Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

L’Occidente e la Guerra

Il giardino, la giungla e i nemici alle porte. L’Occidente costruisce la narrazione utile per la guerra. Le nuove crociate sono necessarie per liberare vecchie e nuove terre sante. Intanto, difendiamo i confini, arrivano i turchi (nuovi), gli immigrati

di Victor Matteucci

Una lezione di onestà storica è urgente per le nuove generazioni, aiuta a ricostruire la nostra autostima e a vedere il futuro con più fiducia”. Questa frase accompagna l’uscita del libro di Federico Rampini, Mondadori editore, sul sito web Feltrinelli. Titolo: Grazie Occidentesottotitolo:Tutto il bene che abbiamo fatto”.

Una retorica che ci riporta indietro negli anni, quando il colonialismo era spiegato come atti di pura generosità per portare la civiltà e il progresso in Africa, in India e nel resto del mondo, e non per depredarli delle risorse e dei giacimenti, come qualcuno si ostina a ripetere. Infatti, l’amputazione delle mani dei braccianti nativi del Congo belga quando essi non raggiungevano una determinata quantità di raccolta del caucciù, era solo per educarli alla civiltà. Chi si rifiutava, o consegnava quantità di caucciù minori di quelle richieste, era punito duramente, fino alla mutilazione: gli veniva tagliata una mano o un piede; alle donne, le mammelle. Contro i ribelli si ricorreva all’assassinio, a spedizioni punitive, distruzioni di villaggi, alla presa in ostaggio delle donne. L’uccisione e la mutilazione di milioni di persone (secondo calcoli attendibili, nell’arco di un ventennio morirono circa dieci milioni di persone) era, dunque, necessaria per il  loro progresso e coloro che ancora oggi imbrattano settimanalmente la statua di Leopoldo II a Bruxelles sono solo degli ingrati incivili.

Grazie, Occidente!

La presentazione del libro di Rampini prosegue con queste parole: “È ora che qualcuno lo dica: «Grazie,  Occidente!». Ma sono due parole che non incontrerete altrove. Tutto il bene che abbiamo fatto, a noi stessi e agli altri, è il supremo tabù di questa epoca. Nelle scuole non si insegna più la storia vera del progresso, che è nato a casa nostra e dove ha avuto un ruolo anche l’Italia. Invece nelle piazze e nella cultura contemporanea siamo sotto un processo permanente. È ora di ribellarsi, in nome della verità. Cinesi o indiani, brasiliani o africani, il mondo è popolato da miliardi di persone che devono la loro stessa esistenza a noi. La scienza in Occidente, pensiamo alla nostra medicina e alla nostra agronomia, è stata copiata e applicata dal resto dell’umanità con benefici immensi. Se la longevità è aumentata, la mortalità infantile è crollata, il livello d’istruzione è cresciuto nel mondo intero, è perché l’Occidente ha esportato progresso. Dove si combatte per migliorare i diritti umani – per esempio la condizione della donna – il paradigma da emulare siamo noi. Il nostro modello industriale ha sollevato dalla miseria grandi nazioni.”

Il ritorno a “faccetta nera”

Non si può in effetti negare che l’Occidente detenga un primato tecnologico e che in virtù di una logica del profitto possa destinare una parte del capitale in investimenti di risorse umane e materiali per la ricerca e l’innovazione, da cui, uno sviluppo di merci e servizi e una conseguente crescita culturale. Ma raccontare di questa innovazione e di questa capacità tecnologica, omettendo di spiegare che essa deriva dal dominio del mercato con il quale si determina uno squilibrato valore del lavoro e delle risorse e che ciò, inevitabilmente, produce sviluppo e sottosviluppo, significa distorcere la realtà. O essere ignoranti.

Così come, asserire che questa superiorità sia stata messa a disposizione e, anzi, sia al servizio del resto del mondo, negando, invece, che in realtà essa fosse destinata a determinare la dipendenza del resto del mondo e a sfruttarne uomini e risorse, è come compiacersi di raccontare una storia fantastica in cui si cancellano con un colpo di spugna secoli di colonialismi, schiavitù e genocidi. Una mistificazione, quella dell’“esportazione del progresso”, che soltanto il fascismo aveva avuto il coraggio di fare esattamente un secolo fa, quando obbligava a cantare “Moretta che sei schiava tra le schiave – Vedrai come in un sogno tante navi- E un tricolore sventolar per te – Faccetta nera, bell’abissina – Aspetta e spera che già l’ora si avvicina- Quando staremo vicino a te- Noi te daremo un’altra legge e un altro Re…”

Ma se qualcuno lo fa oggi, nel XXI secolo, questo non è solo inaccettabile, è anche ripugnante.

