Tra i 432 prigionieri politici, deportati da Bolzano a Flossenbürg il 5 settembre del ’44, 17 erano siciliani. Sebbene di ciascuno di loro, a parte il nome, si sappia ancora ben poco, conoscere le drammatiche vicende vissute nel lager nei loro ultimi anni e le storie dei compagni con cui hanno condiviso quella terribile sorte, può contribuire a custodirne la memoria. Se non altro in quanto deportati politici, cioè uomini che si opposero al nazifascismo con grande coraggio, nella piena consapevolezza del rischio che quella scelta avrebbe comportato. Solo per questo, andare alla ricerca della loro identità costituisce già un meritato riscatto dalle prepotenze e sevizie subite.
In prossimità dell’80esimo anniversario di quella data, si torna a parlare del convoglio che condusse un cospicuo numero di prigionieri politici italiani al campo di concentramento di Flossenbürg: il Trasporto numero 81, secondo l’ordine attribuito da un superstite, Italo Tibaldi. Egli, uno dei pochi che fecero miracolosamente ritorno a casa, dedicò il resto della sua vita alla ricerca e alla ricostruzione storica dei trasporti di prigionieri oppositori politici, effettuati dall’Italia verso la Germania tra il 1943 e il 1945, censendone ben 123.
Ebbene, cosa hanno ancora da raccontarci le vite di quei 432 uomini, di varia provenienza ed età, che in situazioni e maniere diverse si erano opposti al regime nazifascista? Cosa è successo a ciascuno di loro dopo aver apposto la firma sul registro d’ingresso del campo di Flossenbürg, marchiati con un numero e contrassegnati da un triangolo rosso dalle iniziali IT, cucito addosso?
Da quel momento ciascun prigioniero avrebbe perso per sempre la propria identità insieme alla dignità, perché costretto ad un processo di annientamento fatto di fatiche degradanti e disumane.
Non avremmo più avuto notizia della maggior parte di loro, se quei pochi sopravvissuti, al loro ritorno, non ce ne avessero dato testimonianza. Difatti, dopo un certo periodo di silenzio, si deve a loro il racconto di quelle drammatiche esperienze, vissute sulla propria pelle e le informazioni sui compagni di sventura, affinché fosse nota a tutti quella terribile realtà, che nel dopoguerra si tentava di far cadere nell’oblio generale.
Sono diverse oggi le pubblicazioni e le testimonianze sulla vita e gli orrori subiti dagli ebrei nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Poche tuttavia le ricerche come quelle che alcuni anni fa hanno prodotto una mostra: “In treno con Teresio: i deportati del trasporto 81”, promossa dall’ANED (Associazione nazionale Ex Deportati) e realizzata da Maria Antonietta Arrigoni e Marco Savini.
In essa, mettendo in risalto documenti, disegni e schede biografiche, è stato restituito a molti di quei prigionieri politici, un volto con la propria storia di vita, alcune delle quali esemplari.
La mostra ne evidenzia le tracce e ne mette in luce soprattutto la capacità di operare in spirito di solidarietà, anche in quelle condizioni di vita estreme, in netto contrasto con l’evidente scopo del lager di annientamento dell’individuo, nella sua profonda umanità. Dalla mostra emergono grandi figure di persone che sfidando le torture, hanno rischiato la loro stessa vita, nel tentativo di aiutare i compagni e di evitarne le morte. A partire da Teresio Olivelli, illustre esempio di dedizione e sacrificio cui è intitolata la mostra, uomini come Ubaldo Pesapane, Odoardo Focherini, Andrea Schivo, Italo Geloni, Giannantonio Agosti, sono solo alcuni dei tanti che si industriarono per alleviare le proprie e altrui sofferenze, alcuni anche per documentare e lasciare traccia, in qualche modo, di quella orribile esperienza.
La mostra si avvale, infatti, di minuziose e rigorose ricerche incrociate, effettuate da fonti di diverso tipo: stralci di narrazioni scritte, disegni, poesie, custodite negli archivi o nelle lettere spedite a casa, memoriali redatti dai pochi superstiti, ricordi dei compagni altrimenti sconosciuti. Enrico Magenes, Candido Armellini, Innocente Bonfanti, Augusto Cagnasso, Pietro Meloni, Venanzio Gibillini, Antonio Scollo, per citarne alcuni, ci hanno lasciato infatti stralci di racconti forniti di dettagliate descrizioni, spesso agghiaccianti.
