Una mostra interamente dedicata al ruolo della figura femminile nell’arte. Una mostra dove, al di là delle tecniche, dei linguaggi e degli stili più o meno innovativi, quello che affiora è un resoconto controverso e articolato, in cui raffigurazioni ‘classiche’ si alternano a ‘più libere’ letture e narrazioni in una veritiera contrapposizione di opinioni e indicazioni sulla complessità dello stato delle cose.
di Salvo Ferlito
Condizione decisamente controversa, quella della donna contemporanea. Controversa e irresoluta, per la palese difficoltà a pervenire ad una piena eguaglianza dei diritti e soprattutto ad una completa (e rivoluzionaria) emancipazione dalla dittatura dei modelli di pensiero imposti dall’altro sesso.
Non è, infatti, – come alcuni banalmente credono – una semplice questione di “quote più o meno rosa” ad impedire l’affermazione femminile (benché ciò abbia un suo peso rilevante), ma un ben più complesso problema di affrancamento da un sistema di norme e di schemi di natura patriarcale, nato e pensato nella notte dei tempi per disciplinare i comportamenti individuali e collettivi secondo logiche di forza tipicamente mascoline.
Acquisire – del tutto legittimamente – ruoli e compiti fin ora d’appannaggio esclusivamente virile, di fatto non implica altro che una equiparazione di tipo meramente “funzionale”, ma di certo non determina la liberazione definitiva dal giogo “culturale” esercitato per millenni dal cosiddetto sesso forte.
L’intera organizzazione della nostra società è tutt’ora basata su dinamiche relazionali marcatamente “agonistiche” e “muscolari”; e non basta la traslazione della forza bruta sul piano più “simbolico” e “regolamentato” della competitività, della concorrenza, dell’autorità, della gerarchia, dell’ordine costituito, per ridimensionarne la profonda e peculiare impronta maschilista. Basterebbe qui riflettere sugli archetipi delle religioni (dalle più antiche e politeiste alle più recenti e monoteiste) per imbattersi in un quasi costante prevalere delle componenti maschili (per lo più in posizione di imperio assoluto e prioritario rispetto a quelle femminili), a dimostrazione della volontà di statuire inderogabilmente un insieme di valori che discende da un potere virile, paternalistico e del tutto inappellabile.
Proprio le arti visive, che da sempre hanno fatto della figura muliebre un insistito oggetto di rappresentazione (esprimendo per millenni un punto di vista prevalentemente maschile), si sono non a caso avvalse del corpo della donna per perseguire finalità palesemente “normative” (per lo più esaltando il ruolo di moglie ossequiosa e madre amorevole e non di rado condannando come ferine e devianti le pulsioni più libertarie) con l’intento di definire quel codice comportamentale cui ogni femmina doveva ottemperare con sottomissione. Un approccio ribadito ampiamente da tanta (troppa) produzione massmediatica attuale (soprattutto pubblicitaria), ove, nonostante l’esibita spregiudicatezza degli atteggiamenti, nei perimetri del corpo femminile (mercificato e ridotto a prodotto seriale di riferimento) si estrinseca tutto il peso d’un potere economico (e quindi, ancora una volta, d’una volontà di induzione e controllo dei comportamenti altrui) riconducibile a visioni del mondo rigorosamente al maschile.
A tutto ciò – e in particolar modo alla difficoltà ad introdurre degli “specifici” muliebri negli impianti antropologici e nelle dinamiche sociali – fa riferimento l’operato degli artisti chiamati a partecipare a questa mostra.
Al di là delle tecniche, dei linguaggi e degli stili più o meno innovativi (che offrono però un interessante osservatorio sulla produzione artistica in atto nella nostra isola), quello che affiora è un resoconto controverso e articolato, in cui raffigurazioni “classiche” (nel senso del lessico, ma anche del modo di rappresentare l’universo femminile) si alternano a “più libere” letture e narrazioni (con una non edulcorata esibizione dei rovelli, delle inquietudini e delle problematiche), in una veritiera contrapposizione di opinioni e indicazioni sulla complessità dello stato delle cose.
Dalla ritrattistica alle scene di genere, dal rigore naturalistico alla pura invenzione, dall’empatico scandaglio psicologico al più simpatetico fluire emozionale, quel che si registra – nel pensare e nell’agire degli artisti dei due sessi – è comunque l’esibita volontà di offrire dei sentiti punti di vista, sui quali soffermarsi a riflettere in maniera tutt’altro che banale.
Vagheggiamenti, idealizzazioni, fobie, angosce, malinconie, ironie si susseguono in un variegato caleidoscopio di disegni, dipinti, sculture, fotografie ed installazioni, restituendo fedelmente agli osservatori quella frastornante babele di forme e contenuti, quella multifocalità dello sguardo e della percezione, quella instabilità emozionale ed affettiva, che costituiscono i tratti salienti delle tante tensioni (e dei troppi cortocircuiti) di cui è intrisa la condizione femminile nella nostra incerta ed inquieta attualità.