La deriva etico-culturale degli intellettuali conformisti in Occidente

Un tale libro che annuncia “l’ora di ribellarsi, in nome della verità”, che non si fa scrupolo di avallare una versione della storia falsa e paternalistica, esprime piuttosto la deriva personale e culturale dell’autore; un giornalista che, in bretelle (non è un eufemismo), e senza il minimo imbarazzo, fa il verso a Larry King, il conduttore di un famoso talk show americano; ormai Rampini è nello show business dove ha imparato che lo spettacolo è tutto, anche quando “sotto il vestito… niente”. Ma aveva iniziato la sua attività nel 1977 a «Città futura», settimanale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI), quando era segretario Massimo D’Alema e dal 1979 era stato in «Rinascita», giornale che abbandonò nel 1982 dopo avervi pubblicato un’inchiesta sulla corruzione in seno al PCI, virando, in seguito, quando il vento era cambiato, come molti altri giornalisti pentiti, in direzione de «Il Sole 24 Ore» e di « Repubblica».

Nemico in vista: sollevare il ponte levatoio e chiudere le porte dell’Occidente

Un libro che, tuttavia, è utile a fotografare anche, in modo perfetto, l’attuale deriva dell’Occidente; una intolleranza che cresce a vista d’occhio e che, come accade in ogni fase che prepara la guerra, polarizza le idee, serra le opinioni e detta le rigide linee della propaganda. Rampini non è un caso isolato, anzi, è il meno inquietante. Questo clima di deriva culturale dell’Occidente, da cui trasuda l’involuzione drammatica che stiamo attraversando, lo si deduce, infatti, anche da altri segnali sparsi, per esempio, dalle frasi sintomatiche di Borrell, l’Alto rappresentante esteri Ue: “Noi un giardino, il resto del mondo, una giungla”.

Una frase espressa nell’ambito di un discorso più articolato che vale la pena citare, e in cui Borrell affermava: “L’Europa è un giardino” nel quale “tutto funziona”. È la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità è stata in grado di costruire. Il resto del mondo non è esattamente un giardino. La maggior parte del resto del mondo è una giungla e la giungla potrebbe invadere il giardino”. Quindi, l’Alto rappresentante aveva aggiunto. “I giardinieri dovrebbero occuparsene, ma non proteggeranno il giardino costruendo muri. Un bel giardinetto circondato da alte mura per impedire l’ingresso della giungla non sarà una soluzione perché la giungla ha una forte capacità di crescita e il muro non sarà mai abbastanza alto per proteggere il giardino. I giardinieri devono andare nella giungla”. E dunque “gli europei devono essere molto più coinvolti con il resto del mondo” altrimenti quest’ultimo “ci invaderà, in modi e mezzi diversi” (18 ottobre 2022).

Non si tratta di un’uscita estemporanea, dovuta all’età o a presunti motivi di salute dell’autore, come qualcuno aveva commentato a caldo, perché le stesse parole sono state ripetute di recente da Mario Draghi in occasione della pubblicazione del suo report sulla competitività (“Noi siamo un giardino, ma fuori c’è la giungla. L’Europa deve essere padrona del proprio destino” (intervista rilasciata al Direttore del “Corriere”, 12 settembre 2024). Piuttosto, dunque, questa è una linea da seguire, così come il libro di Rampini suggerisce.

Inoltre, tutto questo ha una sua coerenza da cui non si sfugge. Infatti, alcuni mesi prima dell’uscita di Draghi, In un’intervista all’Economist, il segretario NATO, Stoltenberg, aveva, a sua volta, affermato che fosse arrivato il momento di valutare se rimuovere le restrizioni e consentire all’Ucraina di utilizzare i sistemi d’arma per colpire anche obiettivi militari in territorio russo. In precedenza, anche Macron aveva dichiarato di non escludere l’invio di truppe NATO nel conflitto  russo-ucraino.

Nelle prime settimane di settembre, gli USA e la Gran Bretagna hanno avuto un incontro su questo tema della rimozione dei limiti all’utilizzo di armi inviate a Kiev (di fatto già rimossi) e sulla possibilità di colpire il territorio russo con modalità di alta precisione attraverso l’uso dei satelliti occidentali e personale NATO. Ma la risposta di Putin, secondo il quale, una tale decisione equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra da parte della Nato e che la Russia avrebbe reagito di conseguenza, ha prodotto, per il momento, l’immediato dietro front di USA, Gran Bretagna e Germania. (14 settembre 2024)

Al di là dei ripensamenti e dei legittimi dubbi sull’opportunità di scatenare una guerra nucleare, in cui l’Europa sarebbe il teatro privilegiato, ma che potrebbe coinvolgere il Medio Oriente e, perfino, l’area del Pacifico, la guerra sembra una prospettiva irrinunciabile. Infatti, Zelensky, che sogna, giorno e notte, l’ampliamento del conflitto a tutto l’Occidente, in modo da inserire la questione Ucraina in un conflitto, non più regionale, ma mondiale, ha immediatamente commentato: “Servono decisioni forti” (16 settembre 2024)

Saranno solo parole sue?

