Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

La banalità del male, un secolo dopo

Quello che sta accadendo in Palestina e in Libano non vi colpisce? Non volete saperlo o, perfino, vi trova d’accordo? La crisi economica è causata dagli immigrati? Sono loro e i palestinesi, i nemici da deportare? La svolta autoritaria in tutta Europa, contro ogni dissenso, non vi ricorda niente, o non vi riguarda? Purché poi non diciate che non sapevate, che non avevate capito, che era solo il vostro lavoro e che avete solo obbedito agli ordini. Questo lo abbiamo già sentito. Era quella apatia… quella banalità del male che era stata condannata a Norimberga, e poi con il processo Eichmann

di Victor Matteucci

Secondo Giovanni Di Lorenzo, direttore del settimanale tedesco “Die Zeit“, l’80% dei tedeschi è favorevole a bloccare l’arrivo deglio immigrati in Germania e il 90% è favorevole all’espulsione dei migranti responsabili di un qualunque reato.

Questa percentuale è particolarmente alta nei Landers orientali, la parte più povera della Germania dove, infatti, i partiti di estrema destra hanno registrato una forte crescita del consenso. Tuttavia, statistiche simili riguardano gran parte dei Paesi europei e gli USA.

Gli immigrati, i responsabili e i nuovi nemici

Alla base di questa opinione pubblica tutta orientata sulla difesa e sulla cacciata degli immigrati, nemici invasori, c’è, ovviamente, la crisi economica e la perdita di lavoro che, nel caso della Germania, i tedeschi attribuiscono ai 2 milioni di ucraini immigrati, al milione di Siriani e, più in generale al fatto che, secondo le stime del governo, sono oltre 12 milioni le persone (circa il 14% della popolazione) che vivono e lavorano in Germania e che non hanno la cittadinanza tedesca.

Questi dati spiegherebbero le insostenibili condizioni sociali dei tedeschi e spingerebbero i partiti politici ad assumere posizioni sempre più autoritarie e repressive contro gli immigrati pur di assecondare le crescenti paure dell’elettorato. Parallelamente alla estremizzazione delle posizioni dei partiti conservatori, anche i partiti riformisti e progressisti, dal canto loro, inseguono il consenso, spostandosi a destra e avallando posizioni di difesa e di respinta degli immigrati, o annunciando il blocco dei Visti e delle politiche di integrazione, così come ha recentemente annunciato Scholz, per non essere da meno.

In realtà, il fatto che gli immigrati sottraggano lavoro e risorse ai tedeschi e agli occidentali in generale, è un falso problema e non è affatto la causa della fine del lavoro, quanto, piuttosto, l’effetto della globalizzazione nell’ambito della quale i flussi migratori sono solo uno, e forse l’ultimo, dei problemi.

Le vere cause della crisi economica

La causa della fine del lavoro nelle democrazie occidentali è dovuta ad una crisi strutturale che ha determinato un blocco della crescita per effetto della globalizzazione che, oltre ai tanti vantaggi per le imprese, ha prodotto qualche spiacevole conseguenza; per esempio, ha reso, non più competitiva, sul mercato mondiale, la produzione occidentale, per l’alto costo del lavoro, a causa dei prezzi dell’energia e per la scarsità delle materie prime da dover importare.

La drastica riduzione dei profitti ha avuto, inoltre, come causa/effetto, anche un mancato investimento nell’innovazione e sviluppo, senza considerare che, alcune produzioni mature, come il settore delle auto, sono difficili da innovare in nodo significativo. A questo, si è aggiunta la contrazione dei consumi per l’insostenibilità degli alti costi dei prodotti, a causa della riduzione del potere d’acquisto e della disoccupazione crescente.

Quindi, il tema di fondo che si pone è come restituire alle economie occidentali una competitività tale da consentire occupazione e sviluppo. Di fronte a questa sfida, la riduzione o il blocco degli immigrati, ha solo uno scopo propagandistico e fuorviante. Tanto più che nel merito sarebbe impraticabile, irrilevante e, forse, addirittura avrebbe conseguenze fortemente negative. Questo, sia perché gli occidentali non sarebbero disponibili ai lavori, alle condizioni e ai costi a cui si adeguano, giocoforza, gli immigrati (perciò, senza di loro, il costo del lavoro sarebbe destinato a crescere), sia perché l’invecchiamento della popolazione europea è tale da non consentire  un rapporto sostenibile tra lavoro e politiche di previdenza sociale, senza contare che avremmo urgente bisogno di più giovani, di più famiglie e di più figli.

Infine, c’è da considerare tra i fattori critici, la fase di profonda innovazione tecnologica, la quarta rivoluzione industriale, che attraversiamo. La lunga transizione occidentale è anche dovuta, infatti, alla progressiva smaterializzazione del lavoro, tramite la rete informatica, e all’introduzione progressiva dell’intelligenza artificiale che ha sostituito il lavoro manuale e che, ormai, sta fortemente riducendo anche il lavoro intellettuale. Le crisi del capitalismo sono cicliche, ma questa automazione postindustriale sta avendo effetti ancora più devastanti di quelli che si ebbero con l’introduzione dell’automazione fordista e delle catene di montaggio nelle fabbriche, esattamente un secolo fa, all’inizio della fase industriale dello sviluppo.

