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Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Il Sud e le città mercato

I meridionali sono i maggiori consumatori, nonostante la disoccupazione. Ma non è una contraddizione. Consumano di più perché devono compensare, tutti i santi giorni, una vita di scarto. E per questo sono disposti a tutto, anche a spendere i soldi che non hanno

di Victor Matteucci

Sono 1.274 i poli commerciali presenti sul territorio nazionale che, con i loro 40.700 negozi, registrano 1,9 miliardi di presenze annue. Nel 2022 il volume d’affari totale dell’industria dei centri commerciali ha raggiunto i 171 miliardi di euro, corrispondenti a un’incidenza sul Pil italiano del 4,6%. In rapporto alla popolazione nel 2020, si è registrata una media di circa 9,2 imprese commerciali al dettaglio ogni mille abitanti. Ma, sorpresa: il Sud e il centro sud sono territori leader nel consumo e per grandi impianti commerciali.

Catania, presenta, ad oggi, la più alta concentrazione di centri commerciali rispetto al numero di abitanti, con circa 460 metri quadrati di superficie di vendita per 1000 abitanti nell’area metropolitana (fonte Confcommercio).

Per dimensioni, il più grande centro commerciale di Catania è Etnapolis,  che è anche al quinto posto tra quelli più grandi d’Italia. Sviluppato su 105 mila metri quadri, contiene circa 150 negozi. È stato realizzato nel 2006 nei pressi di Etnafiere.

Al quarto posto, Romaest, 136 mila metri quadrati. 220 negozi, un cinema multisala, ipermercato panorama di 24mila metri quadri e, ovviamente, ogni tipo di negozio possibile. Terzo posto per Il Vulcano Buono di Napoli con 147 mila metri quadri, progettato da Renzo Piano, inaugurato nel 2007, con grande fantasia, ovviamente a forma di vulcano. Al suo interno ci sono 160 negozi, doppia galleria, cinema, punti ristori, perfino un hotel. Il secondo posto è della Galleria Commerciale Porta di Roma con 150 mila metri quadri, 7 mila posti auto. Risale al 2007 e conta circa 220 marchi. Il più grande centro commerciale d’Italia, invece, è Il Campania, il centro commerciale di Marcianise, in provincia di Caserta, che si attesta come il migliore in assoluto con 200mila metri quadri, 160 negozi, galleria su due livelli, eventi di ogni tipo, giochi, materiale didattico per bambini, con un’intera ala dello store dedicata solo ai piccoli. Si chiama Magicabula, ipermercato Carrefour, multisala, 25 punti tra bar e ristoranti, aperto fino a mezzanotte con 7mila posti auto  (fonte: dati a cura di Valentina Giungati – Cityrumors 3 Ottobre 2023).

I mercati per grandezze

Per supermercato si intende un esercizio al dettaglio prevalentemente nel campo alimentare, organizzato  a libero servizio e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita uguale o superiore a 400 metri quadrati. I supermercati in Italia sono 10.919 in Italia (1.781 in Lombardia) e danno lavoro a 206.321 persone.

L’ipermercato, invece, è  un esercizio al dettaglio con superficie di vendita superiore a 2.500 mq., suddiviso in reparti (alimentare e non alimentare), ciascuno dei quali aventi, rispettivamente, le caratteristiche di supermercato e di grande magazzino. Sono 695 in tutta Italia e lavorano in queste strutture 881.445 addetti.

I supermercati per fatturato

Secondo l’Osservatorio di Mediobanca, che ogni anno analizza i numeri della grande distribuzione organizzata (Gdo), Lidl Italia è la società cresciuta di più nelle vendite tra il 2015 e il 2019: +8,7% medio annuo, seguita da Eurospin e Agorà appaiate al +7,6%. Segue il trio Lillo-MD (+6,9%), VéGé (+5,3%) e Crai (+5,2%).  In termini di redditività del capitale investito, primeggia Eurospin (20,2%), seguita da Lillo-MD (16,5%), Agorà e Lidl Italia al 12,9%, quindi Crai all’11,9%. Tutti i restanti operatori sono sotto la doppia cifra, capeggiati da VéGé al 9,1%. 