Questa tendenza, d’altra parte, la possiamo rilevare fedelmente anche in Medio Oriente dove, lo Stato israeliano, incurante delle risoluzioni ONU, delle sentenze dell’AIA e degli inviti americani alla moderazione e ad una tregua (almeno a parole), tira dritto tanto che Netanyahu ha già annunciato che “l’esercito israeliano deve prepararsi a rimettere ordine in Libano” e, anzi, a questo scopo, ha inviato volantini dagli aerei per ordinare alla popolazione del sud del Libano di evacuare i villaggi, così come aveva fatto a Gaza prima radere al suolo la Striscia e di produrre 40.000 morti civili senza che nessuno l’avesse impedito.

Parole d’ordine per l’attacco: la rabbia e l’orgoglio

Sono tutte frasi e posizioni che rimandano, e non è un caso, a una visione bellicista che 23 anni fa avrebbe giustificato l’inizio della guerra globale al terrorismo, visione di cui si era fatta portatrice, nel 2001, Oriana Fallaci che, nella sua esaltata e autoreferenziale prefazione a “La Rabbia e l’orgoglio“, subito dopo l’attentato alle torri gemelli a New York, aveva scritto:

L’odio  per l’Occidente cresce. Si gonfia come un fuoco alimentato dal vento (…) Chi non se ne è accorto guardi e immagini che ogni giorno ci porta la televisione (!!!). Il vero protagonista di questa guerra non  è lui (Bin Laden). Non è neanche il Pese che di volta in volta lo ospita. Il vero protagonista è la montagna. Quella montagna che da millequattrocento anni non si muove, non esce dagli abissi della sua cecità, non apre e porte alle conquiste compiute dalla civiltà, non vuol saperne di libertà e giustizia e democrazia e progresso (…). Guerra avete voluto, guerra volete? Per quel che mi riguarda, che guerra sia, fino all’ultimo fiato.”

Il clima di guerra che incalza in effetti in Occidente è alimentato giorno dopo giorno da una retorica che trova continui pretesti e nuovi nemici. Come nel 2001, siamo di nuovo alla vigilia di una nuova guerra globale, il clima dei preparativi  è lo stesso. Ma i nemici sono diversi, e questa volta non così lontani e irrilevanti come l’Iraq, il Pakistan o l’Afghanistan.

Parole d’ordine per la difesa:  presidiare i confini delle Nazioni

Al processo Open Arms, in corso in Italia, a Palermo,  dove il ministro Salvini era inquisito per sequestro di persona e per omissione e rifiuto di atti d’ufficio, la difesa puntava su un concetto chiave: la decisione del Ministro era un’azione politica tesa a difendere i confini della Nazione dagli immigrati che intendevano invaderla. I fatti si riferiscono all’agosto del 2019, quando, l’allora ministro dell’Interno impedì alla nave dell’ong spagnola di attraccare in un porto italiano, tenendola bloccata in mare per 19 giorni costringendo gli oltre 150 naufraghi, tra cui donne e bambini, molti dei quali con urgente esigenza di cure mediche, ad una situazione al limite della sopravvivenza, in cui anche l’acqua e il cibo determinarono una situazione di emergenza.

La procura di Palermo sabato 14 settembre 2024  ha chiesto 6 anni di carcere per Salvini che non era in aula e che ha pubblicato sui suoi profili social una difesa di 3 minuti e 49 secondi in cui ripercorre la vicenda e ribadisce la sua versione dei fatti, e cioè di aver agito per «difendere i confini» nazionali, inquadrando l’arrivo di circa 150 migranti e futuri richiedenti asilo nella cornice tipica dell’estrema destra europea, cioè come una minaccia alla sicurezza nazionale. Domenica 15 settembre è tornato sul tema condividendo sempre sui social una grafica con la didascalia: «Mi dichiaro colpevole di aver difeso l’Italia».

