Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Aspettando la sentenza per concorso esterno in associazione mafiosa contro il Senatore Antonio D’Alì

di Redazione

Alcune riflessioni sugli strumenti giuridici nelle mani dei giudici nella materia del concorso esterno in associazione mafiosa

  

Cominciamo dalla fine. “Il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato autonomo creato dalla giurisprudenza. Che prima lo ha creato, usato, dilatato. E ora lo sta progressivamente restringendo”A questo punto resta da chiedersi però cosa sia questa fattispecie giuridica, come nasce e se davvero sia morta.

Contro la zona grigia: con quali strumenti? “La vera forza dalla mafia sta fuori dalla mafia”: è questo ormai un sentire comune per chi studia, segue e cerca di capire il fenomeno mafioso. La vera lotta oggi non si combatte più soltanto contro l’associazione mafiosa in sé e i suoi affiliati, quanto anche contro quella “zona grigia” di connivenze, di accordi e di interessi che pervadono gli ambienti politici ed imprenditoriali. Ma tali comportamenti sono penalmente rilevanti? Esiste uno strumento giuridico attraverso il quale si possono perseguire?

Il reato di associazione mafiosa. La legge 646/1982 (c.d. legge Rognoni – La Torre) inserisce nel codice penale l’articolo 416-bis, il quale delinea il reato di associazione mafiosa come un reato associativo, cioè un reato la cui fattispecie prevede appunto che un soggetto faccia parte dell’associazione, ossia promuova o costituisca o organizzi la stessa. Ora, un politico o un imprenditore, il quale faccia degli accordi con un’organizzazione di stampo mafioso, promettendo a  quest’ultima qualcosa e quindi favorendola ed aiutandola a sopravvivere, ottenendone inevitabilmente un qualche vantaggio, non fa propriamente parte dell’associazione. Non appartiene infatti alla stessa né da un punto di vista soggettivo (perché manca la c.d.affectio societati scelerum, ossia la consapevolezza di essere all’interno di un accordo criminoso continuativo nel tempo) né da un punto di vista oggettivo (la permanenza stabile e continuativa del soggetto all’interno dell’organizzazione che ha come piano criminoso quello di compiere delitti indeterminati).

Concorso esterno in associazione mafiosa.

 Da qui l’elaborazione da parte della giurisprudenza della particolare fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa. Detta fattispecie configura il concorso eventuale (ai sensi dell’art. 110 c.p.) all’interno della fattispecie del 416-bis c.p. Il concorrente esterno nel reato di associazione mafiosa è quel soggetto il quale non fa parte dell’associazione e però pone in essere comportamenti che determinano “il mantenimento, il rafforzamento e l’espansione dell’associazione medesima” (Cass. Sezioni Unite, 30 ottobre 2002 – sent. Carnevale). Oggi la giurisprudenza ritiene che il concorso in associazione mafiosa possa essere sia un concorso morale (ossia la condotta di un soggetto che fa nascere o rafforza il proposito di commettere un fatto illecito) sia un concorso materiale (che si viene a determinare quando una condotta atipica è condizione necessaria per la realizzazione di un fatto illecito commesso da soggetti terzi). La Corte di Cassazione afferma, inoltre, che non è sufficiente la sola “contiguità compiacente” o “vicinanza” o “disponibilità”, ma sono necessarie “positive attività che abbiano fornito uno o più contributi suscettibili di produrre un oggettivo apporto di rafforzamento o consolidamento sull’associazione”.

La Corte di Cassazione  precisa che non può bastare la mera “disponibilità” o “vicinanza”, né appare sufficiente che gli impegni presi dal politico a favore dell’associazione mafiosa abbiano il carattere della serietà e della concretezza. La promessa e l’impegno del politico in tanto assumono veste di apporto dall’esterno alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa, rilevanti come concorso eventuale nel reato, in quanto, all’esito della verifica probatoria ex post della loro efficacia causale, e non già mediante una mera valutazione prognostica di idoneità ex ante, si possa sostenere che, di per sé, abbiano inciso immediatamente ed effettivamente sulle capacità operative dell’organizzazione criminale, essendone derivati concreti vantaggi o utilità per la stessa o per le sue articolazioni settoriali coinvolte dall’impegno assunto.

Si rivelano quindi necessarie la ricerca e l’acquisizione probatoria di concreti elementi di fatto, dai quali si possa desumere con logica a posteriori che il patto ha prodotto risultati positivi, qualificabili in termini di reale rafforzamento o consolidamento dell’associazione mafiosa.

Pertanto, laddove risulti indimostrata l’efficienza causale dell’impegno e della promessa di aiuto del politico sul piano oggettivo del potenziamento della struttura organizzativa dell’ente, non è consentito convertire surrettiziamente la fattispecie di concorso materiale oggetto dell’imputazione in una sorta di – apodittico ed empiricamente inafferrabile – contributo al rafforzamento dell’associazione mafiosa in chiave psicologica, cioè dare per scontato che, in virtù del sostegno del politico, risulterebbero automaticamente rafforzati il credito del sodalizio nel contesto ambientale di riferimento, il senso di superiorità e prestigio dei capi e la fiducia di sicura impunità dei partecipi.

