Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

La scuola americana

La strategia di guerra in Palestina e in Libano è la stessa utilizzata dagli americani in Afghanistan. Bombardamenti a tappeto e raid telecomandati con l’intelligenza artificiale, evitando la guerra di terra e compiendo continue stragi di civili. Nei due conflitti vi sono anche interessi economici simili. Naturalmente, in questi casi è necessario un buon pretesto. Siamo certi che il Mossad fosse all’oscuro del tentativo di Hamas, lo scorso 7 ottobre?

di Victor Matteucci

2001. “I morti e i feriti si contano a decine, forse a centinaia. La Croce Rossa internazionale (…) chiede l’apertura di un “corridoio umanitario” per poter evacuare e curare i feriti. Ma gli assedianti non lasciano passare le autoambulanze: il niet è così motivato: “fra i feriti potrebbero esserci anche dei talebani”.

Che ci siano è certo, ma è la prima volta, che si ricordi che viene impedito l’intervento della Croce Rossa Internazionale, il cui compito è prendersi cura dei feriti, di qualsiasi parte siano (…)

Come se non bastasse, i raid americani colpiscono il 22 febbraio tre pullmini (…). I morti sono 27, tra loro quattro donne e un bambino, dichiarano le autorità locali, specificando che le vittime sono tutte civili (Massimo Fini, pag. 138- 139 “ Il Mullah Omar 2001, Marsilio)”.

2005. “Gli americani e le forze NATO usano pochissimo le truppe di terra, si servono quasi esclusivamente di bombardieri, spesso di droni, Dardo e Predator, aerei senza equipaggio, ma armati di missili micidiali teleguidati da una base situata a Nellis nel Nevada. I pilori e i puntatori schiacciano dei pulsanti, fanno massacri, poi la sera vanno a cenare a casa loro.

Se due guerriglieri attaccano una base NATO a colpi di kalashnikov e poi si rifugiano in un villaggio vicino, gli americani non mandano fuori le truppe di terra a rastrellare, troppo pericoloso, bombardano l’intero villaggio uccidendo in prevalenza donne e bambini perché quasi tutti gli uomini validi sono a combattere in montagna (pag. 93 “Massimo Fini, Il Mullah Omar“ 2001, Marsilio)”.

Una lezione inutile

Non siamo nel 2024 e non siamo a Gaza o in Libano, ma in Afghanistan tra il 2001 e il 2006. Il conflitto non è tra Israele e Hamas o Hezbollah, ma è tra americani e truppe NATO contrapposte ai Talebani.

Tuttavia, come si potrà constatare, la descrizione del conflitto fatta da Massimo Fini nel 2011, “Il Mullah Omar”, sembra la fotocopia di quanto, 13 anni dopo, accade in Medio Oriente.

Il tentativo che fu di eliminare il Mullah Omar, bombardando a tappeto le montagne dell’Afghanistan, segue lo stesso schema utilizzato per eliminare  Nasrallah in Libano, bombardando e radendo al suolo un intero quartiere di Beirut, così come per eliminare Hezbollah si bombarda a tappeto la valle della Bekaa, provocando migliaia di vittime civili e di profughi.

Oggi, come allora, l’Occidente utilizza il vantaggio tecnologico per combattere una guerra senza combattimenti sul campo, se non quando è stato raso al suolo il territorio nemico.

Una strategia che non consente alcuna legittimazione ma, che al contrario, produce una radicalizzazione di massa e alimenta una resistenza disperata.

La conclusione di oltre 23 anni di occupazione dell’Afghanistan ha prodotto la fuga precipitosa degli americani e degli occidentali, la morte nel 2011 del Presidente fantoccio Karzai (era un ex consigliere della compagnia petrolifera americana Unocal), la fuga del suo successore, il presidente Ghani, fuggito negli Emirati Arabi, e la vittoria dei Talebani che non avevano niente altro che la loro vita e solo armi rudimentali con cui contrapporsi alla pax americana.

Tuttavia,  sapevano perché combattevano, difendevano la loro terra e la loro cultura, al di là se questa fosse accettabile o meno dall’occidente.

