Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

I SEGNI E LO SPAZIO

di Redazione

Sedici dipinti, realizzati da Biagio Pancino nella Parigi degli anni ’50 del secolo trascorso, testimoniano la temperie artistica e culturale dell’Europa del secondo dopo-guerra.                                       

di Salvo Ferlito*

Opere realizzate fra i primi anni ’50 e i primi anni ’60 del secolo trascorso, in grado di incarnare a perfezione lo spirito del proprio tempo. Piccoli dipinti, eseguiti con svariate tecniche miste, pervasi non a caso di quelle profonde istanze di rinnovamento che animarono l’arte europea all’indomani dell’ultimo conflitto mondiale.

Improntate ad una esibita e programmatica volontà di superamento del linguaggio figurativo, connotate da un inesausto anelito alla ricerca ed alla sperimentazione tecnico-linguistiche, palesemente foriere d’una sentita pulsione all’accantonamento del localismo estetico in funzione d’una espressività di sapore più internazionale, queste sedici pitture di Biagio Pancino (esposte alla Galleria XXS aperto al contemporaneo di via XX Settembre 13 dal 4 al 18 aprile) costituiscono pertanto una imperdibile testimonianza della temperie artistico-culturale delineatasi in Europa subito dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, e specificamente di quel radicale e diffuso desiderio di fattiva renovatio (artistica e socio-politica) di cui molti intellettuali si fecero allora portatori.

Non è dunque un caso, che tali opere siano state dipinte nella Parigi del secondo dopo-guerra, ove l’artista veneto (di San Stino di Livenza, in cui è nato nel 1931), alla pari di tanti altri giovani europei della sua generazione, si trasferì agli inizi degli anni ’50, desideroso di immergersi in prima persona nel flusso tumultuoso di quelle idee innovative (in ambito filosofico, cinematografico, visuale e letterario) di cui – in quel momento – la capitale francese era attivissima fucina e centro irradiatore. La diretta conoscenza di alcuni dei grandi maestri delle avanguardie del primo ‘900 (da Fernand Léger a Sonia Delaunay e Gino Severini) nonché la frequentazione di intellettuali e altri giovani artisti italiani (come Joppolo e Tancredi, anch’essi presenti a Parigi in quel momento e destinati ad assurgere a un ruolo di primo piano nello scenario artistico di quegli anni) segnano profondamente l’ideare e agire pittorici di Biagio Pancino, inducendolo ad abbandonare definitivamente la figurazione (sono ancora dei primi anni ’50 alcune raffinate chine dedicate al lavoro operaio, raffiguranti scene di bonifica ambientate nelle paludi nei pressi di San Stino), in funzione d’un approccio sempre più astrattista alla pittura, nel quale risuonano vibranti e dinamici echi futuristi ma anche palesi consonanze con gli orientamenti del lessico informale. Da Donna seduta (tratteggiato a china e lapis nell’agosto del 1953), in cui le ultime propaggini figurative vanno scomponendosi in una sequenza di evidenti unità geometriche, a Dinamismo (dipinto a tempera sempre nel ’53), ove l’ormai ubiquitaria scansione geometrica della superficie presenta dinamiche cadenze ancora tipicamente futuriste, proseguendo poi con Novembre (eseguito a gessetti policromi nello stesso anno), nel quale si assiste ad un rarefarsi ed ammorbidirsi di segno e di colore, fino alla coppia Ghirigori e Serial ghirigori (altre due tempere risalenti al 1958), contraddistinta da un andamento assolutamente sinuoso delle stesure, e in ultimo giungendo alla serie Salambò (ulteriori tre tempere prodotte nel ’60), pervasa da un incedere acceso e caotico di vorticose pennellate di colori puri, è dunque tutto un incalzante susseguirsi di soluzioni tecniche e moduli espressivi dai connotati difformi e polimorfi, e tuttavia capaci di rendere con estrema precisione il processo evolutivo dell’insistita ricerca condotta dall’artista veneto nell’arco di un decennio.

Una rilevante testimonianza – come già detto – di significativo valore storico ed artistico, grazie alla quale poter mappare e definire non solo le tappe di un percorso strettamente personale, ma anche – e soprattutto – poter ricostruire le atmosfere e le tensioni di un fase di snodo assolutamente cruciale nelle convulse vicende visuali del secolo appena trascorso. 

*critico d’arte

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