Le Sezioni Unite enunciano dunque il seguente principio di diritto: “E’ configurabile il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso nell’ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso, in forza del quale il personaggio politico, a fronte del richiesto appoggio dell’associazione nella competizione elettorale, si impegna ad attivarsi, una volta eletto, a favore del sodalizio criminoso, pur senza essere organicamente inserito in esso, a condizione che:

a) gli impegni assunti dal politico, per l’affidabilità dei protagonisti dell’accordo, per i caratteri strutturali dell’organizzazione, per il contesto di riferimento e per la specificità dei contenuti, abbiano il carattere della serietà e della concretezza;

b) all’esito della verifica probatoria ex post della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé e a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali”

Circa la ricostruzione dell’elemento soggettivo, le Sezioni Unite affermano che, nei delitti associativi, si esige che il concorrente esterno, pure sprovvisto dell’affectio societatis, cioè della volontà di far parte dell’associazione, sia tuttavia consapevole dei metodi e dei fini della stessa (a prescindere dalla condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per siffatti metodi e fini che lo muovono nel foro interno) e si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o il rafforzamento dell’associazione: egli deve “sapere” e “volere” che il suo contributo è diretto alla realizzazione anche parziale del programma criminoso del sodalizio.

Da ciò si dedurrebbe che la condotta del soggetto non integra la fattispecie del reato di associazione mafiosa, e quindi non è penalmente rilevante (tranne l’ipotesi dello scambio elettorale politico-mafioso ai sensi dell’art. 416-ter c.p.). Di conseguenza, individuare uno strumento giuridico che punisca questo tipo di condotte diventa di importanza vitale.

I problemi.

 Essendo il reato di concorso esterno in associazione mafiosa una fattispecie di reato elaborata in giurisprudenza ed essendo la condotta che il concorrente esterno pone in essere una condotta atipica – ossia, una condotta che di per sé non integra alcuna fattispecie giuridica ma che contribuisce alla realizzazione della condotta tipica di un certo reato -, si pone una serie di problemi di non secondaria importanza, quale l’individuazione del grado di dolo richiesto al concorrente esterno o la definizione dell’aspetto sanzionatorio, nonché il problema della determinazione ex post della necessità e dell’effettività dell’operato del concorrente esterno per il raggiungimento degli scopi da parte dell’associazione.

 La giurisprudenza si divide su altri aspetti: l’apporto del concorrente esterno deve essere o meno fungibile? Deve intervenire in un contesto fisiologico della vita dell’associazione o in un momento patologico di fibrillazione della stessa? Le domande sono reali, e il problema diventa ancora più significativo se si considera che nel diritto penale è fondamentale rispettare i principi di tassatività e di determinatezza delle fattispecie giuridiche. Sotto questo profilo, di grande chiarezza è la Sentenza “Mannino 2” del 2005 (sempre Cass. Sezioni Unite), che interviene sistematicamente sulle maggiori problematiche interpretative riguardo al concorso esterno in associazione mafiosa.

 La sentenza pone però un significativo problema dal punto di vista probatorio, in quanto si richiede, al fine della configurabilità della fattispecie, che si provi che il soggetto attraverso la sua condotta abbia conservato o rafforzato l’associazione: un onere probatorio molto gravoso e quasi impossibile da soddisfare, ha sostenuto la più attenta dottrina.

Per cui sembra ragionevole  il timore per cui  la giurisprudenza, dopo aver creato essa stessa la fattispecie del concorso esterno applicabile al 416-bis c.p., l’abbia progressivamente ristretta e resa più complessa nell’applicazione, stritolandola fra i fondamentali principi di garantismo, certezza, tassatività, rigorosità e determinatezza delle fattispecie giuridiche rendendo estremamente difficile la sua effettiva applicazione (di qui l’annullamento con rinvio sia nella Sentenza “Mannino 2” che nella Sentenza “Dell’Utri”).

Prospettive future. Alla luce di quando detto diviene quindi indispensabile un intervento del legislatore che, così come avvenne nel 1982 con la Legge Rognoni – La Torre rispetto alla definizione del concetto di associazione mafiosa, intervenga sul codice e istituisca una fattispecie specifica che punisca la condotta di chi aiuta e sostiene dall’esterno l’associazione. La stessa proposta di legge Borsellino riguardo alla modifica dell’art. 416-ter c.p. per ampliarne la fattispecie, sarebbe un inizio importante. Ma sicuramente significativa anche una proposta di riforma ormai risalente al 1999, in cui si proponeva di inserire una fattispecie propria di concorso eventuale in associazione mafiosa, attraverso l’inserimento nel codice dell’art. 416-quater c.p. Intervento che all’epoca si ritenne futile, ma che alla luce da una parte del cambiamento dell’orientamento della Corte di Cassazione e dall’altra della sempre maggiore crescita ed infiltrazione del fenomeno mafioso, diviene obiettivo imprescindibile, anche se  sembra che il legislatore abbia tutto l’interesse a mantenere una figura giuridica così tanto evanescente.

La lotta alla mafia necessita oggi, al contrario, che nei confronti del mondo imprenditoriale e politico che vive un rapporto simbiotico con la criminalità organizzata si pronunci non solo una vibrante ed importantissima condanna sociale ma anche una forte, certa e severa condanna giuridica, che rispetti i principi fondanti del diritto penale ma che sia al contempo efficace ed effettiva.

 

 

 

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.