Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

A.A.A. Famiglia cercasi

di Patrizia Romano

Tra l’allontanamento dalla famiglia di origine e l’affidamento a nuove famiglie, l’abbandono per anni presso strutture alternative, temporanee. L’odissea delle migliaia di minori in cerca di una dimensione familiare

Di Patrizia Romano

‘Cercasi famiglia disperatamente’. E’ l’Sos lanciato dalle migliaia di minori allontanati, per ragioni di varia natura, dalla famiglia di origine e allocati, in via temporanea, presso le strutture di accoglienza per minori, in attesa di essere dati in affidamento a soggetti idonei che ne hanno fatto richiesta e che hanno mostrato di essere in grado di fornire al minore un modello di vita familiare. Quanto meno, uno stile di vita che si avvicini il più possibile a quello di una famiglia vera e propria e attraverso il quale colmare il proprio vuoto familiare, in attesa di risanarne i rapporti. Una pratica giuridica, quella dell’affido, che ha come obiettivo prioritario, il ricongiungimento del minore alla propria famiglia.  

Il minore sottratto al proprio nucleo originario, per i più svariati motivi, viene dato in affidamento a una famiglia affidataria e, pertanto, sottoposto a un lungo ed estenuante iter prima dell’affidamento. Durante la fase transitoria, il bambino viene ‘parcheggiato’ presso ‘case famiglia’, non sempre idonee. Spesso, però, rimane in queste  strutture, dove dovrebbe sostare il tempo strettamente necessario per le opportune verifiche, per anni e anni, magari passando da una struttura all’altra. Infatti, da quando il giudice tutelare assegna il minore alla casa famiglia a quando dispone l’affidamento, quest’ultimo raggiunge la maggiore età. La situazione è pesante, in quanto il minore, oltre a vivere il proprio disagio familiare, vive in un ambiante che, per quanto possa essere confortevole, non sarà mai a dimensione familiare. Di contro, i servizi sociali ricevono centinaia di istanze per affidamento. Sono tante, infatti, le coppie che desiderano accogliere un minore e che, per silenti interessi, camuffati da lungaggini burocratiche, non riescono a soddisfare questo desiderio. Sotto sotto a queste difficoltà, sta l’interesse subdolo delle strutture preposte all’accoglienza durante la fase pre-affidataria a trattenere con se i minori per non perdere i contributi che percepiscono per ognuno di loro. A volte accade, persino, che,  raggiunta la maggiore età e, quindi, uscito dalla struttura in cui è cresciuto, è costretto a ritornare presso la famiglia di origine.

Intanto, le strutture di accoglienza temporanea proliferano a vista d’occhio. Tra queste, emergono le cosiddette ‘case famiglia’ che sostituiscono i vecchi istituti per minori. Il numero delle strutture presenti sul territorio, però, è difficilmente mappabile anche per la velocità con cui aprono e chiudono. Una stima non recente parla di 1.800 centri con alcune regioni, come l’Emilia, il Lazio, la Lombardia e la Sicilia, che registrano una concentrazione di 300 strutture.
In Italia, comunque, non esiste alcun database per monitorare il fenomeno del disagio minorile e, soprattutto, delle strutture che ospitano i minori allontanati.

Le strutture di accoglienza transitoria per minori, si collocano e si concentrano in misura maggiore nelle regioni del Sud e nelle Isole dove, di fatto si trovano 167 strutture su 215, vale a dire oltre tre quarti delle strutture complessivamente censite. Una disccreta differenziazione in termini quantitativi si riscontra comunque anche fra le regioni del Sud. In assoluto, la regione che presenta il maggior numero di strutture è la Sicilia con 63 istituti per minori. I diversi sistemi identificano numerose e variegate tipologie e profili di servizi.

Strutture di accoglienza: il business del momento

Da stime approssimative, comunque, emerge che in Italia ci sono oltre 30 mila minori ospitati presso strutture di accoglienza. Alla fine del 2010, sulla Penisola, si registravano circa 29.309 minori allontanati dalle proprie famiglie di origine. Con un aumento del 24 per cento.

