Così come il Natale è l’occasione dei cinepanettoni, gli anniversari sono una buona occasione, oltre che per i rituali convegni, anche per pubblicare e vendere qualche libro d’occasione approfittando dell’onda mediatica della memoria data dalla ricorrenza. Perfino, autorizza qualcuno, come nel caso di Berlinguer, a legittimarsi come storico e biografo per il semplice fatto di aver sposato una delle figlie. Tantopiù che Solferino, l’editore dei libri su Berlinguer firmati da Telese, è una casa editrice del Gruppo RCS Media, un gruppo controllato da CAIRO COMMUNICATION S.P.A. per il 59,69 %, da cui dipende anche la 7 in cui Telese lavora. Tutto casa e famiglia, verrebbe da dire. Non è uno scandalo, anche questa è ormai una consuetudine di un mondo in cui gli addetti all’informazione se la suonano e se la cantano.
Il peso della memoria
Ma, al di là delle commemorazioni di rito e degli opportunismi di mercato, il valore dei morti, la loro memoria, è testimoniato dal destino dell’eredità che lasciano, dai valori e dalle idee che sopravvivono. Nel caso di Berlinguer quasi nulla è sopravvissuto a lui, a cominciare dal Partito che aveva diretto, per continuare con l’eurocomunismo e per finire con la classe operaia e la vagheggiata questione morale sollecitata in una famosa intervista a Scalfari. Come tutta la sinistra italiana, Berlinguer ha perso tutto ciò che c’era da perdere, con l’aggravante che alcune di queste perdite sono state determinate proprio da lui e dal suo gruppo dirigente. Quindi, non era un cavaliere senza macchia e senza paura.
Ma non è questa la sede per fare un’ analisi sul PCI o sulla direzione politica di Berlinguer, che meriterebbe ben altro spazio.
Memorie e coerenze
Qui il tema è la memoria. O meglio, gli anniversari della morte e la perdita di memoria, da parte dei figli e dei parenti dei leader storici di partito, ma anche dei Generali inviati a contrastare la mafia senza poteri e senza scorta, o la perdita di memoria relativa a quei giudici che sono stati uccisi a Palermo
Senza entrare nel merito di ognuno di questi lasciti, tuttavia, queste morti imponevano alcune coerenze in coloro che sono i “figli d’arte”, diciamo così.
E. quindi. non è così irrilevante che qualcuno di essi abbia deciso di accettare il lavoro in Mediaset, così come non è insignificante che qualcun’altro abbia accettato di candidarsi e di essere eletto in Forza Italia, tantomeno può essere di poco conto condividere la commemorazione della strage di Capaci con l’attuale sindaco di Palermo che, in Giunta, è appoggiato da Cuffaro e Dell’Utri.
Proprio su quest’ultima vicenda, Salvatore Borsellino, riferendosi a Maria Falcone, aveva affermato: “Questa è una persona che, secondo me, ha scelto una strada sbagliata per commemorare suo fratello. All’inizio, mi ricordo, quando c’è stata l’elezione di Lagalla a Palermo, lei aveva detto che non lo approvava per il fatto che non avesse denunciato l’appoggio di Dell’Utri e di Cuffaro alla sua elezione. Poi, l’anno scorso, l’ha chiamato sul palco per la manifestazione del 23 maggio, quella in cui sono stati manganellati i giovani per impedirgli di arrivare al palco dove c’era Lagalla. Adesso ha aderito a questa manifestazione dell’Agenzia della Gioventù, dove c’è questo cosiddetto ‘Museo del Presente’ per il quale sono stati buttati centinaia di migliaia di euro”.
Salvatore Borsellino alludeva ai finanziamenti destinati alla Fondazione, in particolare al fatto che i contributi impedirebbero una effettiva autonomia. In effetti, se il 6 febbraio del 2023 la “Fondazione Falcone” riceve una prima tranche di un finanziamento (perciò, se ne attende almeno una seconda) di liberalità per 126.000 euro, direttamente dalla Presidenza del Consiglio, sembra inevitabile, tre mesi dopo, dover chiamare sul palco il sindaco di centro destra. Dell’Utri o non Dell’Utri.
Libere scelte
Ora, se queste scelte disinvolte si compiono senza esitazioni, la prima considerazione da fare è che, evidentemente, tutto questo grande valore, le idee e il lascito dei padri e dei fratelli, la loro memoria, non l’avevano. Tuttavia, la storia non sempre la si può archiviare semplicemente girando pagina e pensando di poter scrivere su una “Carta bianca”. Infatti, costoro hanno sottovalutato il fatto che le scelte e i comportamenti da loro assunti avrebbero avuto conseguenze.
La prima, di natura politica
Se i figli fanno scelte disinvolte, per quanto umanamente comprensibili e professionalmente legittime, lanciano un messaggio. E il messaggio è questo: si può fare, non c’è niente di male. Liberi tutti.
Naturalmente, è evidente che tutto si possa fare; ma bisogna anche sapere che questa leggerezza è una pugnalata al cuore per tutti quei giovani che animano le battaglie dell’antimafia sociale e che ripetono da anni “fuori la mafia dallo Stato”, nonché che questo isola ed espone al rischio i Giudici che si ostinano a rigettare la sentenza del processo Stato-Mafia. Ma soprattutto, non sono proprio in linea con le ragioni che Falcone e Borsellino rappresentavano e per cui sono stati uccisi. Queste, e leggerezze simili a queste, inoltre, feriscono a morte quei lavoratori che avevano operato da volontari, per anni, insieme a mogli e figli alle feste dell’Unità, che avevano tolto i pochi soldi che avevano alle famiglie per pagare la tessera di partito o del sindacato, che avevano sottratto il poco tempo libero per distribuire l’Unità, per riunioni di partito, per volantinaggi ai comizi.
