Castelvetrano,Dopo i grandi esordi teatrali che lo lanciano in alto, l’attore si sta affermando ampiamente pure nel cinema e in Tv. Una sbirciata dietro il successo di un artista in carriera
di Patrizia Romano
A Castelvetrano, solare cittadina del trapanese, una piccola compagnia locale porta in scena ‘Miseria e nobiltà’ di Eduardo Scarpetta. Alla compagnia manca la figura di Pippiniello e, tra i tanti, il regista sceglie un timido ragazzino dello stesso paese, di 12 anni appena.
Siamo nella seconda metà degli anni Ottanta, e per Fabrizio Ferracane, questo, è l’esordio che lo accompagnerà per tutta la sua carriera teatrale. L’impatto con il pubblico è immediato. L’emozione è prorompente, e lo è talmente che Fabrizio decide di ripeterla ancora. La ripete tante di quelle volte, da diventare un attore di successo.
“Sin dalla prima volta – racconta Ferracane, che oggi ha 38 anni – ho sentito in maniera forte l’impatto diretto con il pubblico. Appena ho alzato lo sguardo verso la platea, e con il mio ho incrociato lo sguardo del pubblico, ho provato una vibrazione in tutto il corpo. L’emozione è stata fortissima da serrarmi la gola. E questa emozione si rinnova tutte le volte che calco il palcoscenico”.
Decide così di fare l’attore e dopo gli studi liceali si trasferisce a Palermo per frequentare la Scuola di Teatro Teatès diretta da Michele Perriera. Finita la scuola si trasferisce a Roma e inizia una serie di studi teatrali e laboratori con vari registi. Studia con Franco Scaldati, Riccardo Caporossi, PierPaolo Sepe, Emma Dante, Danio Manfredini, Massimiliano Civica, Claudio Collovà. Lavora con Mimmo Cuticchio, Giancarlo Giannini, Marco Martinelli, Giuliano Vasilico e tanti altri attori di grosso calibro.
Oggi, dopo avere calcato i palcoscenici di tutta Italia, conferma il successo pure in televisione e sul grande schermo. Lavora, infatti, pure al cinema e lo fa con Giuseppe Tornatore in ‘Malena’. Negli ultimi anni è presente anche nel piccolo schermo, dove debutta in una lunga serie di finction.
Ferracane rimane, comunque, il timido ragazzino, interprete per caso di Pippiniello. Conserva intatta la sua semplicità, la sua modestia. Il suo porgersi è diretto, confidenziale, privo di qualsiasi prosopopea. Frutto, tutto questo, di una carriera perseguita con il sudore e la fatica. Oggi può dirsi, comunque, un attore completo, con una professionalità eclettica e una molteplicità di esperienze.
Ma qual è per un attore poliedrico come lui la differenza tra il palcoscenico e la telecamera? “Il teatro è sudore, è pathos, è adrenalina pura – risponde Fabrizio tutto d’un fiato -. La macchina da presa è ripetizione. Una scena puoi ripeterla più volte. Anche dietro la telecamera c’è una certa emozione, ma non puoi accumulare mai la tensione psichica e muscolare che accumuli sul palcoscenico. Tra un ciak e l’altro si entra in una certa meccanicità della scena. Per certi versi, c’è meno sofferenza”. Il teatro, per un attore come lui nato e formato negli scantinati dei teatri o sulla strada, rimane, comunque, la prima, vera, grande passione. Anche se, come lui stesso confessa, di fronte a una scelta drastica, schermo-palcoscenico, molto probabilmente, opterebbe per il primo. “A 38 anni – dice – preferirei la tranquillità della telecamera. Il teatro ti sfinisce, ti distrugge, ti risucchia tutte le energie”.
Non è certo il caso di Ferracane, ma sarebbe legittimo pensare che dietro una scelta del genere possa rientrarci pure l’aspetto economico. E’ innegabile che il teatro, dietro ai suoi canoni culturali di spettacolo di elite, non è certo appagante sotto il profilo economico. Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, non risponde neppure ai requisiti minimi di sopravvivenza. Tutto un altro mondo è quello rappresentato dal cinema, ma il divario è ancora più forte con la televisione. “Il rapporto dei costi tra teatro e televisione è estremamente sbilanciato – sottolinea l’attore -. In Tv, però, i soldi, anche se sono molti di più, si spendono con maggiore serenità; non si sta lì a fare i conti a lumicino. Con la televisione, il ritorno commerciale è immediato e moltiplicato rispetto alle spese”.
Noi sappiamo, comunque, quanto la sua passione per il teatro sia forte, ma soprattutto quanto sia forte la voglia di donare e di donarsi attraverso il teatro. Come ha fatto con i detenuti del carcere di Castelvetrano ai quali ha donato, attraverso il suo teatro, emozioni che non provavano da tempo. “Il teatro apre il cuore – afferma Fabrizio -, libera l’anima, rompe le sbarre”. Ritenendo che, attraverso il teatro si possa tirare fuori il meglio di ciascuno, l’attore si è attivato per realizzare un laboratorio teatrale all’interno delle carceri, che spera di concretizzare al più presto. Anche questa è una scelta molto forte che l’artista si è posto innanzi.
Le scelte del nostro attore, comunque, non sono soltanto professionali, ma investono pure la sfera esistenziale. Dopo 15 anni di permanenza a Roma, infatti, l’attore decide di ritornare a vivere in Sicilia. Lui non ha mai dimenticato i colori, gli odori, il clima della sua terra e, anche se la sua vita di attore è un continuo sali e scendi da un aereo e l’altro, la sua vita di uomo vuole trascorrerla nella sua Isola. Ma cosa lo ha spinto, dopo tanto peregrinale tra le città più belle del mondo, a ritornare in Sicilia? “La qualità della vita – risponde Fabrizio risoluto più che mai -. Non trovo niente di più speciale degli odori e dei sapori della mia terra. La Sicilia è la scenografia perfetta per qualsiasi ripresa. I suoi paesaggi rappresentano la location ideale per qualsiasi rappresentazione. E io la amo tanto”.