Se la nostra giustizia, parliamo di quella civile, che coinvolge i cittadini ma anche aziende, società e gli affari, funzionasse a dovere, con quello che ne consegue nel conteggio dei vari parametri, avremmo sedici miliardi in più di prodotto interno lordo
Di Daniela Mainenti
Analisi e classifiche della Banca Mondiale e dei principali indicatori internazionali convergono tutti nel dire che “la lentezza della giustizia italiana vale circa un punto di prodotto interno lordo”. Cioè, 15,6 miliardi.
La cronaca trasforma i numeri in parole: a luglio, la multinazionale americana Alps South Llc, leader nella produzione di gel medicinali, ha fatto dietrofront rispetto a un investimento a Bassano del Grappa che avrebbe creato 400 posti di lavoro. Il motivo, oltre al carico fiscale e alla burocrazia, è che la giustizia italiana è troppo lenta e inefficace. Soprattutto nella tutela di brevetti, contratti, tecnologie.
Ecco che quello ‘giustizia’ diventa uno dei tre dossier decisivi del governo Renzi.
Il Ministro guardasigilli, Andrea Orlando conferma che la prossima settimana si incardinerà per l’approvazione in parlamento, il falso in bilancio, misura fondamentale della legge sulla criminalità economica attualmente in esame.
Il taglio dell’arretrato è raggiunto grazie alla risoluzione delle cause con giudizi abbreviati e semplificati non più davanti al giudice ma con l’assistenza degli avvocati. Sono introdotti disincentivi all’abuso del processo (chi perde la causa deve rimborsare chi vince) e il divorzio consensuale potrà essere deciso davanti all’ufficiale di stato civile che così come ha unito la coppia la può anche dividere. “Si prevede una diminuzione dei tempi pari a 6-9 mesi” si legge nella scheda tecnica del ministero della Giustizia.
La lobby più ostile è quella degli avvocati (oltre 200 mila in Italia che guida la classifica dei paesi europei nel rapporto avvocati/abitanti) che teme di perdere peso, ruolo e, quindi, parcelle.
Ma anche i magistrati che si riuniscono in assemblea, minacciando lo sciopero, reagiscono in tal modo alla decisione dell’accorciamento delle ferie e al provvedimento sulla responsabilità civile dei giudici.
Anche il disegno che prevede sempre la motivazione in tutti i casi di arresto produrrà una valanga di ricorsi. A fronte, si obietta, di una magistratura tra le più efficienti d’Europa, la soluzione sarebbe il potenziamento dell’organico e delle risorse.
In realtà, il governo Renzi ha progettato un complessivo riassestamento del sistema giudiziario: è previsto il rafforzamento del tribunale delle imprese. Aumentano i distretti (finora sono uno per ogni regione) e le competenze estese a cause, ad esempio concorrenza sleale, pubblicità ingannevole, azioni di classe a tutela dei consumatori, giudicate di particolare importanza per la competitività del sistema imprenditoriale italiano.
L’effetto voluto è quello della ulteriore specializzazione nelle materie che interessano le imprese, in funzione di incentivazione degli investimenti anche esteri.
E’ prevista anche la nascita del tribunale delle famiglie per semplificare e, quindi, ridurre i tempi delle cause di divorzio, affidamento dei minori e tutto quello che riguarda i diritti della famiglia e delle persone. Si tratta, in questo caso, di allargare lo spettro delle attuali competenze attribuite ai tribunali per i minorenni destinati poi a scomparire.
A ciò si affiancano gli altri due pilastri della riforma. Uno riguarda il penale, che va dalla semplificazione del processo alla prescrizione, dai reati contro la criminalità economica ( tra cui il falso in bilancio e l’autoriciclaggio) alla semplificazione di rogatorie, estradizioni e ratifica delle convenzioni.
Tanto questi argomenti sono stati politicamente divisivi nel ventennio di Berlusconi, altrettanto incidono poco o nulla nel tasso di competitività del sistema Paese. Sono importanti, certo, ma non risolutivi.
Il terzo pilastro della riforma riguarda l’ordinamento giudiziario, un Csm senza correnti, la responsabilità civile dei magistrati e quella disciplinare di giudici civili e contabili (Tar, Consiglio di Stato e Corte dei Conti). Un altro passaggio delicato dove il potere di interdizione delle lobby farà sentire tutto il suo peso.
L’Italia non può più permettersi un debito pubblico in continua crescita, una spesa pubblica corrente di 800 miliardi e meno che mai otto milioni di processi pendenti tra civile e penale