Le risposte alla crisi

La prima risposta alla crisi, da parte delle imprese, è stata quella di fare sistema, cioè di avviare un profondo processo di fusioni e di concentrazioni di capitali, creando imprese multinazionali in grado di resistere e di acquisire quelle industrie che vantassero un brand di eccellenza o, comunque, che consentissero un vantaggio competitivo.

Ma l’ottimismo è durato poco perché mentre le imprese si concentravano si disperdeva il lavoro che diventava precario, esternalizzato e insicuro.

Una seconda risposta è stata quella di delocalizzare le imprese occidentali in aree extra occidentali. La soluzione finale è stata di introdurre barriere (dazi alle importazioni) alle merci provenienti dalla Cina e da altri Paesi che hanno costi di produzione più bassi. Una soluzione, quest’ultima, resa parzialmente inefficace per la risposta cinese e indiana di impiantare proprie fabbriche in Europa e in Occidente (Ungheria, Polonia), o di acquisire la proprietà di talune fabbriche e impianti di produzione occidentali (per esempio l’acciaio).

Le conseguenze

Tutto questo senza contare che il tentativo delle imprese occidentali, soprattutto multinazionali, di delocalizzare la produzione in aree e Paesi, dove i costi del lavoro fossero più bassi, in modo da poter recuperare una competitività sui mercati, aveva prodotto un’altra conseguenza negativa, ovvero, una enorme perdita di posti di lavoro e di competenze all’interno dell’ occidente. Perciò se, in questo modo, si scongiurava, da un lato, la crisi delle imprese, dall’altro, si apriva un enorme problema sociale con lo smantellamento delle fabbriche e la disoccupazione che dilagava, in particolare nell’Europa mediterranea, con le prime aree ad essere colpite (Sud Italia, Francia meridionale, Grecia).

La terza risposta è stata di trasferire gli investimenti del capitale privato dalla produzione ai mercati finanziari, dove le rendite avrebbero garantito un profitto maggiore con meno rischi. Ma la conseguenza, in questo caso, è stata che gli investimenti finanziari non producono lavoro e, dunque, non producono alcun valore sociale, danneggiando, peraltro, le entrate pubbliche.

In aggiunta a tutto questo, non va dimenticato che, sul mercato finanziario la Cina e l’India, soprattutto, hanno acquistato il debito dei Paesi occidentali, in particolare il debito americano, così da impedire politiche che potessero penalizzare eccessivamente le loro economie, pena la messa in vendita dei titoli dei Paesi occidentali con la conseguenza di produrre una crisi finanziaria senza soluzione e un innalzamento dello SPREAD, ovvero, del livello di inaffidabilità dei Paesi occidentali nella restituzione del debito o per il pagamento degli interessi, rendendo questi titoli sempre più svalutati e di difficile collocazione sul mercato.

L’occidente e il resto del mondo

Infine, c’è la questione che attiene alle materie prime, all’energia e ai giacimenti che sono in gran parte collocati in aree extra europee e fuori dall’Occidente, in Paesi, cioè, che si stanno sottraendo ai vincoli neocolonialisti e che acquisiscono maggiore autonomia e indipendenza con la conseguenza di poter aumentare i costi di tali risorse.

Per di più, questi Paesi sono spesso strangolati dal debito con i Paesi ex coloniali, con il FMI o con la Banca Mondiale e hanno spesso un carattere autoritario e politiche fortemente repressive, caratterizzati anche da una forte concentrazione della ricchezza nelle mani di una esigua minoranza della popolazione. Spesso si tratta di Paesi con Governi che non hanno come priorità una redistribuzione sociale delle risorse, perciò, che non hanno alcun interesse, o non possono garantire lo sviluppo dei servizi e del lavoro, preferendo avallare flussi migratori verso l’Occidente.

Dunque, se questa è sommariamente la situazione mondiale, come altro si può impedire questa concorrenza che sta mettendo in ginocchio l’Occidente?

L’idea strategica, dopo i vari tentativi fallimentari, è stata quella di destabilizzare militarmente con guerre regionali tutti quei Paesi politicamente isolati o vulnerabili, ma con grandi potenzialità di giacimenti e risorse energetiche in modo da impedire loro autonomia e la possibilità di condizionare  il mercato  mondiale, o più semplicemente, che potessero entrare nel mercato globale nella veste di nuovi competitor.

Era, cioè, necessario conservare e ribadire il dominio occidentale in termini, non solo tecnologici, ma anche di controllo delle fonti energetiche e delle materie prime. Il pretesto è stato che fossero Paesi che mettevano in pericolo i Paesi occidentali con il terrorismo islamista o con possibili aggressioni (gli Stati canaglia).

