beni di consumo.

Ma, la narrazione ufficiale del caso Baracchi è stata un’altra. Innanzitutto, ci si affrettò a negare che si trattasse di un problema sociale, opponendo una notevole reticenza al dover ammettere che quella, e tragedie simili a quella, fossero solo la punta di un iceberg di una situazione diffusa, nella quale il
sistema finanziario aveva spinto oltre il lecito per una “induzione al consumo sfrenato che stava gettando intere fasce di popolazione in una sconcertante condizione di indebitamento”, chiudendo così un circolo vizioso che si era determinato con la progressiva precarizzazione del lavoro, decisa da scellerate politiche finanziarie neoliberiste.
Perciò, che sia chiaro (è anche un dato di fatto), nessuno li ha spinti, i Baracchi; si sono lanciati nel vuoto spontaneamente, così come, consenzienti, erano stati quegli operai della ditta di manutenzione in regime di subappalto delle ferrovie nel torinese, fondata, appunto, da un ex ferroviere che si era messo in proprio. Neanche loro erano stati obbligati dalle Ferrovie dello Stato a quella procedura che faceva a meno di ogni criterio di sicurezza per ridurre i tempi di lavoro

Il mostro

Perciò ha una sua logica il modo in cui i media abbiano reagito alla vicenda Baracchi. Era necessario che quella vicenda fosse contenuta nella sua dimensione privata e particolare, che si escludesse il debito o cause economiche più generali e che non subentrasse la tentazione di analisi sociali troppo contorte, magari infarcite di residui ideologici. Ecco perché c’era l’urgenza di trovare un capro espiatorio, per raccontare questa storia come la decisione di qualcuno che fosse all’interno della vicenda, che fosse “irresponsabile“ o, addirittura, malato, che poi avesse finito con il plagiare gli altri…a loro volta, psicolabili.
Inoltre, visti i vincoli familiari molto stretti, era necessario insistere sul carattere deviante di questo presunto responsabile. Prima, si disse, la madre, che avrebbe avuto problemi di depressione e disturbi psicologici, poi il figlio maggiore, che avrebbe deciso investimenti scellerati e irragionevoli.
Ma nel caso della famiglia Baracchi, non si trovò nessun mostro, perché non c’era.

Peggiora la condizione delle famiglie italiane

Dai dati Istat sulle condizioni di vita emergono, inoltre, indicazioni sulla percezione di disagio economico, derivante non solo da un debito, in corrispondenza della fase di crisi finanziaria mondiale (2007-2008). Il quadro è di un tendenziale peggioramento. In particolare, nel 2008, il 17% delle famiglie dichiarava di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà (contro il 15,4% nel 2007), mentre un terzo delle famiglie riferiva di non essere in grado di sostenere una spesa imprevista di rilevante importo (31,9% nel 2008, in lieve flessione rispetto all’impennata del 2007 in cui aveva raggiunto il 32,9%, con un balzo di 4,5 punti percentuali). Nel 2008 sono cresciute, inoltre, le difficoltà finanziarie incontrate nei 12 mesi precedenti: in particolare, l’11,9% delle famiglie si è trovato in arretrato con il pagamento delle bollette (9,3% nel 2007), mentre il 10,9% delle famiglie dichiarava di non potersi permettere di riscaldare adeguatamente l’abitazione (10,4% nel 2007).

Tuttavia, vergogna, paura e angoscia dei debitori, da un lato, e la necessità delle banche di nascondere i crediti inesigibili, dall’altro, hanno occultato povertà e tragedie personali, ma anche falsi bilanci e bolle speculative. Sempre la crisi finanziaria del 2008, per esempio, nascondeva questa dinamica creditizia perversa e, quindi, divenne inevitabile, così come, inevitabile, fu il fallimento, in Italia, di gran parte delle “casse di risparmio” e delle piccole banche sul territorio, dopo anni di gestione politico-clientelare e di mancati rientri che erano stati avallati.

La crisi conclamata dell’economia italiana, non a caso, è iniziata nel corso del 2008, quando il Prodotto Interno Lordo diminuì dell’1,2%.  Ma va ricordato che il 15 settembre del 2008 la Lehman Brothers, una delle più importanti banche d’affari di quegli anni, fallì. Come molte altre società simili, aveva acquistato mutui emessi da piccole società finanziarie per farne titoli derivati e generare denaro su basi molti rischiose.

La crisi economica ebbe ripercussioni negative su tutti i fronti, decretando fallimenti di piccole -medie, ma anche grandi imprese, producendo alti tassi di disoccupazione e mettendo in difficoltà tutto il sistema bancario mondiale. La liquidazione coatta amministrativa fu la misura applicata alle banche italiane in luogo dell’ordinaria liquidazione giudiziale, sia per liquidare le residual entities, sia per gestire le crisi delle banche di dimensioni minori, alle quali non veniva riconosciuto l’interesse pubblico, elemento necessario per la risoluzione concordata con la Banca d’Italia e lo Stato (su questo, il progetto Unidroit per la Bank Insolvency  immaginava come soluzione un approccio globale nell’individuazione delle possibili ipotesi regolatorie, anche oltre i confini del quadro normativo europeo).

Questa logica del debito, quindi, va letta oltre i casi individuali o le vicende delle singole famiglie. È un aspetto ormai strutturale dell’economia finanziaria occidentale, da un lato, per nascondere una insostenibilità complessiva, dall’altro, per garantirsi un legame fiduciario e di dipendenza, sia a livello locale che internazionale. Il debito ha ormai sostituito il lavoro, quando il consumo ha sostituito la produzione.

A livello internazionale, il meccanismo è spietato. Chi controlla il mercato, e può stabilire il valore, una volta svalutato il prezzo di risorse e prodotti della controparte, interviene per realizzare il debito, con il risultato di stabilizzare una condizione di arretratezza nei Paesi extra occidentali e trasformare la povertà in sottosviluppo, da cui la condanna alla dipendenza. Una tale dinamica viene, infatti, accentuata attraverso una continua sollecitazione al prestito e una conseguente pressione alla svendita di patrimoni e risorse pubbliche, tanto più fosse necessario rafforzare, in quell’area, il vincolo politico-militare per ragioni strategiche.

In Italia, a livello locale, la riforma nota come “autonomia differenziata”, è destinata ad ottenere lo stesso risultato, accentuando ulteriormente la dipendenza e il divario tra nord e sud, aprendo perciò scenari di balcanizzazione del Paese.

Queste conseguenze, che sono oggettivamente devastanti e preoccupanti, dal punto di vista sociale per chi le subisce, dal punto di vista dell’economia privata sono, al contrario, condizioni ideali per una ulteriore concentrazione delle risorse e per la conservazione di condizioni di favore destinate a una ristretta cerchia di imprese già affermate sul mercato e a un limitato gruppo di regioni già con uno sviluppo consolidato. Dunque, tutto ciò non servirà ad altro se non a perpetuare la legge cardine del libero mercato, ovvero la relazione sviluppo-sottosviluppo entro cui il Mezzogiorno è tenuto in catene.

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