Se la storia fosse effettivamente “maestra di vita” e non fosse, com’è, l’unica scienza che non rilascia alcuna conoscenza né alcuna consapevolezza, la lezione afgana avrebbe dovuto consigliare di evitare di ripetere, in Medio Oriente con palestinesi e libanesi, gli stessi identici errori commessi in Afghanistan, ovvero, circa 42 mila morti civili oltre ai feriti e ai mutilati a Gaza e altre 2.000 vittime e altre miglia di profughi in Libano. Una strage inutile e che probabilmente porterà alle stesse conseguenze afgane.

Il futuro

Secondo molti analisti, tra i quali Lucio Caracciolo, Israele non avrebbe una visione di lungo periodo perché questo Stato sarebbe troppo condizionato dalla priorità di doversi garantire la propria sopravvivenza, giorno per giorno.

In realtà, questo è un mito tutto occidentale che lega lo Stato sionista all’antisemitismo e al genocidio subìto dagli ebrei ad opera del nazismo. In realtà,  la mancanza di visione è di tutto l’Occidente, americani in testa che, a loro volta, sono ossessionati (e questo non è un mito) dalla propria storia di conquista della frontiera.

Il dominio militare e tecnologico, secondo gli occidentali, dovrebbe garantire che possa reiterarsi una condizione colonialista in cui è stata creata una serie di Stati artificiali con confini che corrispondevano alle varie influenze europee. Una soluzione che è stata realizzata in Medio Oriente, ma anche nel Maghreb e nell’Africa sub-Sahariana, dove se guardiamo una qualsiasi piantina geografica, possiamo constatare che l’esportazione del concetto di Stato e i confini dei vari Stati sono stati disegnati con riga e compasso, prescindendo e facendo a pezzi etnie, gruppi tribali, ecc. , con la conseguenza che la Nigeria…. il Libano… la Giordania…solo per fare alcuni esempi, risultano illegittimi o con una sovranità molto superficiale, che infatti esplode periodicamente con sanguinose guerre civili.

Se vi fosse un pensiero di lungo periodo si dovrebbe considerare che, dopo aver destabilizzato, come sta accadendo in questi giorni, un’intera regione, e dopo aver creato un ambiente ostile come conseguenza di stragi e massacri indiscriminati di civili, questi territori saranno impossibili da governare in modo pacifico.

Neo colonialismo: la ragione di fondo

Ma forse c’è un’altra ipotesi da dover prendere in considerazione. Ovvero che in realtà vi sia effettivamente una visione di lungo periodo che non è quella di determinare una condizione di governo sostenibile, quanto quella di produrre un arretramento di queste aree. Così come dissero gli americani a proposito dell’Afghanistan: Abbiamo rispedito l’Afghanistan al tempo della pietra!

D’altra parte, se osserviamo la sequenza degli interventi americani e occidentali di polizia internazionale e, soprattutto, le conseguenze di questi interventi in Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Palestina, questo è proprio quello che è stato fatto. Il dato comune che emerge è, infatti, la distruzione di ognuno di questi Stati e la produzione, ovunque, di caos, miseria e di milioni di profughi ammassati nei campi.

Forse è questa l’idea americana: destabilizzare tutti i territori extra occidentali in modo da creare una diffusa ed indistinta area destinata alla subalternità irreversibile e alla dipendenza congenita.

D’altra parte, l’Occidente non può fare a meno di avere, a costi irrisori, le materie prime e i giacimenti dei Paesi terzi, e per questo, non può consentire alcuna  indipendenza e autonomia a questi Paesi.

Bin Laden

Il GAS. In Afghanistan come in Palestina

Non è un caso che all’origine della guerra in Afghanistan non vi sia il fatto che il Mullah Omar si fosse rifiutato di consegnare Bin Laden. Questo fu solo un pretesto, quanto, piuttosto, l’affidamento per la costruzione e la gestione di un mega gasdotto.

Nel 1997, infatti, i talebani che a quel tempo erano amici degli americani, decisero, inaspettatamente, di affidare la costruzione del grande gasdotto, che dal Turkmenistan portava al Pakistan e quindi al mare, attraversando tutto l’Afghanistan, alla piccola società argentina, ma molto qualificata, Bridas, diretta da un italiano (Carlo Bulgheroni), piuttosto che alla potente multinazionale americana UNOCAL nella quale erano presenti Condoleezza Rice, Dick Cheney (lo stesso che era legato in Iraq all’Agenzia Blackwater e che, insieme alla Rice, sarebbe entrato nell’amministrazione Bush), oltre a colui che sarebbe stato indicato, in seguito, dagli americani come Presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai.