Libia, Tunisia, Egitto, Siria, Iraq,  Iran, Afghanistan, in un modo o nell’altro, dunque, sono stati tutti, uno dopo l’altro, messi nella condizione di non nuocere. Dove, invece, è stato possibile sono stati imposti accordi economici che garantissero l’Occidente; dove questo non fosse stato possibile, i vari Paesi sono stati invasi e occupati militarmente o destabilizzati in modo grave.

U.S. Marines from the 2nd Battalion, 1st Marine Regiment escort captured enemy prisoners of war to a holding area in the desert of Iraq on March 21, 2003

La reazione degli altri

La reazione dei Paesi extra occidentali non si è fatta attendere ed è stata quella di associarsi sotto il cartello BRICS (Brasile, Russia, Cina, India, Sud Africa a cui si vanno aggiungendo vari Paesi, tra cui Iran, Turchia, Algeria, Tunisia, Egitto, ecc.), nonostante le grandi differenze politiche e culturali da cui sono divisi con l’obiettivo di sviluppare una strategia comune in grado di resistere al dominio occidentale.

L’operazione Ucraina e il sabotaggio del gasdotto North Stream, in quest’ottica, è stata decisiva. Sia per garantire la subalternità europea agli Usa, sia per recidere le relazioni tra Russia ed Europa, costringendo la Russia a dirottare  la propria economia verso il mercato asiatico, allontanandola dall’Occidente mentre la si indeboliva con una logorante guerra di posizione.

Dunque, la prospettiva che vi siano Paesi isolati che possano essere aggrediti e sottomessi è sempre più problematica, a meno di evitare una escalation della crisi con i rischi di una guerra mondiale generalizzata e dall’esito imprevedibile.

La prova di questo rischio latente, o di questa tentazione continua, è che, mentre Cina e Usa stavano rinnovando l’accordo per evitare il ricorso alle armi nucleari, l’America ha deciso, la scorsa estate, di inviare una fornitura di armi a Taiwan con la conseguenza della interruzione dei colloqui sul trattato di non proliferazione  e con varie avvisaglie militari da parte della Cina a cui ha fatto eco la visita provocatoria di Nancy Pelosi, la speaker della Camera, a Taiwan, l’invio di una delegazione di Taiwan in Usa per un incontro bilaterale, ripetute manovre militari cinesi intorno a Taiwan, ecc.

Un nuovo ordine mondiale, un secolo dopo il nazismo

Al punto in cui siamo, il contesto mondiale è estremamente degradato e le possibili soluzioni si riducono a due opzioni: il compromesso e la nascita di un nuovo ordine mondiale multipolare, soluzione che l’America vede come il fumo negli occhi, o la guerra.

Per la guerra ci vogliono i nemici. A livello internazionale, come abbiamo capito, non mancano. Ma occorre anche un nemico che tutti possono percepire come tale, in carne ed ossa e, soprattutto, occorre una educazione che persuada del fatto che costui sia il responsabile dei nostri mali. Il lavoro mediatico di questi anni è stato quello di individuare il nemico negli immigrati e negli stranieri in generale. Sono i risultati che possiamo constatare, considerando le stime del direttore del settimanale tedesco “Die Zeit” in Germania, e che sono simili in tutto l’Occidente.

La caccia al nemico, all’estraneo, non ricorda niente?

Non ricorda, questa campagna, quella che fece Hitler riguardo agli ebrei, quando erano un popolo senza Stato? Quando doveva trovare un capro espiatorio per giustificare la profonda crisi tedesca ed europea di un secolo fa? Quando la Germania era stata costretta, dopo la Prima guerra mondiale, con la pace di Versailles, a condizioni capestro e a una povertà insostenibile?

Non ricorda, l’attuale situazione di crisi occidentale, quella crisi con l’inflazione e la depressione che culminò con il crollo di Wall Street negli anni ’20 del secolo scorso e che produsse una incredibile disoccupazione, a causa dell’innovazione industriale e dell’introduzione delle catene di montaggio e del modello fordista?

La deportazione degli immigrati in Albania, che la presidente Von Der Leyen e il primo Ministro inglese, Starmer (che cerca un’alternativa al piano Ruanda di Johnson) considerano un modello, non vi ricorda nulla?

L’idea di Netanyahu della grande Nazione ebraica di Israele e la riconquista della terra promessa da parte degli ebrei, per cui è necessario eliminare i palestinesi, occupare il Libano e sottomettere l’Iran, non vi ricorda l’occupazione nazista dei vari Paesi europei, uno dopo l’altro,  per inseguire il sogno della Grande Germania di razza ariana?

L’attuale spostamento a destra dei partiti moderati e la crescita della destra estremista, in tutta Europa, non ricorda, vagamente l’ascesa del nazismo?

Se tutto questo non vi ricorda nulla, due sono le possibilità: o siete complici, o vi rifiutate di voler vedere. In questo secondo caso, sappiate che state riproducendo, di nuovo, la banalità del male. …Purché dopo non  diciate che non avevate capito, che non sapevate, che avevate fatto solo il vostro lavoro…Perché questo l’abbiamo già sentito. D’altra parte, la  storia ormai dovreste conoscerla… “Prima vennero a prendere (in questo caso)… gli immigrati…poi i comunisti……poi….alla fine vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

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