Tra i supermarkets italiani la società che controlla Esselunga si conferma al primo posto per utili cumulati tra il 2015 e il 2019 con 1.340 milioni di euro, seguita da Eurospin con 1.016 milioni, Conad con 879 milioni e VéGé con 839 milioni. Carrefour ha cumulato perdite per 603 milioni, Coop per 252 milioni. Coop Alleanza 3.0, invece, è la maggiore cooperativa italiana con vendite, nel 2019, pari a 4.043 milioni, seguita da Pac 2000 A (Gruppo Conad) con 2.851 milioni e da Conad Nord Ovest con 2.586 milioni, precedendo Unicoop Firenze con 2.320 milioni (dati al: 2018-2020 Fonti: Mediobanca, Osservatorio nazionale del commercio).

Tutti in città

In generale, dunque, nelle stesse periferie dove ieri si concentravano le fabbriche e gli operai, oggi si concentrano i centri commerciali e i consumatori. Con una differenza. I territori trainanti per consumo sono tutti al centrosud, dove è più alta la disoccupazione. In particolare, Caserta, nota per essere la terra dei fuochi, le periferie devastanti di Roma e Napoli, e poi, sempre nel Sud, Catania, la città dei Cavalieri del Lavoro, appena rientrata dalla procedura di pre-dissesto.

In base alle stime sull’occupazione, la Sicilia segnerà un incremento di soggetti senza lavoro pari al +12.735%. A seguire ci saranno Lazio (+12.665%) e Campania (+11.054%). Le stesse aree dove sono collocati i cinque maggiori centri commerciali d’Italia. La crescita della disoccupazione, in particolare a Catania, detto per inciso, si prevede sarà pari al +2.266% nel 2024 (è l’ottava città italiana per numero di disoccupati).  Fonte: QdS.it – Salvatore Rocca  sabato 03 dicembre 2022.

Ma è solo una contraddizione apparente. La ragione sta nel fatto che la pressione sul consumo è più invasiva per i poveri e per la società più fragile, la quale non può opporre una stabilità esistenziale o una resistenza culturale all’aggressione pubblicitaria e alla imposizione di modelli e  stili di vita. È una conseguenza dell’essere subalterni, dell’essere precari, dell’avere mancanze, di aver subìto perdite, quella che spinge a consumare, proprio per illudersi momentaneamente di compensare le carenze. Il possesso di beni di posizionamento aiuta a raccontare un’altra storia, quella che si sarebbe voluta. Così, tanto più si è infelici e frustrati, tanto più si consuma. Il Sud non può fare altro.

D’altra parte, nella attuale fase post-industriale, a differenza che nel Novecento, non è il sogno del lavoro, ma il sogno del consumo, che spinge tutti in città. Di qui la necessità, pur di poter consumare e di non dover tornare indietro, di accettare lavoro precario e insicuro, senza diritti e garanzie, con la conseguenza di vedere crescere disagio, dipendenza ed emarginazione, da cui, inevitabili, mercati e lavori illegali.

A Napoli quando si cucinava per strada

Quindi, al pari di ieri per il lavoro operaio, si trasferivano i contadini dal Sud al Nord, oggi, per il consumo, si trasferiscono i disoccupati dalle periferie alle città.  La concentrazione di masse,  così come serviva ieri a ridurre i costi del lavoro, oggi serve ad aumentare i profitti dei consumi. In città, non c‘ è più alcuna fabbrica. In città c’è solo il lavoro povero improduttivo, frantumato e, spesso, informale, dei servizi. Quello che nel Novecento era il lavoro residuale e di scarto, un segmento rifugio dell’economia, così era definito il terziario. E poi ci sono i grandi centri commerciali. Ecco perché i servizi e i consumi sono perfetti per il Sud. Ecco perché i meridionali sono i più grandi consumatori. Perché sono cittadini residuali che devono compensare tutti i giorni una vita di scarto, e per questo sono disposti a spendere anche i soldi che non hanno. Per illudersi di essere quello che non sono, di avere quello che non avranno mai.

Di tutto questo i poveri sono, ovviamente, inconsapevoli, ma non lo sono gli imprenditori. Ecco perché quei cinque grandi centri commerciali sono li.

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Una risposta

  1. È vero, i cittadini del Sud spendono tutto ciò che hanno, tra loro tanti (impossibile stimare quanti) spendono ciò che hanno guadagnato in nero, col lavoro precario, ma soprattutto col lavoro proveniente dai traffici illeciti. Difatti potrebbero essere molti coloro che, non avendo a disposizione un lavoro onesto, facile da svolgere ed ugualmente redditizio, quanto il traffico di merce illecita, si concedono ad esso, pur di rispondere ai pressanti stimoli di un mercato consumistico che conferisce apparente benessere e riconoscimento sociale nel “ consumare “ più beni possibili.

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