La richiesta della Procura è arrivata dopo una lunga e dura requisitoria. ” Salvini ha violato i confini del Diritto” e ancora: “prima della difesa dei confini c’è la difesa dei diritti umani”

La procuratrice aggiunta Marzia Sabella ha precisato, infatti, che «le convenzioni internazionali sono chiarissime» e che «non si può chiamare in causa la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare. Ecco perché i migranti andavano soccorsi, concedendo subito un porto sicuro». L’udienza dedicata all’arringa della difesa, che verrà fatta dall’avvocata Giulia Bongiorno, è stata fissata per il 18 ottobre prossimo.

Nel frattempo, per alimentare questo clima persecutorio, lunedi 16 settembre, la Lega ha convocato d’urgenza il consiglio federale, non prima di aver incassato la solidarietà di Elon Musk ( “il giudice è pazzo e dovrebbe essere lui arrestato”) e della Meloni, secondo la quale “è incredibile che un Ministro della Repubblica Italiana rischi 6 anni di carcere per aver svolto il proprio lavoro difendendo i confini della Nazione, così come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini”, perché “trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo. La mia totale solidarietà al Ministro Salvini”.

Nessun dorma

Nonostante l’evidenza dei reati ascritti a Salvini, l’attuale clima di guerra in Occidente fa sì che Salvini non sia così isolato come il buon senso indurrebbe a credere.

Qualche giorno fa, sollevando di nuovo il tema dei migranti e la necessità del muro con il Messico, Trump ha dichiarato: “Chiamatemi il presidente del confine”.

Intanto, il primo Ministro Inglese, Starmer, laburista, in visita in Italia, ha affermato che è interessato, dopo il fallimento del piano inglese “Ruanda”, al piano italiano per i rifugiati da deportare in Albania; Il cancelliere Scholz, a sua volta, ha dichiarato la chiusura delle frontiere tedesche e una selezione dell’immigrazione, mentre i Land chiedevano addirittura la sospensione integrale di Schengen e il respingimento ai confini. Intanto, L’Olanda e la Svezia, così come l’Ungheria, hanno già chiesto all’Europa di uscire dal patto sui migranti approvato di recente.

Il déjà-vu e il punto di non ritorno

Tutte queste posizioni individuano nemici invasori e rivelano, nel linguaggio e nelle iniziative, un ostinato e coerente disegno di intervento e di difesa. Anche il cosiddetto nuovo Piano Marshall di Draghi da 800 miliardi l’anno, reperibili tramite l’indebitamento  Ue e l’emissione di Eurobond, è funzionale a questa idea. L’obiettivo, è evidente, ed è quello di poter, da un lato, finanziare gli investimenti di riarmo europeo (perché sarà l’Europa a combattere la guerra americana), dall’altro, il II Piano Marshall evocato da Draghi, servirà come fondo per la ricostruzione. Infatti, le ripetute riunioni in Ucraina dimostrano non solo che la guerra e il suo ampliamento siano inevitabili ma che si sta già pensando a come finanziare la sua escalation e perfino si fanno i conti su quale sarà il business che sarà estratto, con la ricostruzione (per le imprese) e con gli interessi sul debito (per le banche e i fondi finanziari). È la famosa Shock economy, così come l’aveva definita Noemi Klein. Non è un caso, infatti, che vi sia stata la ripartizione dell’Ucraina in aree (lotti) di ricostruzione già appaltate ai vari Paesi Europei, né un caso che l’ex Presidente di Confindustria, Bonomi, abbia già svolto una missione su questo tema in Ucraina per garantire gli interessi italiani. (20 giugno 2022)

Dando per scontato l’esito, sembra che tutto sia stato già deciso, perfino il cronogramma del giorno dopo sembra essere stato pianificato, come in Iraq, quando dovevamo distruggere, per la sicurezza mondiale, il famoso arsenale chimico di Saddam Hussein, di cui Blair e Cheney garantivano l’esistenza, salvo poi lasciare all’agenzia privata Blackwater Worldwide, il lavoro sporco (16 settembre 2007, Baghdad’s Bloody Sunday, solo per ricordare un episodio), naturalmente con il sostegno e il coinvolgimento proprio del segretario alla difesa Dick Cheney, lo stesso che giurava sulle armi chimiche in Iraq (Blackwater, di Jeremy Scahill, Nation Book – New York 2007).

Nel frattempo, l’esercito di giornalisti come Rampini, sull’esempio della Fallaci, sono chiamati di nuovo ad occuparsi di preparare e orientare l’opinione pubblica alla rabbia (per l’ingratitudine) degli altri e all’orgoglio (per risollevare l’autostima), la propria.

Una storia già vista, un déjà-vu, come dicono i francesi, ma questa volta siamo vicini al punto di non ritorno. 

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