Solo uno su cinque di questi ospiti viene dato in affidamento alle famiglie che ne fanno richiesta. È una media molto bassa. Il motivo che sta alla base di queste incresciose statistiche è di carattere squisitamente economico: l’accoglienza di un minore rappresenta per la struttura un vero e proprio business.

Ogni ospite che risiede in una casa-famiglia costa dai 70 ai 120 euro al giorno. La retta alle strutture in questione viene pagata dal Comune. Soldi pubblici, che vengono erogati fino a quando il minore resta ‘dentro’. La diaria non viene utilizzata pienamente per i piccoli ospiti. I gestori dei centri sono, infatti, molto accorti nel contenere le spese pro capite. Quello che resta diventa liquidità a disposizione della struttura.

Insomma, un giro d’affari che si aggira intorno a 1 miliardo di euro l’anno. Un bambino che viene affidato, invece, a una famiglia è una retta in meno per la struttura. E’ chiaro, quindi, che queste ultime cercano di trattenerlo il più possibile. La  media di permanenza si aggira intorno ai 3 anni. Un periodo decisamente lungo e deleterio per la crescita e la formazione del minore. Il destino più comune per un bambino che cresce in una casa famiglia è quello di venire sballottato da  una comunità all’altra. A volte, i centri se li contendono come merce preziosa.

Nonostante le casse di molti Comuni siano in rosso, le case-famiglia sono in aumento. L’Italia è il paese delle case famiglia per eccellenza e la loro massiccia presenza su tutto il territorio è assolutamente riconducibile al concetto di spreco. Uno spreco che  ha raggiunto livelli di altissima raffinatezza politica in nome di principi umanitari di ineguagliabile valore, trattandosi di minori.

L’Istat registra una presenza di 32 mila minori ospitati nelle comunità di accoglienza italiane, il cui fatturato si aggira intorno a 1.091.350.000  Euro l’anno. A questi vanno aggiunti i soldi spesi per le consulenze psicologiche, per le medicine e per tutti gli extra. Ogni casa famiglia, mediamente, ospita 10 minori, per cui è ipotizzabile,  che in Italia esistano oggi circa 2.300 strutture e che ognuna fatturi circa 474.500,00 Euro l’anno.

In Sicilia, negli ultimi anni, si è sviluppato a grandi linee, il fenomeno degli allontanamenti facili.

Sotto il profilo amministrativo, non esiste alcun controllo. Si conosce molto poco di questi posti e di quello che accade all’interno. Buio pesto anche sul fronte delle verifiche. Lo Stato paga le comunità, ma nessuno chiede alle stesse comunità una specifica delle spese. Nessuno chiede loro una giustificazione. Il pagamento viene effettuato, presentando, mensilmente la fattura e specificando soltanto il numero dei minori accolti. L’Unità Organizzativa dei Minori alle Politiche Sociali predispone, poi, la determina dirigenziale. Successivamente, tale determina viene inviata alla ragioneria che provvede al pagamento. L’aspetto più raccapricciante è, quindi, l’assenza di un controllo sul sistema. La maggior parte delle case sono chiuse a visitatori esterni e volontari. In Italia, aspettiamo ancora un censimento vero e proprio come prevede la legge 149 del 2001, che determina la chiusura degli istituti e l’inserimento dei bambini nelle famiglie attraverso lo strumento dell’affido, in attesa del rientro presso la propria famiglia di origine.

Istituzioni in debito nei confronti delle strutture

Certo le strutture esistenti sul territorio regionale sono tante. In Sicilia, dove le liste delle strutture sono lunghe, diventano altrettanto lunghe pure le liste dei pagamenti alle stesse strutture che, per quanto discutibili, vivono tra mille difficoltà. Ovviamente a ricevere le somme maggiori sono le principali città siciliane. Ecco, dunque, che Palermo sono le 749 presenze registrate per un primo acconto di 2.795.000 euro circa, ancora distanti dai 5.698.000 che la Regione dovrà erogare per coprire tutto l’anno. Numeri inferiori per Catania che, con le sue 262 presenze, riceve al momento 776.000 euro di acconto. Dietro a queste grandi cifre però si scorgono anche piccoli comuni nei quali insistono delle importanti realtà in questo settore. In questo senso sono da sottolineare le 76 presenze di Palma di Montechiaro in provincia di Agrigento, le 38 di Partinico con un acconto che sfiora i centomila euro e le 62 di Mazara del Vallo che supera i duecentomila euro. In quest’ultimo caso le struttura superano le capacità del capoluogo Trapani.

