Quest’anno, in occasione del 400° anniversario del miracolo della Santuzza, la città è stata animata da numerosi eventi dedicati a Santa Rosalia, la fanciulla che, pur appartenendo alla nobiltà, si ribellò alla volontà paterna e, rinunciando ai suoi privilegi, si dedicò alla vita religiosa come eremita.
Tra le varie celebrazioni, al Circolo del Tennis, a Villa Airoldi, è stato presentato il libro di Roberto Tagliavia intitolato Rosalia da Palermo (Laurana editore). Sebbene si tratti di un’opera di fantasia, il testo colpisce profondamente. Scopriamo il perché anche attraverso alcuni stralci.
Per giungere dal Palazzo fino alla cattedrale, torreggiante sulla riva opposta, il percorso scendeva verso un ponticello per risalire, oltre gli argini del fiume carichi di papiri, con un lungo e stretto tornante sull’altra sponda fino alla loggia dell’incoronazione e finalmente, appena oltre, all’ingresso del duomo, sotto i due archi di collegamento tra il campanile e il Palazzo del Vescovo.
Una trama intrisa di storia, quella di Rosalia
È il 1624, la città di Palermo è ammorbata dalla peste. La situazione sta diventando ingestibile sia dal lato sanitario che politico. Don Ferdinando, esponente del Consiglio della Corona, capisce che solo un “miracolo” potrà salvare tutto e tutti.
Durante quei giorni, un saponaro, tale Vincenzo Bonelli, deciso a suicidarsi (la moglie è morta di peste), vive un evento straordinario sul Monte Ercta: incontra una fanciulla di nobili sembianze che gli predice, in sintesi, che anch’egli morirà di peste, ma qualcuno ha ancora bisogno di lui. La ragazza sparisce all’interno di una grotta. Bonelli, pur avendola seguita, non riesce più a trovarla.
In città, da ben cinque secoli, si tramanda la storia di una fanciulla, Rosalia figlia del nobile Sinibaldi, che abbandonò gli agi del suo stato per vivere la vita religiosa da eremita, proprio sul Monte Ercta. Di questa leggenda è al corrente donna Sciascià. Don Ferdinando, deciso a capire cosa ci sia di vero, si reca da Bonelli e donna Sciascià per ascoltare la loro narrazione.
Fluida e accattivante la scrittura
Il romanzo, interessante fin dalla prefazione, è sostanzialmente costituito da una prima parte in cui vengono presentati la città di Palermo afflitta dalla peste e il suo personaggio principale, don Ferdinando, e da un lunghissimo flashback in cui l’autore racconta la storia, del tutto romanzata, della nobile fanciulla Rosalia Sinibaldi. Sebbene l’intreccio sia di pura invenzione, il contesto storico è molto fedele: veri sono i nomi della nobiltà, e Bonelli, il personaggio che ebbe la visione di Rosalia e che di fatto portò al ritrovamento delle ossa, è realmente esistito. La scrittura è fluida e accattivante. Gli intrighi di potere e le debolezze umane sono ben descritti e contestualizzati. Molta attenzione è stata dedicata al lessico; il lettore non avrà alcuna difficoltà a immergersi nell’atmosfera opprimente della città ammorbata dall’epidemia grazie all’uso di termini come “vespro intriso di calure palermitane” o “caligine di fumi biancastri”. L’alternanza di azioni e riflessioni rende la lettura vivace, e le 400 pagine scorrono gradevolmente, senza alcuna difficoltà.
Tagliavia, inoltre, ci mostra il personaggio di Rosalia nelle vesti di una donna libera, decisa a vivere la sua vita senza sottomettersi alla volontà del padre, e ancor meno alla cultura del tempo (oserei dire un virgulto di emancipazione femminile). Sono belle le descrizioni della Palermo che fu, le residenze degli emiri, i fiumi… vengono citati perfino i bagni arabi di Cefalà Diana. Si ha la sensazione che l’autore non abbia davvero tralasciato nulla, perfino il rituale antico dell’ascolto delle voci.
Qui la natura era stata aiutata dai sapienti agricoltori arabi a usare appieno le risorse idriche e, seppure aveva ripreso possesso selvaggio dei propri spazi, non mancava di rivelare i segni dell’antica cura: quadrati di alberi d’arancio e di limone, di loto e di ulivi si alternavano a palme e ippocastani, a cedri del Libano e a pioppi, o ad altri arbusti più continentali. Macchie di ginestre gialle spiccavano qua e là insieme a gelsomini pronti alla fioritura e a cascate di edera e promesse d’uva. Era la riserva di caccia più prossima alla città; incuneandosi nel canale del torrente Boccadifalco, risaliva verso il Monte Pietroso e la piccola conca di San Martino, interamente coperta da boschi di querce da sughero, pini d’Aleppo e altre conifere e castagni. Era una valle incantata dall’aspetto nordico, collocata come uno smeraldo di verde cupo tra quelle montagne che, intorno alla città, andavano progressivamente perdendo la copertura d’alberi, residuo delle ultime propaggini dell’antica foresta Partenia.
Un testo coinvolgente che riporta alla luce un difficile periodo storico e sollecita il lettore a fare ricerche; io stessa ero in errore! Pensavo che la peste debellata dal medico Ingrassia fosse la stessa del miracolo di Santa Rosalia (e che entrambi avessero contribuito al miracolo), invece quella del miracolo della Santuzza si manifestò 50 anni dopo. Un libro, Rosalia, che “bacchetta” un certo tipo di religioso (e religiosità) e una politica fatta di raggiri e comodi propri.
Non solo una narrazione avvincente
Rosalia è senza ombra di dubbio anche un prezioso strumento per approfondire un momento cruciale della storia di Palermo. Attraverso un abile intreccio tra realtà storica e finzione, l’autore riesce a trasportare il lettore in un’epoca di profonde crisi e trasformazioni, rendendo vividi personaggi e atmosfere. Il lavoro di ricerca e l’attenzione ai dettagli, uniti a una prosa scorrevole e ricca di suggestioni, conferiscono al libro un valore culturale e letterario di rilievo. Un’opera che merita di essere letta, non solo per la qualità narrativa, ma anche per la capacità di stimolare riflessioni sulla storia, la fede e l’umanità.
“Non ho molto tempo, ma ti prometto che ogni sera, prima di coricarmi, verrò a trovarti. Potremo parlare in assoluta libertà e franchezza e sarà mia cura spiegarti tutte le cose che una donna del tuo rango deve sapere. Su di te io e tuo zio abbiamo grandi progetti e faremo di te uno dei migliori partiti che i nobili dei regni vicini possano desiderare. Dormi tranquilla, sei in buone mani”. Rosalia, vista chiudere la porta e sentito allontanarsi il siniscalco si rizzò sul letto, ormai incapace di dormire, in preda a una rabbia incontenibile. La urtava la sicumera di quell’uomo che rivelava senza pudore l’essenzialità di un disegno di potere tutto maschile, d’uomini per uomini, di cui lei doveva essere il docile strumento. Quale tenace convinzione di agire per il meglio! Quale inflessibile capacità di tirare dritto senza ascoltare, senza capire. Lei non esisteva come persona! Lei, con le sue ansie, con i suoi desideri, con la sua passione, con le sue speranze, con la sua intelligenza, semplicemente non c’era. Quell’uomo capiva e vedeva solo la società degli uomini, i pensieri degli uomini, e il comportamento di Rosalia e il comportamento delle donne erano solo in funzione di questo: per il resto semplicemente non esistevano.