Petrarca e Boccaccio: storia di un’amicizia. “Se un solo pane avessi, sarei lieto di dividerlo con te”. Attribuita a Francesco Petrarca, la frase descriverebbe a chiare lettere quanto sia stato profondo il legame di amicizia tra il Petrarca e Giovanni Boccaccio.
Testimoniato da un lungo scambio epistolare, il loro fu un rapporto lungo e duraturo. Un esempio raro e prezioso di come due intelletti straordinari possano non solo influenzarsi reciprocamente, ma anche costruire un rapporto basato su rispetto, sostegno e una profonda stima personale e letteraria.
Petrarca e Boccaccio: storia di un’amicizia
La loro storia non è solo quella di due letterati che hanno segnato il Trecento, ma un monito per noi moderni. L’amicizia, come la cultura, può essere un ponte che supera il tempo, le distanze e perfino le differenze caratteriali.
Il Petrarca, cantore dell’amore e dei sentimenti che da esso scaturiscono (quale tristezza, dolore, desiderio…), aveva uno stile colto e raffinato. Sapeva scendere nell’intimo umano e sublimare ogni sentimento. Il Boccaccio, invece, narratore della quotidianità, aveva uno stile diretto e una scrittura semplice, comprensibile ai più. Conosciutisi nel 1350, e consolidata la loro amicizia, il Petrarca ebbe modo di tradurre in latino l’ultima novella del Decameron: Griselda.
L’immortalità letteraria di Petrarca e Boccaccio
Strano a dirsi, ma Petrarca divenne immortale per le sue poesie d’amore scritte in volgare, piuttosto che per le opere scritte in latino (che egli stesso riteneva più meritevoli). Mentre il Decameron di Boccaccio venne conosciuto in tutta Europa perché, dal volgare venne tradotto in latino.
Cosa legava Petrarca e Boccaccio
Il Petrarca fu amico del Boccaccio (iracondo e incapace di autocontrollo) anche a livello umano, aiutandolo concretamente, con i suoi consigli, a superare le diverse crisi esistenziali che lo portarono perfino a giudicare la sua opera frutto del diavolo.
Infatti, è solo grazie al Petrarca che l’opera non venne distrutta per mano del suo stesso autore.
Il Boccaccio, infine, – sempre grazie al Petrarca – rinunciando alla vita triviale che aveva condotto in gioventù, giunse alla conversione
Il saggio Ritratti allo specchio (Boccaccio, Petrarca)
Il nostro articolo potrebbe concludersi qui, se non fossimo andati alla ricerca di altre fonti, scoprendo un saggio scritto dal filologo spagnolo Francesco Rico dal titolo Ritratti allo specchio (Boccaccio, Petrarca) (Antenore Editore 2012) che rivela tutta un’altra verità.
Un estratto del saggio
Il secondo (qui si riferisce a Boccaccio) venera il primo, lo considera suo padre e maestro, ne ricopia le opere, risponde a ogni sua richiesta, assente ai suoi rimproveri, ne scrive la “Vita”, modella alcune sue opere su quelle dell’amico. Petrarca vuole certo bene a Boccaccio, s’intrattiene volentieri con lui. Però: dimentica di spedirgli lettere che gli ha scritto e che tutta Italia conosce prima del destinatario, non gli permette la lettura di sue opere se non in piccolissima parte, non gli invia che manoscritti di poco valore. Traduce, sì, in latino la storia di Griselda, l’ultima del “Decameron”, ma nella missiva con la quale l’accompagna tratta il libro con una sufficienza che rasenta la perfidia: «naturalmente non l’ho letto», «un libro per il volgo», «per di più in prosa», «così al di sotto delle mie preoccupazioni».
«Petrarca», scrive Rico, «amò molto Boccaccio, ma tutto fa pensare che lo rispettò poco. Lo amò perché ne apprezzava l’umanità, era sicuro della sua ammirazione e sapeva che avrebbe sempre potuto contare su di lui. Ma non lo rispettava troppo perché lo riteneva intellettualmente inferiore a lui e aveva scarsa fiducia nel suo valore letterario …».
La venerazione dell’uno per l’altro
Alla sconfinata venerazione del Boccaccio Petrarca rispondeva con malizioso candore: «Come tu mi vuoi». Lasciava ai suoi domestici dieci fiorini ciascuno, al fratello Gherardo cento, all’amico Giovanni cinquanta: perché da vent’anni lo vedeva talvolta come un servitore talaltra come un fratello («minore e meno dotato»). E poi mostrando per una volta, nel suo testamento, un sense of humour in lui assente, affermava che i cinquanta fiorini dovevano – pur essendo «poco per un uomo così grande» (e cioè anche grasso) – servire all’acquisto di una «sopravveste invernale» (sarebbero bastati per un intero guardaroba) destinata allo «studio e le veglie notturne». Con bonaria malizia, non si sta insinuando che a Boccaccio conviene studiare molto?
Valutazioni obiettive
Quelle che abbiamo appena letto sono opinioni personali, oppure obiettive valutazioni, epistole alla mano?
A noi viene da pensare: «Ma il tono a volte ironico non può essere sintomo di profonda amicizia e scaturire pertanto dalla confidenza?»
Cosa dice Menotti Stanghellini
Delle valutazioni di Rico, Menotti Stanghellini dice: Come si ricava da una rapida lettura dell’intera recensione e come afferma giustamente Francisco Rico nel Prologo, il quadro sui rapporti fra Boccaccio e Petrarca, disegnato con ingente “accumulo di materiali” e interpretato non sempre in maniere concordanti da due studiosi come Giuseppe Billanovich e Vittore Branca, “appare oggi alquanto tinto di rosa, con tonalità idilliche: i personaggi rappresentano troppo alla lettera i ruoli che sono stati loro assegnati, vanno troppo d’accordo, tutto scorre con troppa armonia, senza dissonanze…”.
Rico, senza dubbio, con il suo saggio è andato molto oltre e ora il quadro appare alquanto mutato, ma a mio parere si può essere d’accordo con il filologo spagnolo solo fino a un certo punto: …”
E a noi questo basta.
Per chi vuole approfondire l’amicizia tra Petrarca e Boccaccio
Per chi volesse saperne di più, dell’amicizia tra Petrarca e Boccaccio parla anche un libro pubblicato nel 1919 dal titolo L’amicizia fra il Petrarca ed il Boccaccio studiata nella loro corrispondenza. Scritto da Maria Sicca (pubblicato da Tip. F. Giannini e Figli) ancora oggi reperibile su Amazon.