Abbiamo anticipato in precedenza come sia fondamentale in questo campo anche la gestione dei minori che, appartenendo alla fascia d’età dei 14-18 anni, rientrano all’interno dell’Accordo di Programma stipulato dal Ministero della Giustizia e l’assessorato della famiglia e delle politiche sociali. La somma stanziata a tal fine è pari a 5.308.221 euro. In totale gli enti interessati sono 55 per un totale di 546 posti. Al suo interno, ad ottenere la somma maggiore è stata Agrigento con le sue 5 cooperative per un totale di 558mila euro e 50 posti. Stessi risultati ottenuti anche da Acireale con il medesimo numero di enti e giovani ospitati. Numeri importanti anche perché è molto alta la componente rappresentata dagli immigrati. Infatti i dati mostrano chiaramente come in  Sicilia siano gli egiziani la componente maggioritaria (16,7%), seguiti dai ghanesi (12,9%) e dai nigeriani (11,7%). A tutto questo si sommano i costi di gestione delle strutture, che si collocano di norma fra i 50 e i 70 euro giornalieri per minore.  

Oltre la ‘casa famiglia’

Gli istituti di accoglienza per minori, che dovevano essere completamente sostituiti da strutture alternative, non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati semplicemente convertiti in case-famiglia e sono costituiti anche da due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano e non sempre nel rispetto delle normative di sicurezza e di adeguamento. Per non parlare, poi, delle storture di carattere economico provocate dal libero mercato. Molte strutture, per rendersi competitive e fare, quindi, confluire più minori presso di sé, abbattono i costi della diaria, riducendola, persino, a 40 Euro, e riducendo, ovviamente, pure i servizi. La scelta presso la struttura più economica viene orientata dai Servizi sociali su indicazione dei Tribunali che, a loro volta, accumulano migliaia di fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico uno o più minori. I magistrati non sempre riescono a seguire la pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti dal territorio di competenza. E proprio quello della competenza è un problema molto serio. Sull’infanzia ci sono troppe deleghe sparpagliate tra i vari ministeri: dalle Pari opportunità al Lavoro, dalla Giustizia alla Gioventù, eccetera. Con il risultato che, non essendoci un unico soggetto con piena e totale competenza, non ci si capisce più niente.

Le cause di allontanamento più frequenti

I motivi per cui il minore viene allontanato dalla propria famiglia e, quindi, affidato a strutture di accoglienza, sono legati prevalentemente a problemi economici, occupazionali e abitativi della famiglia. Questi casi rappresentano il 40 per cento. A queste ragioni, seguono quelle legate alla condotta dei genitori, pari al 12 per cento. Inoltre, nel 4 per cento dei casi, abbiamo motivi di natura giudiziaria. Infine, sono presenti anche il maltrattamento, l’incuria e la violenza sul minore, ancora significative in quanto raggiungono, la prima un valore di poco superiore al 5 per cento e i secondi il 2,5 per cento. Le cause collegate ai disagi del minore stesso non sono significativamente importanti, poiché rappresentano poco più dell’1 per cento delle cause dell’inserimento in struttura.

L’affido familiare

L’affido è un gesto di solidarietà che si concretizza attraverso l’accoglienza temporanea del minore all’interno di un nucleo familiare che fa richiesta di accoglienza. Ogni bambino o ragazzo ha diritto di vivere, crescere ed essere educato in famiglia. Talvolta, però, la sua famiglia è in difficoltà. Ed è in questi casi che entra in gioco l’affido.