Il disincanto silenzioso
Tutti questi lavoratori, o la maggior parte di essi, tacciono. Tacciono, ma hanno visto, hanno preso atto e si sono detti che, dunque, era stato tutto inutile, che avevano solo perso anni e rinunciato a momenti privati o ad opportunità di carriera, per niente. Alcuni di loro si saranno perfino sentiti umiliati di come la loro vita, misurata dalla cruda disinvoltura dei figli d’arte, valesse poco, o non valesse proprio niente, e così hanno deciso che non si sarebbero mai più occupati di politica, di antimafia e non sarebbero mai più andati a votare. Altri hanno preso atto e si sono adeguati. Se si può cambiare idea e accettare scelte contraddittorie rispetto alla storia che rappresentano, se si dà l’esempio, se si possono accettare insidiose aderenze politiche o professionali senza dare scandalo da parte dei figli, perché mai ci si dovrebbe rammaricare o, come si potrebbero biasimare i portuali di Genova o i lavoratori del Lingotto, Porto Gruaro, Dalmine, porto Marghera, Taranto che dovessero decidere di votare lega? Non si promettono rivoluzioni o altri mondi possibili, ma almeno qualcuno dice di difenderli e di aiutarli se devono condonare qualche piccolo abuso edilizio o se devono partecipare, evitando la gara, ad un subappalto con la loro ditta individuale, che hanno messo su quando sono andati in pensione o quando la fabbrica ha chiuso.
Se ognuno può cogliere legittimamente le opportunità che si presentano, perché poi deprecare l’illegalità delle famiglie dello Zen o dello Sperone di Palermo? Anche loro colgono le occasioni che si presentano, con la differenza che non possono scegliere.
Riguardo alla lotta alla mafia, invece, la conseguenza è stata quella di accentuare una spaccatura tra società civile e Stato che è ormai insanabile, con manifestazioni e cortei per le strade, da un lato, e con commemorazioni al chiuso del “museo del presente” riservato alle istituzioni, dall’altro.
La conseguenza dei figli che cambiano idea, dunque, è anche quella di un Paese che si sente legittimato a scelte contraddittorie con altrettanta disinvoltura. Finale: il Paese è governato dalla Destra e dalla Lega.
La seconda conseguenza è di ordine etico e rinvia al cedimento culturale o, comunque, ad una certa leggerezza esistenziale. La diffusione di questi esempi, piaccia o no, fa scuola e contribuisce all’adozione di un codice di disinvoltura sociale di vario genere fino a normalizzare comportamenti spregiudicati o, peggio ancora, corruttivi o di concussione (“Pagavo tutti”, Spinelli) e al convincimento che, tutto sommato, queste devianze non siano così gravi o così inaccettabili, essendo diffuse.
L’effetto valanga
La disinvoltura, prima che diventi spregiudicatezza e, nei casi estremi, corruzione, non individua alcun reato e, dunque, non evidenzia una questione legale, piuttosto pone una questione morale. Tuttavia, la questione morale è connessa alla questione legale perché la disinvoltura etica, quando rotola a valle come una slavina, lungo la discesa, si ingrossa e, alla fine, diventa qualcos’altro. La deriva sociale di massa, perciò, non è altro che il tratto finale di una disinvoltura avviata a monte da piccoli cedimenti singolari, piccoli, ma significativi ed emblematici.
Tutto il resto è noia
Non si intende qui criminalizzare niente e nessuno, ma non ci si può limitare a vedere sempre e solo la parte finale del film. Bisogna pur poter dire che c’è un’origine delle cose in cui inizialmente non si commette alcun reato, semplicemente si viene meno ad un certo rispetto, ad un certo rigore, si viene meno ad una responsabilità, ad una coerenza, a una memoria, a una storia, ed è qui che si entra in quel territorio in cui ci si libera dei vincoli morali e ci si dice che si può fare, che, in fondo, non c’è niente di male. È in questo cedimento etico che ha inizio la caduta, quando ci si convince che, in quest’epoca di iper-liberismo, tutto è merce e mercato e che la questione morale, tanto cara a Berlinguer, è solo una parola senza peso e senza valore perché l’unico valore, l’unico peso, è quello che stabilisce il mercato quando registra il successo professionale o l’avvenuta elezione in Parlamento. Tutto il resto è noia, diceva Califano.
L’eliminazione dell’altro
Tutto il resto….
Nell’epoca del liberismo economico, in un ambiente-mercato, si è solo merce, peraltro riconosciuta come tale solo se si ha mercato. Questa si chiama educazione.
Inoltre, sempre in questa logica di mercato in cui quello che conta è dominare, chiunque altro avesse opinioni, comportamenti alternativi o anticonformisti, verrà escluso dal mercato, stigmatizzato e denigrato, innanzitutto attraverso il linguaggio.
Così, la difesa dell’interesse pubblico e dello Stato, diventa statalismo, la questione morale diventa moralismo e la ricerca di giustizia, giustizialismo. Risultato: silenzio, ma anche distanza e perfino assenza. Questo, invece, si chiama disincanto.
Una risposta
Analisi chiara e rigorosa, come tutte le altre di Victor Matteucci: scava nella realtà con inesorabile precisione, fino ad arrivare alle origini della questione. La questione morale non è lontana da ciascuno di noi: è fatta di “piccoli singoli cedimenti” e deviazioni da una coerenza di fondo alle proprie idee…Questa, come le altre, è un’analisi illuminante! Essere coerenti è il nocciolo della faccenda