Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

I nostri eroi. I giornalisti italiani in Ucraina e a Gaza

L’Informazione autorizzata in Ucraina e quella negata a Gaza. Il doppio standard della libertà nell’era della propaganda. Ilaria Alpi e Stefania Battistini: storie diverse, di un giornalismo diverso, con epiloghi diversi

di Victor Matteucci

«Il giornalismo non è un crimine. L’ipotesi delle autorità di Mosca di mettere sotto processo i giornalisti Stefania Battistini e Simone Traini, entrati in territorio russo al seguito delle truppe Ucraine per un servizio del Tg1, è inaccettabile. L’informazione non si fa con le autorizzazioni preventive». Così in una nota congiunta Usigrai e Fnsi

Le accuse: «Attraversamento illegale del confine di Stato» ai sensi dell’articolo 322 del Codice penale della Federazione russa.

Tuttavia, entrare in Russia a rimorchio delle truppe di mercenari e contractors privati, in realtà, più che essere stata autorizzato, sembra che sia stata pianificato e organizzato nel dettaglio, perciò, più che di una pretesa informazione indipendente, sembra si tratti di una presumibile attività dell’ufficio propaganda e spettacolo.l

Inoltre, se “l’informazione non si fa con le autorizzazioni preventive”, perché mai i nostri giornalisti eroi non entrano a Gaza? Secondo Giulietti: “Sono in attesa dell’autorizzazione” (Video art. 21).

Quindi, per fare un po’ di chiarezza: in Russia si può fare a meno dell’autorizzazione dei Russi per entrare nel loro territorio, perché comunque basta quella americana, ma in Palestina, invece, è necessaria l’autorizzazione del Governo israeliano e dell’UE, che non arriva, per cui si resta in attesa (una lettera è stata inviata al rappresentane esteri UE, Borrell, firmata da oltre 60 associazioni giornalistiche, ancora senza risposta).

Nonostante leggiamo e rileggiamo la nota di Usigrai e Fnsi, il testo non sembra molto chiaro e coerente, ma forse ci siamo persi qualcosa o forse abbiamo dimenticato di applicare la logica del doppio standard. Nel frattempo, i nostri eroi, che nel caso della Palestina con oltre 40.000 civili uccisi, stranamente non ardono dalla passione per l’informazione indipendente (fatta eccezione forse per Flavia Cappellini, Sky Tg24), né sembrano così irremovibili di fronte alla negazione della libertà di stampa, obbediscono e si limitano a inviare i loro servizi compiacenti da Tel Aviv e da Gerusalemme. E’ meglio.

Ilaria Alpi è morta

Così, però, caro Giulietti, Ilaria Alpi è morta definitivamente, e con lei il cameraman Miran Hrovatin, e questa volta, non per mano di oscuri sicari inviati da altrettanti oscuri mandanti. Lei si, non chiedeva autorizzazioni in Somalia per indagare sul traffico di armi e di rifiuti speciali, anzi, le sue inchieste, come si è capito dopo, erano solo scomode per tutti. Infatti, è stata uccisa come erano stati uccisi altri giornalisti scomodi, come Rostagno, Impastato, Siani, Fava, ecc.

E forse dovremmo prendere atto che con lei, siamo morti un po’ anche noi, caro Giulietti, nel momento in cui avalliamo un’informazione che è diventata pura propaganda da parte dei nostri eroi autorizzati a bordo delle jeep, con tanto di elmetto di ordinanza, corsetto antiproiettili e sorriso smagliante. Tutte cose che Ilaria, nelle ultime immagini prima di essere uccisa, non aveva. Ma quel che è peggio è che oggi prendiamo atto che Ilaria è morta invano, oltre che senza né giustizia né verità, come da copione, nell’Italia dei delitti e delle stragi senza autori né mandanti.

La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è la seguente: si può degradare il giornalismo senza che lo siano degradati i giornalisti e la loro deontologia ed etica professionale?  

Telegram non collabora, arrestato Pavel Durov

Nel frattempo, venerdì 16 agosto, il canale Telegram russo Baza aveva anticipato che, ai due inviati della RAI, le autorità di Mosca avevano contestato l’«attraversamento illegale del confine di Stato», un reato ai sensi dell’articolo 322 del Codice penale della Federazione russa.

Infatti, «iI 16 agosto il Ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatrice d’Italia a Mosca», si legge in un lancio dell’agenzia russa Interfax, aggiungendo che «Una decisa protesta è stata espressa all’ambasciatore in relazione alle azioni di un gruppo televisivo italiano della Rai, che si è infiltrato nel territorio russo per coprire un attacco terroristico criminale da parte di militanti ucraini nella regione di Kursk». Avendo «violato grossolanamente le leggi russe e le regole elementari dell’etica giornalistica», i «corrispondenti italiani hanno usato la loro presenza sul territorio del nostro paese per nascondere il sostegno propagandistico ai crimini del regime di Kiev».

Il 24 agosto, però, in modo un po’ inaspettato, il fondatore di Telegram, Pavel Durov, è stato arrestato in Francia con l’accusa di essere “complice di gravi attività illegali avvenute sulla piattaforma di messaggistica”.