I disegni, in special modo, risultano di forte impatto emotivo, particolarmente incisivi e preziosi quelli di Vittore Bocchetta, esponente della Resistenza, che da sopravvissuto svilupperà la sua poliedrica vena artistica, fino a realizzare una scultura, “Ohne Namen” (Senza nome), dedicata ai deportati, cioè a coloro che erano stati privati per sempre del loro nome. Il monumento verrà infatti inaugurato nel 2007 a Hersbruck, sottocampo di Flossenbürg, dove Vittore Bocchetta fu sottoposto con gli altri al lavoro duro e massacrante del lager, fino alla miracolosa fuga.
L’impegnativa e accurata indagine preparatoria, dunque, promossa dall’ANED, ha permesso di tracciare un profilo di quasi tutti i 432 deportati, attraverso le informazioni raccolte in schede, mediante un lungo e complesso lavoro eseguito con zelo da Alberto Bocchetta e Carmen Meloni con la collaborazione di Daniela Pani e Walter Gibillini, tutti familiari di ex-deportati. Risoluti nel continuare a diffondere la conoscenza di quel tassello fondamentale della nostra Storia recente, assunto con responsabilità l’impegno dei loro padri, tutti loro si adoperano con tenacia a mantenerne viva la Memoria, soprattutto tra le giovani generazioni, oltre quel tempo in cui non ci saranno più testimonianze dirette.
L’ANED, che nasce come associazione apolitica, presente in varie regioni d’Italia, raccoglie, oltre ai familiari degli ex-deportati, tutti quei cittadini che praticano e condividono gli ideali della Resistenza (libertà, giustizia e pace), veri cardini della nostra Democrazia, allo scopo di approfondirne e diffonderne la conoscenza, soprattutto riguardo alla deportazione politica, di cui non si sa ancora abbastanza.
Infatti poco si parla di questo argomento, a partire dai dati: i prigionieri italiani politici deportati dopo l’8 settembre furono 23.826, di cui 1.514 donne, e ne morirono circa la metà; mentre sono di numero inferiore, 8.500 in tutto, le persone, quasi tutti ebrei, deportate per motivi razziali ad Auschwitz.
Non sorprende dunque che l’indagine sui prigionieri del Trasporto 81, sia una delle poche realizzate finora, né può sfuggire l’importanza che assume tale interessante lavoro.
Su ciò che accadde tra il ’43 e il ’45 in Italia, non sono ancora state effettuate ricerche sufficienti a far luce sui soggetti e i vari movimenti che operavano clandestinamente contro il nazifascismo; piccoli e grandi atti di impavida opposizione, da parte di persone di diverso orientamento politico, anche di matrice cattolica, che in Italia convergeranno in forme di lotta organizzata solo dopo l’8 settembre del ’43.
Infatti, non è noto a tutti, ad esempio, che tra i prigionieri politici più di 800 furono siciliani, di cui 372 inghiottiti nel nulla, come si evince dal primo, documentato e completo, studio sull’argomento, realizzato dalla ricercatrice, Giovanna D’Amico, e pubblicato nel 2006 dalla Sellerio, col titolo “I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti tra il 1943 e il 1945”.
Quando si parla di deportazione, infatti, ci si sofferma prevalentemente sulla Shoah, il genocidio degli ebrei, tuttavia è difficile riconoscere che l’opposizione al fascismo abbia avuto un altissimo costo di vite umane, nell’intero territorio italiano, incluso il Sud e le isole.
Quando si tratta di Resistenza, inoltre, il pensiero comune corre sui luoghi più noti e celebrati del centro-nord d’Italia.
Eppure furono molti i siciliani che parteciparono, più o meno palesemente, alla Resistenza, come emerge anche dalla ricerca effettuata da Angelo Sicilia: “Testimonianze Partigiane. I siciliani nella lotta per la Liberazione”, pubblicata nel 2015 da Navarra Editore. Il libro è una raccolta di personaggi e momenti di vita eccezionali, di uomini e donne che, dopo lo sbarco degli alleati, anche in Sicilia scelsero con consapevolezza di contribuire a quella lotta che si andava organizzando in tutta Italia, lottando contro il nazifascismo con convinzione e coraggio, rischiando la vita.