Le principali caratteristiche dell’affidamento sono la temporaneità,  il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine e la previsione del rientro del minore nella famiglia biologica.

Mantenere un minore senza famiglia in un istituto o casa famiglia costa la metà di quanto costerebbe affidarlo a una famiglia.

La Legge 149 del 2001 prevede un periodo massimo di permanenza presso la famiglia affidataria di due anni, eventualmente prorogabili con provvedimento del Tribunale per i Minorenni. L’Affido può essere progettato per brevi periodi, medio lunghi, in base all’esigenza del minore e alle caratteristiche delle relazioni familiari e delle motivazioni dell’affidamento. 

Gli affidatari, secondo quanto disposto dalla legge,  possono essere famiglie con figli, coppie senza figli, persone singole, comunità familiari. Non sono previsti dalla legge limiti di età.

 A predisporne l’intervento sono i Servizi Sociali con competenza territoriale, con iniziativa autonoma o su prescrizione dell’Autorità Giudiziaria.

Gli impegni di una famiglia affidataria sono di gran lunga superiori rispetto a quelli di qualsiasi struttura di accoglienza di minori. L’affidatario deve impegnarsi ad accogliere presso di sé il bambino, a provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e alla sua istruzione, a curare e mantenere i rapporti con la famiglia d’origine e a favorire il reinserimento del minore sempre nella stessa famiglia di origine.

La direttiva interassessoriale numero 320/410 del 2005 prevede che per ciascun affidamento eterofamiliare venga erogato, se richiesto, un contributo mensile alle famiglie affidatarie, indipendentemente dal reddito posseduto, rapportabile ad una quota pari almeno a  400,00 Euro da ridefinire annualmente in base alle variazioni Istat sul costo della vita. A erogarli è sempre il comune di appartenenza del minore.

La Regione Siciliana, attraverso il Dipartimento della Famiglia e delle Politiche Sociali, ha sostenuto un processo di inquadramento ed accompagnamento dell’azione dei Servizi territoriali per l’Affido, attraverso l’emanazione di direttive interassessoriali tra Assessorato Regionale Famiglia e  Assessorato Sanità, di Protocolli d’Intesa e di un Regolamento tipo in cui sono stati individuati i destinatari, gli obiettivi, l’integrazione dei soggetti e delle competenze, le responsabilità dei Servizi verso i protagonisti dell’Affido. Ma i casi di affido effettuati si contano, ancora, sulle punta delle dita.

La Sicilia è fanalino di coda in materia di affido, il rimborso mensile per le famiglie affidatarie di Palermo è di un terzo rispetto a quello erogato dagli altri Comuni d’Italia e nel capoluogo isolano i 250 euro mensili, che spetterebbero alle famiglie che accolgono un bambino in difficoltà, arrivano a singhiozzo.

È necessario agevolare le procedure, nei casi di affidamento familiare, prevedendo la stipula di accordi con il Tribunale dei minori e il Centro affidi perché vi sia chiarezza e maggiore trasparenza. È fondamentale incentivare l’affido dei minori della fascia 0-3 anni per evitare la loro permanenza nelle case famiglie. Dobbiamo stroncare lo scandalo dei milioni di contributi alle case famiglie, agevolando l’affido: i bambini ospiti delle case famiglia di Palermo costano alle casse comunali, e, quindi, ai cittadini, ben 14 milioni di euro ogni anno. È inconcepibile che ogni singolo bambino in comunità costi alle casse dell’amministrazione comunale 2.500 euro al mese, a fronte di un contributo di soli 250 euro mensili erogati ad ogni famiglia affidataria. Il Servizio di Affidamento Familiare del Comune di Palermo, lavora nel campo dell’affidamento da oltre vent’anni, ma dai risultati ottenuti in tutti questi anni, sembra sempre meno convinto della validità di questo intervento di aiuto alla famiglia e al minore. Nel corso di questi anni, l’esperienza maturata non è stata tale da stabilire una procedura metodologica ben definita. Pertanto, l’affido rimane un istituto giuridico allo sbaraglio.