Le implicazioni geopolitiche sono evidenti e riguardano la libertà di stampa che, tuttavia, anche in questo caso, sembrano sottoposte ad un doppio standard. Durov si era sottratto ad ogni controllo governativo sia in Russia che in Francia e perciò era considerato fuori controllo, anche se lui si definiva, semplicemente, indipendente. Ma, mentre la disobbedienza alla pretesa di controllo del governo Russo era stata applaudita, la non collaborazione con quello francese ha portato all’arresto.

Il manifesto del 27 agosto ha titolato: “La notifica, Polemiche, dubbi e misteri dopo l’arresto in Francia di Pavel Durov”.  Secondo  alcune fonti russe (il presidente della DUMA), dietro l’arresto di Durov vi sarebbero gli USA che vorrebbero estendere il controllo social a Telegram, ma Macron ha immediatamente replicato che non si tratterebbe di un arresto di natura politica e che decideranno i giudici. Vedremo.

I giornalisti morti o arrestati. Erano solo anonimi kamikaze

Sembra facile fare gli eroi sul confine Russo ucraino a bordo delle jeep inglesi, ma sembra più difficile sul confine Israele-Palestinese dove sono morti decine di giornalisti di Al Jazira e di altre testate indipendenti nel silenzio più assoluto, mentre molti altri sono detenuti nelle carceri israeliane.

Sembra che gli eroi siano solo quelli autorizzati ad esserlo, e per questo sono illuminati a giorno dai flash delle telecamere con i loro elmetti e i loro corsetti antiproiettile, mentre viaggiano sorridenti con i militari oltre il confine russo perché era giusto far conoscere anche quella parte di verità” (Battistini). Naturalmente questo anelito di verità a tutti i costi è così insopprimibile solo in alcune parti del mondo, per alcuni conflitti e solo stando dalla parte giusta della Storia.

Infatti, riguardo al sabotaggio del Nord Stream tutta quest’ansia di raccontare la verità non sembra vi sia stata, se non, a due anni di distanza, con il facile e indolore mea culpa di Rampini (“Nord Stream, la menzogna dell’Ucraina è una lezione per noi”, Federico Rampini 16 agosto 2024).

Stefania Battistini e Simone Traini

Il giornalismo dell’aria fritta  

E cosa hanno documentato di così vitale la Battistini e il suo collega Simone Traini, tanto da sfidare le leggi russe? (salvo poi essere rimpatriati in fretta e furia). Cosa abbiamo appreso di così cruciale? Niente, se non il successo della spettacolare incursione in territorio russo e la cattura di un gruppo di soldati ragazzini russi.

Inoltre, dal momento che erano così assetati di verità, perché l’eroina Battistini, i suoi colleghi e il giornalista inglese, non hanno anche detto che i militari non erano proprio ucraini, ma americani e occidentali mercenari con armi e tanks inglesi?

Perché non hanno detto che l’azione era solo un diversivo per convincere i Russi a delocalizzare una parte delle truppe che stavano avanzando nel Donbass per difendere la regione di Kursk? (“Putin ha adesso un dilemma” aveva, infatti, detto Biden). Quindi, una trappola con amplificazione dei media che, come si è visto, non ha funzionato perché i russi hanno continuato l’avanzata nel Donbass.

Dunque, si, caro Giulietti, al di là delle dovute difese d’ufficio, la notizia di oggi è un’altra. È che Ilaria Alpi e il cameraman Miran Hrovatin sono morti di nuovo. E sono morti di nuovo perché, al contrario della Battistini e del cameraman Simone Traini, non avevano, evidentemente, le autorizzazioni giuste, né le luci delle telecamere autorizzate, né la copertura italiana adeguata, e forse non avevano nemmeno capelli biondi e il sorriso giusto necessari per la pubblicità-progresso. Il confronto della storia, a volte, è impietoso  e crudele.

Probabilmente ha ragione Orioles: “Sarebbe bene che anche coloro che – notabilarmente – tengono i registri del “giornalismo” comincino a riflettere un po’ su queste cose. Mi riferisco all’Ordine dei giornalisti e alla Federazione della stampa. Sono dei club simpatici, che hanno avuto una loro funzione ai tempi del giornalismo antico. Adesso, però, debbono decidere se vogliono continuare a occuparsi di giornalismo o no” (Riccardo Orioles – Giornalismo. La scuola di Enzo Baldoni).

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Una risposta

  1. Quando un giornalista si deve uniformare a ciò che desidera sia scritto il proprietario della testata ha due cose solo da fare: Andarsene, la sua dignità la impone, oppure si piega perché di dignità, non ne ha nemmeno un grammo, e la Informazione subisce il danno doppio, il cittadino viene disinformato e la verità ricostruita, non sarà mai adoperata perché ognuno si possa fare un proprio concetto, una propria opinione. Vivere nella incertezza e nella disinformazione ci rende deboli e indifesi, e qua il potere manifesta tutta la sua potenza e strategia per il controllo delle menti. Poi se stiamo seduti e il mondo che vediamo passa guardando il telefonino e la TV, se non si ha la voglia e si accetta ciò che ci propinano come dei lobotomizzati anziché reagire, il peggio aumenterà, sempre più.
    G. B.

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