Un dato di fatto confermato anche dal bel saggio di vari autori, tra cui spicca la già citata Giovanna D’Amico, “I siciliani nella Resistenza” edito da Sellerio nel 2019.
Non soldati soltanto, dunque, questi siciliani, ma civili, persone impegnate a combattere per la libertà, come avveniva nel resto dell’Italia.
Tanti siciliani dunque fecero l’esperienza dei campi di concentramento, anche perché in Sicilia, Calabria, Molise e Campania furono istituiti dal fascismo campi destinati c soprattutto agli oppositori politici, oltre che a pochi ebrei.
Ad ogni modo, furono tanti i civili e i soldati, uomini e donne, siciliani, che, fuori dalla loro terra, furono arrestati, spesso torturati e poi deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Alle stesse conclusioni giunge anche il più recente libro di Guido Lorenzetti, figlio del deportato Andrea Lorenzetti, “Siciliani testimoni di Libertà. Dodici storie di deportati nei lager nazisti”(Ed. Arianna). In questo saggio emerge la condizione socioeconomica del nostro meridione, attraverso storie di emigrazione esasperate dalla povertà del periodo bellico, talvolta dalla fuga dalle persecuzioni fasciste nel proprio paese, le vite di quei giovani siciliani arruolati per la guerra, che si trovarono sbandati nel centro-nord d’Italia dopo l’otto settembre, ma seppero fare scelte valorose contro il regime nazifascista.
Lo studio di Giovanna D’Amico, per primo, e gli altri già citati, ricostruiscono una verità storica spesso negata, sfatando un diffuso pregiudizio che la Sicilia non abbia dato contributi di vite umane alla Resistenza; essi rendono giustizia al tentativo di cancellare pezzi del nostro passato dolorosi e scomodi, rispetto a situazioni politiche successive, che, più o meno consapevolmente, hanno esercitato una sorta di memoria selettiva, sulla base anche di interessi geopolitici di diversa provenienza.
Per questo e per altre ragioni, è stato più semplice dimenticare, oscurando e persino negando la verità.
Nell’ottantesimo anniversario del Trasporto 81, un calendario di eventi ne celebrerà la Memoria, per suscitare un dibattito che promuova una riflessione su un passato che non tutti conoscono.
Fare Memoria vuol dire andare oltre la rituale commemorazione, diffondendo la conoscenza di ciò che è accaduto, soprattutto tra i giovani, in modo che possano assumersi l’impegno di “ricordarsi di ricordare” e vigilare affinché ciò che è accaduto non si ripeta.
Questa è la grande responsabilità di coloro che hanno conosciuto i testimoni diretti, l’impegno che i componenti dell’ANED, e non solo, si sono assunti allo scopo di trasmettere ai giovani quegli ideali di libertà, giustizia e pace, che hanno ispirato la Resistenza e per cui i nostri “padri” hanno perso o rischiato la vita. Compito davvero arduo, in questo periodo particolarmente difficile del nostro presente, in cui si alimentano drammaticamente diseguaglianze e discriminazioni e la pace è diventato un obiettivo più lontano che mai. Compito irrinunciabile forse proprio per questo, perché questo è il momento di una nuova Resistenza.
Le foto fanno parte della mostra presente sul sito dell’ANED
Una risposta
Mia cara, con il tuo scritto mi hai svelato, documentandola sapientemente, una verità non conosciuta. Ci hanno sempre detto che noi siciliani la guerra non l’avevamo neanche vista, che era una pesante realtà che conosceva solo il centro-nord d’Italia. Sapere che anche da noi ci sono stati giovani e non che hanno scelto di combattere per la patria anche a costo della loro vita, mi rende un po’ più orgogliosa delle mie origini.
Siciliani-partigiani…è una realtà da far conoscere e divulgare non solo fra gli adulti, ma soprattutto tra i giovani che in questo funesto periodo rischiano seriamente di smarrire il senso della dignità, dell’altruismo, dell’appartenenza…Allora adoperiamoci per insegnare loro ad operare scelte che vadano verso il bene degli “uomini” e ad esserne fieri.
Grazie.