Durante il periodo di affidamento familiare i servizi sociali competenti dovrebbero attuare tutti gli interventi necessari per aiutare la famiglia di origine del minore a superare i problemi al fine di favorire il ricongiungimento tra il minore e la propria famiglia.

Il minore in affidamento familiare incontra periodicamente i propri familiari secondo i tempi e le modalità stabilite dai servizi sociali competenti.

Pertanto, l’affidamento familiare è un intervento di sostegno attuato per sopperire alle difficoltà di un minore e della sua famiglia di origine. Nella realtà dei fatti, i tempi per il ricongiungimento non sono mai maturi e la permanenza presso le strutture temporanee superano, non solo i limiti previsti dalla legge, ma pure i limiti della decenza.

Cos’è la ‘Casa Famiglia’?

Una Casa Famiglia, secondo il Decreto numero 308 del Ministero per la Solidarietà Sociale del 2001, in conformità con la legge 149 del 2001 sul diritto del minore a una famiglia, è uno strumento innovativo di grande importanza per riaffermare con forza il diritto del minore ad avere una famiglia. Si tratta di una comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni, la cui finalità è l’accoglienza di minori, disabili, anziani, persone affette da Aids e persone con problematiche psico-sociali, per i quali la permanenza
nel nucleo familiare sia, temporaneamente o permanentemente, impossibile o contrastante con il progetto di crescita individuale. Molte case-famiglia si caratterizzano per l’accoglienza di minori in difficoltà e non per l’accoglienza di altre tipologie di disagio sociale, come, per esempio, adulti disabili.  Si occupano dell’accoglienza di minori per interventi socio-assistenziali ed educativi, finalizzati alla reintegrazione presso la famiglia di origine e si pongono in alternativa agli istituti, in quanto, a differenza di questi ultimi, dovrebbero avere alcune caratteristiche che le renderebbero somiglianti ad una famiglia.
 

La casa famiglia come risorsa?

La casa-famiglia potrebbe essere una risorsa importante per il reinserimento del minore,  ma la permanenza di un bambino va gestita con cura e deve rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare. 

Chi sono i bambini in attesa di famiglia?

Il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra le 25 e le 30 mila unità. Inoltre, rispetto agli anni passati, il fenomeno è cresciuto del 24 per cento. I bambini e i ragazzi accolti hanno tutti una propria famiglia o almeno un genitore. Non si tratta di orfani, di figli di genitori ignoti o di figli in presunto stato di abbandono. Negli ultimi 10 anni, invece, il numero dei bambini sottratti ai genitori naturali è cresciuto del 30 per cento. Se una coppia ha problemi di conflittualità, è inutile mandare il ragazzino in istituto, spendendo denaro inutilmente. Meglio sarebbe attivare dei servizi per inserire all’interno della famiglia figure professionali specializzate a costi infinitamente inferiori alle rette di istituto. Per non parlare del fatto che i ritardi della magistratura e degli assistenti sociali sono scandalosi, per cui spesso, il bambino resta in casa famiglia per anni, si allontana dalla famiglia e intanto lo Stato paga.

I minori accolti nei servizi sono prevalentemente adolescenti e maschi; la componente maschile si attesta intorno al 60 per cento degli accolti. Ma l’elemento di maggior peso nella descrizione del profilo degli accolti nei servizi residenziali è costituito dalla presenza straniera. Circa un bambino su tre accolto in queste strutture è di cittadinanza straniera.

La presenza consistente di minori stranieri nelle comunità è frutto anche dell’elevato numero di minori stranieri non accompagnati, che trova accoglienza quasi esclusivamente nei servizi residenziali.

Altrettanto pesante, lo scandalo del ‘turnover’ (ricambio) dei bambini allontanati. E’ impressionante: 10 mila minori dimessi a fronte di un pari numero di nuovi ingressi. Non una piccola percentuale, ma il 33 per cento l’anno di ‘rotazione’. Un tasso che potremmo definire industriale.

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