“Non ci sono più parole” così il presidente Mattarella, interpretando per una volta quello che pensano tutti gli italiani, commentando l’ultimo incidente alla Toyota di Borgo Panigale, vicino Bologna (14 persone coinvolte, 2 morti e dodici feriti). La dinamica si sta ricostruendo, ma è emerso che Toyota avesse dei contratti con alcune aziende esterne per gestire la manutenzione dello stabilimento .
Una questione culturale
Renata Polverini, ex segretaria UGL, intervistata da Rai news 24, ha detto che, alla base della strage di lavoratori c’è un problema culturale e che gli incidenti avvengono spesso per la scarsa manutenzione degli impianti.
De Luca, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro, ha aggiunto che si tratta di un problema di prevenzione e della non osservanza delle norme, ricordando che ci sono differenze tra le imprese che hanno una patente sulla prevenzione sui rischi e chi no.
Bruno Giordano, magistrato della Corte di Cassazione e direttore dell’ Ispettorato del lavoro, tuttavia, ha replicato an entrambi affermando che la cultura c’entra fino ad un certo punto e che la patente a punti è irrilevante poiché si tratta di una semplice autocertificazione che non toglie e non aggiunge nulla alla sicurezza, aggiungendo che la sicurezza non la si può pensare di affrontare con un semplice scambio di PEC in cui si autodichiara di rispettare le norme.
La sicurezza autocertificata via PEC
D’altra parte, un controllo capillare sarebbe impossibile per i tempi lunghi e per la mancanza di organico, oltre che per la frantumazione anche geografica dei controlli (INPS, INL, A.S.L., tramite gli uffici di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, le Direzioni Territoriali del Lavoro, tramite il Servizio Ispezioni del Lavoro-Vigilanza Tecnica, ecc.).
In tutto questo dibattito aleggia una delle tante ipocrisie italiane, ovvero il fatto che il lavoro è in gran parte precario ed esternalizzato per cui, anche se le imprese affidatarie fossero in regola e con la patente a punti, non potrebbero rispondere delle decine di imprese piccole o individuali spesso connotate dal lavoro nero, che agiscono in regime di subappalto o con contratti a termine per la manutenzione.
Vietato parlare di una Procura generale del lavoro
Bruno Giordano invoca da anni una Procura Generale sul lavoro per evitare le prescrizioni e per specializzare i controlli, per concertare le varie competenze sui controlli e per fare sinergia in termini di vigilanza, oltre che per risarcire le vittime che spesso non lo sono
Negli ultimi 10 anni la media è stata quasi di 1.200 vittime annue sul lavoro e, solo nei primi sei mesi del 2024, vi sono state tre morti sul lavoro al giorno. A fronte di questa strage, la richiesta di una Procura Generale del lavoro, nonostante sia stata reiterata da 4 legislature, non ha mai dato luogo ad un dibattito. Evidentemente, le imprese non la vogliono e, perciò, è vietato anche solo parlarne.
È evidente che la nascita di una tale Procura con magistrati e competenze specifiche, in pochi anni svelerebbe il quadro di illegalità e di sommerso del mondo del lavoro con conseguenze civili e penali, oltre che di costi, insostenibili,
Il Governo complice e l’eredità Biagi
Il Governo naturalmente tace e soprattutto tace la ministra Calderone che il 28 giugno 2024, il giorno dopo della morte di un lavoratore agricolo di origini indiane a Latina, aveva dichiarato che non era quello “… il momento delle accuse reciproche (perché) bisogna essere rispettosi anche del dolore” (Calderone, Unomattina Estate). Non era quello il momento, come non lo è questo, perché non è mai il momento di poter dire la verità, con la scusa del dolore.
Sempre in quella sede, la Ministra aveva anche anticipato l’assunzione di nuovo personale ispettivo e di un’azione mirata alla promozione della cultura della vita sicura. A quattro mesi di distanza, di fronte a una nuova strage di morti sul lavoro, non c’è alcuna traccia, come era presumibile, né di politiche mirate, né di un aumento degli organici del personale ispettivo.
Ma soprattutto, la ministra Calderone che si vanta di essere una seguace del giuslavorista Marco Biagi, il quale era stato il teorico del lavoro a termine e flessibile, non dice che l’incremento industriale di queste morti è dovuto proprio a quelle idee di Biagi, ovvero alla introduzione della precarietà, del lavoro a termine e alla esternalizzazione del lavoro nelle forme più selvagge, pur di ridurre i costi e gli oneri delle imprese (Legge 30/2003) votata da FI, AN, LN, CCD-CDU/UDC, NPSI, PRI. La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, in seguito, sarebbe intervenuta sulle forme contrattuali flessibili e sulla modifica la disciplina dei licenziamenti. Il decreto Poletti, emanato durante il governo Renzi, avrebbe infine liberalizzato totalmente le assunzioni a tempo determinato, oltre a stabilire la durata massima del contratto in 36 mesi.
Il lavoro esternalizzato
Quando, infatti, la Polverini usa tutte le sue parole per parlare di cultura del lavoro usa un eufemismo per evitare di dover dire con chiarezza che la sicurezza ha un costo che le imprese non intendono sostenere o comunque che è la prima tra le voci ad essere tagliate. L’esternalizzazione del lavoro serve proprio a questo: a dismettere le attività di manutenzione per scaricare, sulle piccole ditte esterne, tutti i rischi della sicurezza, oltre naturalmente a evitare il costo degli oneri sociali. Questa procedura riguarda tutte le imprese, sia pubbliche che private (ANAS, FS, ENEL ecc. ), proprio le stesse che hanno registrato morti nelle attività di manutenzione affidate a ditte esterne.
La conseguenza, scaricata a valle, riguarda solo gli ultimi. O così o niente. Perciò, avanti così e… se non ci sono più parole… pazienza; si può anche tacere, sempre per rispettare il dolore, naturalmente.