Un affare colossale, quello del gasdotto afgano, che aveva già contrapposto i Russi agli americani e che era stata la vera ragione che aveva spinto gli americani ad armare i Talebani nella resistenza contro la Russia. Dunque, un investimento che gli americani avevano fatto da lungo tempo e a caro prezzo. Una ingratitudine, quella dei Talebani, che per gli Usa risultò un affronto inaccettabile, tantopiù che era stato determinato dalla velleità del Mullah Omar di ritenersi libero e indipendente.

Così come non è un caso che, al largo della Palestina, sia stato scoperto un importantissimo giacimento di gas ed è probabile che, dietro il genocidio di Gaza e il tentativo di deportare i Palestinesi da Gaza, ci sia anche il gas.

Infatti, dal momento che le ragioni capitalistiche vanno sempre ricondotte a ragioni economiche, andrebbe ricordato che un giacimento di gas era stato scoperto nel 2000 dalla British Gas, la quale, nel 1999 aveva firmato un accordo di esplorazione di 25 anni con l’ANP. Un accordo che conferiva ai palestinesi la giurisdizione marittima fino a 20 miglia dalla costa di Gaza. All’epoca il governo israeliano aveva approvato la perforazione e la British Gas aveva scavato due pozzi.

Nell’ottobre 2023, anche Eni si era aggiudicata diverse licenze per esplorare il mar Mediterraneo orientale al largo di Gaza.

Uno studio di avvocati, tuttavia, aveva invitato Eni a fermarsi, poiché Israele avrebbe indetto la gara di concessione su un’area marina che, in realtà, apparteneva alla Palestina.

Il 6 febbraio 2023, lo studio legale Foley Hoag Llp, con sede a Boston, negli Stati Uniti, ha inviato un avviso, per conto di quattro associazioni arabe – Al Mezan center for human rights, Al Haq, Palestinian centre for human rights (Pchr) e Adalah – invitando la compagnia energetica Eni a non intraprendere attività nelle aree marittime della Striscia di Gaza che appartengono alla Palestina.

Insieme alla britannica Dana Petroleum Limited – una filiale della South Korean national petroleum company – all’israeliana Ratio Petroleum e altre tre compagnie, ENI aveva, infatti, ottenuto la licenza di operare all’interno della cosiddetta “zona G”, un’area marittima che stava nelle acque territoriali palestinesi adiacenti alle rive di Gaza, proprio dove oggi imperversa la carneficina contro i civili palestinesi per opera del governo israeliano.

Più precisamente, il 62% della zona G, rientrerebbe nei confini marittimi dichiarati dallo stato della Palestina nel 2019, in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos), la cosiddetta Montego Bay, di cui la Palestina è firmataria. Ma la querelle sulle licenze per esplorare il gas al largo della Palestina si protrae da diversi anni.

Non è, infine, più un mistero che il Gasdotto North Stream che collegava la Russia all’Europa tramite la Germania, sia stato sabotato dagli Americani per costringere la Russia a interrompere i rapporti con l’Europa e per obbligare la Germania ad acquistare il gas americano creando una crisi drammatica sia in Germania che in Europa.

Tutte le guerre a pezzi, passate e presenti, dunque, si legano tra loro e hanno una spiegazione coerente. L’idea di appropriarsi delle risorse energetiche di questi Paesi Terzi a furia di stragi e mattanze o di impedire l’esportazione di gas da parte dei Paesi del secondo mondo, sembra l’idea di un folle. Peraltro, l’idea di poter esercitare un dominio che possa essere protratto nel tempo sembra velleitaria e insostenibile per l’insicurezza e la forte instabilità causata da guerre, sanzioni e stragi di civili.

Ma qui, a un anno dall’inizio del genocidio in Palestina, così come accadde per l’Afghanistan e per l’Iraq, possiamo solo scegliere tra la stupidità e la follia, tra l’ignoranza e l’arroganza, che, come è noto, di solito, vanno sempre insieme.

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